ROMANZO 1988

Doris Lessing


Due ragazze sedevano una di fronte all'altra al tavolo di un caffè dell'aeroporto di Heathrow, Terminal Tre. Erano nella parte rialzata, che sembra un piccolo palcoscenico. Sybil era andata dritta lì, nonostante ci fossero posti liberi anche nella parte più bassa e meno in evidenza della sala.
Erano sorelle, entrambe di ossatura forte, robuste, con facce aperte e assennate. Sybil però si rifiutava di apparire comune, portava un trucco esagerato, capelli corti e biondissimi, e vestiti che non si poteva fare a meno di guardare. Era abbagliante, come una pop star. Nessuno avrebbe particolarmente notato Joan che, seduta al tavolo, ammirava la sorella e almeno in questo riconosceva in pieno i meriti di Londra: venivano dal nord dell'Inghilterra e ritenevano preziosa la solida eredità delle loro origini, decisamente meglio di tutto quello che il frivolo e viziato sud potesse produrre. Rientravano nella vecchia tradizione delle due sorelle, una carina e l'altra intelligente, e così erano state etichettate sin da piccole: Joan intelligente e Sybil carina. Ma erano tutte e due ragazze sveglie, attraenti, che lavoravano sodo e cercavano di sfruttare abilmente le proprie possibilità.
"Ma hai solo ventidue anni," stava dicendo Joan. "Pensavo che te la saresti presa comoda..." Lei era la maggiore, ventiquattrenne.
Con la sua voce forte e incurante, che tutti, sempre, erano costretti ad ascoltare, Sybil rispose: "Ma, mia cara, uno come Oliver non lo trovo più, questo lo so".
Joan sorrise. Significativamente. Inarcò le sopracciglia.
Sybil le restituì il sorriso, mostrando di comprendere la scena della sorella maggiore.
Non avevano bisogno di affrettare la conversazione. Joan era in partenza per Bahrein, dove si era trovata un posto come segretaria in una società anglo-americana. Era appena arrivata in aereo dallo Yorkshire e mancavano tre ore alla sua coincidenza. Certo che sarebbe venuta a Heathrow per stare con sua sorella, aveva detto Sybil, no, non importava, per quel giorno semplicemente non sarebbe andata a lavorare. Era arrivata a Londra due anni prima e aveva subito preso possesso della città; si era procurata - Dio solo sa come - una macchina di seconda mano e per lei era roba da niente andare all'aeroporto alle sei del mattino o alle undici di sera per scambiare quattro chiacchiere con gli amici sempre di passaggio, oppure fare il giro di varie feste in una sera, in parti opposte della città come Greenwich e Chiswick. Si era trasferita a Londra per trovare un posto di segretaria, ma aveva deciso che le sostituzioni temporanee erano meglio. Così si provavano lavori di tutti i tipi e si incontravano un sacco di uomini diversi, e quando le avessero offerto un posto che faceva per lei, se lo sarebbe tenuto stretto. Almeno così aveva detto fino a poco tempo prima.
"Parlavi nello stesso modo anche di Geoff, ti ricordi?" osservò Joan, non in tono pedante, ma colpendo nel segno.
"Oddio," rispose Sybil, "ma allora ero una neonata." "Avevi diciotto anni," precisò Joan.
"D'accordo! Concesso! Lo so che non sembra possibile, ma siamo fatti l'uno per l'altra. Oliver e io."
"L'ha detto lui?"
"Credo che questa volta ci siamo: matrimonio, bambini, un mutuo per la casa e tutto il resto." La sua voce, forte e sicura di sé, richiamava l'attenzione e Joan si sentiva imbarazzata. Come peraltro sua sorella era sempre riuscita a farla sentire.
In tono volutamente sommesso riprese: "Sybil, mi avevi detto che con Oliver era tutto finito".
"Sì, lo so," rispose Sybil a voce alta. "Diceva di non volersi risposare. Gli piaceva la libertà. E così se ne è andato. Non l'ho rivisto per mesi. Mi ha spezzato il cuore. Quando è tornato a cercarmi gli ho detto: già una volta mi hai spezzato il cuore, quindi adesso toccherà a te correre, non sarò io a starti dietro. Non come ho fatto quando l'ho conosciuto," spiegò. E si guardò intorno per assicurarsi che il suo pubblico la seguisse ancora, rapito.
Joan ci rifletté. Poi chiese: "E una volta sposati, andrai all'estero con lui per i suoi viaggi?"
Oliver viaggiava moltissimo per lavoro, era più spesso via che a Londra.
"No. Oh, be', qualche volta andrò anch'io, se si tratta di posti interessanti, ma voglio dargli una casa a Londra. No, sarò una vera moglie," insistette in risposta al sorriso eloquente della sorella.
"Tu devi sempre essere così estrema."
"Cosa c'è di estremo in tutto questo?"
"Non ti rendi conto che è un'esagerazione! Comunque, l'ultima volta mi hai detto che quando va all'estero si trova una ragazza in ogni città."
"Sì, lo so. La settimana scorsa è stato a Roma e so che è andato a letto con un'altra, anche se lui non me l'aveva detto e io non gliel'avevo chiesto. Perché non sono affari miei..." Joan aveva un'aria così divertita che fu come gridando per sovrastare un rumore che Sybil proseguì: "Si. Ma poi ha confessato di essere stato con un'altra e di sentirsi in colpa. Perché ci sono io. E io mi sono sentita in colpa nell'andare a letto con un altro fin dalla primissima volta che sono stata con lui."
