Un filosofo nel porto di Cuba


Claudio Tognonato

Ventidue febbraio 1960, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir sbarcano all'aeroporto dell'Avana. È passato solo un anno da quando i barbudos sono scesi dalla Sierra Maestra e hanno cacciato via Fulgencio Batista, il dittatore di turno. Fidel Castro è un giovane avvocato, Ernesto Che Guevara, medico argentino, è presidente della Banca Centrale di Cuba. Non era diventato ancora l'ennesima icona del consumismo occidentale, il suo volto restava ancora sconosciuto. Il Che è il promotore della guerra di liberazione contro l'imperialismo americano, il teorico della "guerra di guerriglia" come risposta continentale all'oppressione del Nord verso il Sud del pianeta.
Jean-Paul Sartre, simbolo dell'intellettuale di sinistra, è anche il filosofo che non ha mai preso la tessera del partito comunista francese, ma vuole conoscere da vicino una rivoluzione. Mentre Sartre visita Cuba, a Parigi, la casa editrice Gallimard, sta completando la stampa della Critica della ragione dialettica e il libro uscirà infatti qualche mese dopo, ad aprile. Sartre vuole affiancare esistenzialismo e marxismo, vuole cioè rimettere in movimento la dialettica sclerottizzata dei partiti comunisti al potere nei paesi dell'Est e di quelli ad occidente dell'Elba.


Il filosofo e il medico

Il libro La Visita a Cuba (Massari Editore, 2005) offre a Sartre l'occasione di conoscere una rivoluzione in atto, una verifica pratica di quanto aveva teorizzato nella Critica della ragione dialettica: in una rivoluzione l'essere umano deve essere in fusione con il gruppo senza, però, perdere la sua individualità. Il filosofo aveva conosciuto Cuba nel 1949 nel suo viaggio in Centro America e i Caraibi e da allora non era più ritornato. Verso la fine del 1959 Sartre è invitato da Carlos Franqui, direttore del giornale cubano Revolución, a vedere con i suoi propri occhi il paese. Il viaggio dura circa un mese e Sartre incontra in più occasioni Che Guevara e Fidel Castro. Tornato in Francia, propone a France-Soir un lungo reportage su Cuba. Il giornale accetta, dichiarando in ogni numero che non sottoscrive le opinioni del filosofo. Come spesso accade a Sartre, il suo lavoro oltrepassa di gran lunga lo spazio concesso dal giornale ed è necessario l'intervento del suo amico Claude Lanzman (oggi direttore di Les Temps Modernes) per tagliare gli articoli che usciranno nel giugno e luglio del 1960.
L'incontro tra Sartre e il Che è quello tra due persone che vogliono cambiare il mondo. Il Che inserendosi nel pieno della lotta dei popoli oppressi, Sartre impugnando la piuma come fosse una spada e cercando di elaborare una teoria in grado di promuovere ed accogliere le trasformazioni sociali. Entrambi lottano contro l'irrigidimento delle formazioni sociali e intellettuali: il Che contro l'istituzionalizzazione della rivoluzione, Sartre contro il dogmatismo filosofico. Sartre parla di Guevara con ammirazione: "non ci vuole molto per accorgersi che dietro ogni sua frase c'è una riserva d'oro. Vi è un abisso, però che separa questa ampia cultura, queste conoscenze generali di un giovane medico che per inclinazione, per passione, si è dedicato allo studio delle scienze sociali, dalle materie e dalle tecniche indispensabili per un banchiere statale. Egli non parla mai di queste cose, se non per scherzare sui propri cambi di professione".
Il primo incontro tra Sartre e il Che avviene nella Banca Nacional, in orario d'ufficio: a mezzanotte. Ma non è soloquesto a stupire il filosofo francese. "Il più grande scandalo (...) - annota Sarte - è quello di aver messo dei bambini al potere": Fidel Castro e il Che hanno appena trent'anni, l'età media dei ministri è di 29. C'è nell'aria una tensione generale che accomuna questo gruppo di giovani che vuole dirigere una rivoluzione. Non dormono, non mangiano.
Come scrive Gabriella Paollucci nella prefazione del volume, "Sartre si lascia trascinare dalla realtà in cui è immerso". Non è la prima volta, gli succederà spesso di stabilire un rapporto di empatia con il luogo e le persone che visita nel mondo. La realtà lo assorbe e lo conquista, più tardi dirà che "l'empatia è l'unico atteggiamento richiesto per comprendere". Subito dopo la morte del Che, nel 1967, Sartre dichiarerà in una intervista: "Penso che quest'uomo non sia stato solo un intellettuale, ma l'uomo più completo del suo tempo. È stato il combattente, il teorico che ha saputo trarre dalla battaglia, dalla sua stessa lotta e dalla sua esperienza, la teoria per continuare a lottare".
Per tornare a Visita a Cuba, Sartre resta sorpreso da questo gruppo di giovani che vuole mettere la prassi davanti alla teoria, che dice di non aver tempo per fare teoria. Annota che il governo non si è ancora definito come socialista. Racconta Sartre: "Mi hanno parlato a lungo della Rivoluzione, ma ho tentato in vano di farmi dire se il nuovo regime sia o meno socialista. Oggi devo riconoscere che sbagliavo nel porre il problema in questi termini. Ma quando si è lontani, si è un po' astratti". E si sa che per Sartre l'astrazione è una delle più pericolose malattie della filosofia.


