IL TERRORISMO DI STATO


–Lezione tenuta presso la Libera Università Popolare per il corso “Terrorismi” nel luglio 2005 –


Giorgio Galli



Come abbiamo visto, terrorismo è un termine che, in questo secolo, dall'inizio di questo secolo, dopo l'11 settembre è diventato un termine molto pervasivo, che semplifica una serie di situazioni molto complicate. Avevamo detto la scorsa settimana, anche, che la cultura della sinistra ha un problema di fronte a questo tema, ed al terrorismo come categoria politica che deriva in parte dalla sua storia, e questo l'abbiamo cercato di inquadrare nella scorsa conversazione.


Il terrorismo di stato è invece un concetto che è nato quasi come risposta nell'ambito della cultura della sinistra di fronte alla tendenza da parte di altre culture, quella di destra ma anche quella liberal-conservatrice, soprattutto negli ultimi anni, di definire terrorismo quasi tutte le iniziative volte ad unificare la situazione esistente, o a promuovere movimenti di ribellione per fini specifici di indipendenza nazionale ed altro (questo sarà il tema della prossima lezione di Calchi Novati). E allora, però, anche in questo caso, bisogna evitare le semplificazioni: io credo che la cultura della sinistra debba affrontare i problemi, e con grande determinazione debba tener conto delle sue difficoltà, ma debba rifuggire dalle semplificazioni che in questo momento soprattutto in Italia sono molto usate da due culture che si intrecciano nel panorama sociale, nel suo panorama culturale ed anche nella maggioranza di governo; cioè una cultura di tipo liberal-liberista ed una cultura che invece fa un riferimento esplicito o implicito alle tradizioni culturali della destra. Questo tipo di cultura è orientata a semplificare le analisi delle situazioni così come la sinistra italiana, anche per la sua particolare storia, in buona parte la storia del partito comunista, è diventata molto problematica e in qualche caso dubbiosa. Teniamo conto di tutti questi elementi quando cerchiamo di vedere come si può definire la categoria semplificata nel termine "terrorismo di stato", che non deve essere una risposta semplificatrice alle semplificazioni della cultura non di sinistra, ma deve essere, per quanto è possibile, una riflessione più approfondita. In realtà nella pratica si tende a dire, da parte di una certa cultura della sinistra, che il terrorismo di stato è una risposta alle lotte di liberazione o a qualsiasi lotta. L'altro giorno si era parlato del periodo della lotta armata in Italia, ad un certo punto le Brigate Rosse rispondevano all'accusa di essere terroristi dicendo che in realtà il terrorista era Pirelli, ed in uno dei loro comunicati, quando incendiarono dei camion sulla pista di Lainate, o addirittura durante il sequestro Sossi definirono il ministro degli interni di allora Taviani, il terrorista di stato Taviani. Ora, si tratta di semplificazioni che possono essere usate in un contesto propagandistico, ma credo che non siano molto utili ad approfondire le questioni che si presentano. Così oggi la resistenza palestinese definisce terrorismo di stato il comportamento di Israele, del resto le immagini le vediamo quasi tutte le sere in televisione, e anche Samir Amin vede negli Stati Uniti un terrorismo di stato. Io credo che invece il concetto vada esaminato sotto due profili: uno riguarda le democrazie rappresentative moderne, cioè il tipo di società e di cultura politica alla quale ci troviamo di fronte come egemoni in occidente, che ha il problema di come far coesistere la democrazia rappresentativa che - per usare le parole di Norberto Bobbio, filosofo scomparso che tutti conosciamo - dovrebbe essere una "casa di vetro", cioè un sistema di organizzazione del potere sotto gli occhi dei cittadini nel suo processo decisionale e costantemente controllato dai cittadini, col problema della sicurezza che viene talvolta enfatizzato, ma che senza dubbio esiste. Cioè la democrazia rappresentativa ha problemi di sicurezza sia nella gestione interna, per esempio nelle società moderne ha un grandissimo peso il crimine organizzato. In Italia abbiamo poi abbiamo una plurisecolare esperienza del crimine organizzato dalla camorra, dalla mafia, dalla n'drangheta in Calabria, dalla Corona Unita in Puglia; quindi c'è un problema di sicurezza interna, che investe soprattutto la sicurezza del singolo cittadino. Pensiamo alla mafia siciliana: erano dei mercenari, dei latifondisti oltre ad altre cose, e adesso è una multinazionale