"Be'," sospirò Joan, "mi sembra una cosa decisa."
"Credo proprio di sì. E tu e Derek? Ti aspetterà finché torni da Bahrein?"
"Così dice, ma io ho i miei dubbi."
Si sorrisero.
"Il mare è pieno di pesci," commentò Sybil.
"Derek non è male. Ma secondo i miei calcoli risparmierò 30.000 sterline laggiù, se tengo duro. Tanto non c'è niente per cui spendere."
"E poi sarai indipendente."
"Già. Appena torno mi compro una casa."
"È una buona idea. Anche Oliver e io cerchiamo casa. Domenica scorsa abbiamo cominciato a guardarci in giro. È divertente andar per case. Ce n'era una che, secondo me, lui sarebbe stato disposto a prendere, ma io gli ho detto: no, se dobbiamo mirare in alto allora facciamolo sul serio. Quella casa non è abbastanza. La tua carriera va sempre meglio, gli ho detto, ed è proprio così. Va sparato come un razzo nella sua ditta, ogni giorno che passa diventa un partito più invidiabile."
"In effetti hai sempre detto che ti saresti sposata per soldi."
"È vero. Ed è quello che sto facendo. Però non lo sposerei se non provassi quello che provo per lui."
"Non sarà che provi quello che provi perché è tanto un buon partito?" chiese Joan ridendo.
"Probabilmente. Ma cosa c'è di male?"
"Lo sposeresti se fosse povero?"
Adesso le due sorelle erano protese l'una verso l'altra, con i volti vicini, ridenti e divertiti.
"No, non lo sposerei. Per me i soldi sono indispensabili. Mi conosco, no?"
"Spero bene," rispose la sorella maggiore, tornando d'un tratto seria.
Nel frattempo le persone lì intorno si scambiavano sorrisi per via delle due giovani avventurose e probabilmente pensavano di doversi sentire scandalizzate, o qualcosa di simile.
Fecero una pausa per dedicarsi a caffè, brioche, succo di frutta.
E poi, di colpo, Sybil annunciò: "E faremo tutti e due il test per l'AIDS". A quel punto la gente che ascoltava smise di sorridere, anche se certamente non di seguire la conversazione. "L'abbiamo deciso nello stesso momento. Sono stata io la prima a parlarne e ho scoperto che ci aveva pensato anche lui. Dopo il divorzio si è dato un gran da fare, e anch'io, da quando sono arrivata a Londra. Non si sa mai. Ma il problema è che voglio andare privatamente, perché se lo fai con la mutua resta archiviato e può scoprirlo chiunque. E così poi dai l'impressione di essere preoccupato."
"Costa caro?"
"Sì. Be', io non me lo posso permettere, non ho i soldi, ma Oliver può e me lo pagherà lui."
Joan sorrise. "Questo sì che è un modo per responsabilizzarlo."
"Già."
"Cosa farete se uno dei due risultasse positivo?"
"Oh, sono certa che non succederà! Siamo tutti e due assolutamente etero. Però non si sa mai, preferiamo metterci al sicuro. No, faremo il test e poi ci scambieremo i certificati." Il suo viso aveva un'espressione dolce e sognante, piena d'amore. Per la prima volta si era dimenticata del suo pubblico.
"Be'," disse Joan, bevendo il caffè a piccoli sorsi composti. "È un modo come un altro."
"È un gesto molto più significativo di un anello di fidanzamento, voglio dire, è un vero impegno."
"E poi dovrà esserti fedele, giusto?"
"E io dovrò essere fedele a lui!"
Joan fece una faccia da cui traspariva che non era la stessa cosa. Poi chiese, ironicamente: "Fedeli per sempre?"
"Sì... be'... comunque finché potremo. Nessuno di noi due vuole andare a letto con un altro, dato quello che proviamo. E poi che senso ha correre rischi?"
Si guardò intorno, ma il suo pubblico non le badava più. Parlavano tra loro. Se era un modo per mostrare disapprovazione... Ancora due ore e mezza.
Sybil alzò la voce. "Abbiamo provato anche con i preservativi, ma Dio solo sa come fa la gente a usarli. Abbiamo riso tanto che alla fine ci siamo addormentati."
"Shhhh," fece Joan, disperatamente imbarazzata. "Shhhhh." "Perché? Cosa c'è di male, no, lasciatelo dire, se la sicurezza della nazione dipendesse dai preservativi..."
A questo punto un ragazzo che, seduto vicino a loro, aveva ascoltato la conversazione, si alzò essendo arrivato il momento di partire per chissà dove nel mondo. Toccò Sybil sulla spalla e disse: "Se hai dei problemi con i preservativi, chiamami pure... no, davvero, quando vuoi, sarà un piacere!"
Tutt'altro che una proposta, le sue parole erano più un pubblico rimprovero, e sul suo viso c'era l'espressione di chi si assume l'incombenza di mettere le cose a posto. Ma arrivato sulla porta, lanciò loro un'occhiata e un sorriso, prima di scomparire per sempre con un cenno di saluto. Quanto a Joan e Sybil, rimasero sedute, girate a guardarlo mentre se ne andava. Sembravano due adolescenti, con un sorriso scandalizzato e divertito nascosto a metà dietro la mano.

 

(Tratto da Racconti Londinesi, Feltrinelli, Milano, 1992)

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