Il principio dell'azione

Nella sua documentata prefazione Gabriella Paolucci si meraviglia che Sartre sostenga che nessuna teoria generale potrebbe essere impiegata per guidare il corso di una rivoluzione. Per la Paolucci "è una tesi che non manca di stupire se pensiamo che proviene da un filosofo che ha dedicato gran parte della propria vita a sostenere l'importanza del pensiero e della parola nella trasformazione della società". In realtà non c'è di che meravigliarsi. Il filosofo francese non avrebbe mai sostenuto la necessità di applicare una teoria: per Sartre non ci sono modelli, non c'è un percorso stabilito che debba essere eseguito. La teoria non deve imporsi sulla realtà, ma recepire la prassi. Per l'esistenzialismo il reale precede la costruzione della realtà. La materia ha la priorità perché essa è li prima ancora di essere conosciuta. Ma l'impianto filosofico sartriano non è viziato da un ingenuo realismo, se è vero che la cosa precede la conoscenza che se ne ha di essa, è anche vero che conoscere è "riconoscere". Dalla materialità della cosa ci arrivano solo segni ed interpretazioni. ll conoscere non è mai passivo, l'interiorizzazione è un'attività, e come ogni attività modifica il suo oggetto. Dunque il punto di partenza realista che pone al primo posto la materia, non contraddice affatto, dirà Sartre, il punto di partenza della conoscenza per cui la certezza non è mai immanente alla cosa, ma inizia con la riflessione. Anche se l'essere umano è certo di ciò che appare, ogni apparizione ha bisogno di una percezione. Quindi se qualcosa si fa presente come realtà umana, vuoi dire che il reale è stato interiorizzato e riesteriorizzato.
Il 4 marzo mentre Sartre e Simone de Beauvoir sono a Cuba c'è il primo attentato contro la rivoluzione: nel porto dell'Avana esplode la nave francese La Coubre e il suo carico di armi proveniente dal Belgio. L'attentato provoca più di un centinaio di morti. Nel palco della manifestazione del giorno dopo in ripudio dell'attentato, sul palco ci sono anche Sartre e Simone de Beauvoir insieme al Che. E in quella occasione che Korda, un fotografo sino allora sconosciuto, scatta quel ritratto del Che che dopo la sua morte ha fatto il giro del mondo. Sartre finisce il suo lungo reportage con una frase sal tono profetico: "È necessario che i cubani vincano oppure che noi perdiamo tutto. anche la speranza". Forse nella storia non ci sono mai né vincitori né vinti. A noi resta la speranza.


(Tratto da Il Manifesto del 16 Ottobre 2005.)

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