finanziaria. Di fronte a questo problema la democrazia rappresentativa non ha saputo inventare un comportamento che sia in sintonia con l'essere una "casa di vetro", cioè un potere esercitato secondo regole precise e controllato da parte dei cittadini, ha dovuto istituire dei servizi di sicurezza che per definizione sono segreti. Questo già sul piano interno. La situazione è molto più complessa sul piano internazionale, quando la nascita dello stato moderno si è accompagnata ai conflitti dello stato stesso, per rappresentare il quale uno dei teologi della sua nascita, il filosofo inglese Thomas Hobbes, aveva escogitato la celebre figura del Leviatano, cioè di un mostro biblico dotato di enorme potenza (una figura del libro di Giobbe). Gli stati moderni da un lato hanno garantito un miglioramento diffuso del tenore di vita, hanno garantito diritti politici e civili, le moderne democrazie rappresentative, ma dall'altro si sono impegnati in una serie di competizioni a livello internazionale a partire dall'epoca dell'impero inglese, che è il luogo dove con la rivoluzione del 1640/1648 nasce lo stato di diritto, la moderna rappresentanza democratica, il parlamento con potere legislativo. Ma, nello stesso tempo, è il primo grande impero dei tempi moderni, retto in forma di democrazia rappresentativa; c'era la competizione con la Spagna dove non c'era la democrazia rappresentativa, ed è il primo di una serie di istituzioni per le quali anche nazioni nuove, liberal-democratiche, che nascono anche da situazioni rivoluzionarie, come gli Stati Uniti nel 1776 e poi la Francia nel 1789, diventano rapidamente degli imperi, e su questa via li seguirà la Germania alla metà del XIX secolo e persino l'Italia, che non è mai stata una grande potenza, ha tuttavia perseguito una sua politica di espansione imperiale che ha toccato il culmine ed il disastro col fascismo ma che era cominciata prima, era cominciata con il partito rivoluzionario di Francesco Crispi. Quindi questi grandi stati in competizione tra loro, hanno tra gli strumenti della competizione, oltre l'organizzazione, i servizi di sicurezza, che non devono più proteggere il cittadino rispetto ai rischi che possono nascere all'interno dello stato per resistenza del crimine organizzato, ma che derivano dalla competizione internazionale tra stati. E tutti gli stati moderni, a partire addirittura dall'Inghilterra prerivoluzionaria, dall'Inghilterra della regina Elisabetta, hanno costruito dei sistemi che accompagnavano l'espansione imperiale, come il servirsi in un primo tempo dei sistemi di spionaggio per poter essere messi al corrente delle mosse degli altri concorrenti e per potere prendere le misura adeguate, e che poi col passare dei secoli, due o tre, sono diventate quelle che adesso sono definite intelligence. E' scontato che i servizi di sicurezza, queste polizie che diventano degli stati nello stato, ci sono anche nei regimi autoritari. Abbiamo degli esempi chiarissimi, il ruolo del KGB nella storia russa, il ruolo della Gestapo nei 12 anni hitleriani e per esempio, per quanto riguarda il regime fascista, la celebre Ovra. Però, in questo momento, e per il discorso che ci riguarda, l'attenzione va posta soprattutto sugli stati liberal-democratici, anche se nella scena mondiale il peso di questi apparati di sicurezza o intelligence, se così li vogliamo chiamare, ha un ruolo importante in tutti gli stati anche autoritari o che non hanno l'esperienza della liberal-democrazia. In questo ambito nasce la questione di quello che si può chiamare terrorismo di stato, perché questi apparati di sicurezza via via che si sono sviluppati e che sono diventati dei veri e propri stati nello stato, conducono una sorta di guerra permanente contro i concorrenti, una guerra nella quale la democrazia non funziona più come "casa di vetro", non controlla l'operato dei servizi in molti casi e questi servizi ragionano secondo una loro logica che è l'opposto della logica della democrazia rappresentativa. Da un lato ci deve essere l'evidenza, la chiarezza della "casa di vetro", e dall'altro ci deve essere la riservatezza, il segreto, perché altrimenti questi servizi non potrebbero operare. Questa è una questione di fondo, secondo me, della moderna democrazia rappresentativa - per questo Kant ne aveva intuito l'importanza sin da quando parlava del lavoro delle spie come di armi infernali - e poi, nel frattempo, non abbiamo più il lavoro delle spie, abbiamo delle vere e proprie organizzazioni che, stati nello stato, gestiscono la sicurezza con criteri e con una logica che è diversa e qualche volta opposta alla logica delle democrazie rappresentative. E' in questo contesto che molto spesso questi servizi svolgono la loro funzione, prendono iniziative, e c'è un termine, dirty plays, un termine inventato dalle intelligence community degli Stati uniti: giochi sporchi. Dirty plays che molto spesso hanno qualcosa di simile all'attività che viene definita terrorismo: infiltrazione, organizzazione di attentati, o di stragi. E questa è una situazione nella quale, al di là delle semplificazioni, e al di là dell'usare il termine terrorismo da parte della sinistra come una sorta di risposta polemica all'uso del termine terrorismo da parte della destra, non ci troviamo di fronte alla competizione tra due impostazioni propagandistiche semplificate, ci troviamo di fronte ad un problema di fondo della democrazia rappresentativa che, da un lato tenta di operare come "casa di vetro" e sottopone il potere formalmente ad un costante controllo dei cittadini, alle consultazioni periodiche, alle competizioni fra i partiti, la libertà di stampa e di opinione con tutti i limiti che ci possono essere, ma sto parlando dei principi della democrazia rappresentativa. Quindi da un lato i sistemi politici nei quali viviamo sono questi. In questi sistemi politici esistono poi apparati di sicurezza la cui logica è, come dicevo, tutta diversa, e molto spesso li porta a compiere iniziative che sono speculari a quelle di una lotta armata, talvolta definita terrorismo. E' questo uno dei due grandi problemi che ha la democrazia rappresentativa, e che ha in particolare la sinistra nella misura in cui vorrebbe proporre una democrazia rappresentativa con maggiore partecipazione e con maggior controllo effettivo da parte dei cittadini. Naturalmente ci sono, per ottenere questo risultato, una maggiore partecipazione da parte dei cittadini, ci sono varie altre importanti questioni. Nella cultura marxista è importantissima la separazione tra potere politico e potere economico con un potere economico che non deriva da nessuna investitura popolare ma da altri fattori. E d'altro canto nelle società moderne è importantissimo il ruolo dei mezzi di educazione di massa (in Italia ne abbiamo un esempio clamoroso) che può distorcere il corretto funzionamento della democrazia rappresentativa. Quindi abbiamo, in questa fase di passaggio tra il XX ed il XXI secolo, problemi di vario tipo concernenti il buon funzionamento della democrazia rappresentativa, tra questi problemi c'è anche quello dell'esistenza di corpi (in Italia definiti talvolta "corpi separati" ma che in realtà sono strutture istituzionali) il cui comportamento e la cui logica possono essere paragonati a quelli di attività che vengono definite terroristiche. E questa è una prima questione. La seconda questione è invece quel fenomeno non di terrorismo di "elite", potremmo dire, ma di terrorismo di massa, che sono le guerre moderne e soprattutto le guerre aeree iniziate nel XX secolo. Questo particolare tipo di guerra naturalmente si può ritenere che provochi spavento, paura, terrore, si può dire in generale che ogni guerra può essere una guerra terroristica nella misura in cui provoca terrore. E a questo momento si pongono vari problemi di tipo filosofico, tipo "da dove nasce il male", o come il male è presente nella natura umana in ciascuno di noi e nelle varie forme di organizzazioni sociali, dagli antichi imperi asiatici sino appunto alle moderne democrazie rappresentative. E' un discorso generale di come la guerra è entrata nel cammino dell'umanità. Però la riflessione che voglio fare è specifica, e riguarda la situazione nella quale ci siamo trovati di fronte negli ultimi decenni, non alla guerra in genere, ma ad un particolare tipo di guerra il cui scopo dichiarato è di diffondere il terrore; ne abbiamo fatto un accenno anche nella scorsa settimana e adesso voglio precisare, che quando si parla di terrorismo di stato, da un lato si può pensare all'operato dei servizi segreti, le cui iniziative e le cui azioni possono corrispondere a quelle dei terroristi, ma dall'altro soprattutto al carattere che ha assunto la guerra moderna, che come obiettivo di terrorizzare la popolazione e soprattutto di terrorizzarla mediante bombardamenti indiscriminati dall'alto. In Italia abbiamo una storia interessante a questo proposito. Sul piano pratico il primo uso di aerei militari in operazioni di guerra è avvenuto in Libia durante la guerra italo-turca del 1911; però era un uso ancora nei limiti di una guerra tra combattenti. Il primo aereo Italiano che venne utilizzato per un'azione bellica mitragliava i libici, gli arabo turchi che combattevano sul terreno. Però la presenza italiana in questa vicenda è anche più ampia, perché abbiamo avuto. si può dire, in Italia, il generale Giulio Douhet che è stato il primo teorico della guerra aerea con due valutazioni molto diverse: la prima anteriore alla prima guerra mondiale, e la seconda valutazione posteriore alla prima guerra mondiale. Nel primo libro Douhet, con un'intuizione geniale, immaginava che la guerra aerea avrebbe potuto rivoluzionare i tradizionali concetti della guerra: le potenze che per prime avessero visto questa utilità avrebbero conseguito un vantaggio strategico nella conduzione della guerra futura. Vediamo che questa idea dell'arma aerea come decisiva nasceva più o meno sempre attorno alla prima guerra mondiale, con l'idea del primo uso del carro armato e delle forze corazzate; e che questo uso dell'aereo e l'uso del carro armato sarebbero stati i due elementi decisivi nelle guerre future venne confermato proprio all'inizio della seconda guerra mondiale con la prima esperienza della guerra lampo hitleriana, dove l'arma aerea aveva preso il posto della vecchia artiglieria, e le divisioni corazzate avevano preso il posto della vecchia cavalleria per unire una grande potenza di fuoco ad una grande capacità di movimento. E in questo primo libro Douhet, in questo ambito di riflessione sul pensiero militare era ancora legato al concetto di forze armate, di forze combattenti. La guerra aerea aveva un ruolo importante e sarebbe forse stata decisiva, ma in questo ambito. Dopo la prima guerra mondiale lui ha scritto un secondo libro dove cambia completamente idea, ed è uno dei primo a dire che in realtà l'arma aerea può essere ancora più decisiva rispetto al suo uso in battaglie tra combattenti; può essere decisiva nel far venir meno la volontà di combattere dell'avversario attraverso l'uso indiscriminato del bombardamento aereo anche sulla popolazione civile. Questo è un salto, secondo me, e con questo salto si può arrivare alla seconda e più pericolosa dimensione di quello che si può chiamare terrorismo di stato, proprio nel senso che lo stato per vincere una guerra deve terrorizzare la popolazione civile del nemico. Ecco, in questo senso, il termine terrore è usato in modo esplicito e dichiarato. E' in questo senso che possiamo pensare al terrorismo di stato: Douhet ha intuito il futuro perché effettivamente la seconda guerra mondiale fu dominata da questo concetto applicato da tutti i combattenti ad eccezione dell'URSS (non per una scelta ideale, ma per il fatto che l'URSS diede il suo grande contributo alla sconfitta della coalizione hitleriana sviluppando una delle due componenti della guerra moderna, non l'aereo ma il carro armato). L'arma aerea ebbe un ruolo decisivo nella guerra in occidente. Questo uso comincia con la prima grande battaglia aerea con queste caratteristiche, che fu quella che venne chiamata la grande battaglia d'Inghilterra (agosto-sett. 1940) nel quale l'aviazione di Goering colpì le città inglesi nella speranza di preparare un eventuale sbarco in Inghilterra: l'operazione che nei piani dello stato maggiore tedesco venne definita "Leone marino". Una guerra dall'alto con massicce distruzioni (la più nota è la città di Coventry, un centro industriale inglese che i tedeschi rasero completamente al suolo), e nei primi mesi dell'estate-autunno del 1940 della seconda guerra mondiale venne molto usato anche dalla propaganda fascista in Italia il verbo coventrizzare, che significava distruggere una città per terrorizzare la popolazione civile. Ma non era una caratteristica della sola Germania hitleriana, perché questa stessa strategia divenne centrale per gli alleati: prima l'Inghilterra, anzi forse il primo bombardamento di obiettivi civili e non militari contemporaneo alla battaglia d'Inghilterra fu un audace raid di bombardieri inglesi su Berlino, perché nella prima fase della battaglia d'Inghilterra, che avrebbe dovuto preparare lo sbarco in questa prima fase, cercò di colpire obiettivi militari e, senza riuscirci, di neutralizzare il sistema radar che era un'invenzione inglese. Però rapidamente da questa prima fase si passa alla seconda fase, che è quella di colpire la popolazione civile per minarne il morale e preparare le condizioni per una possibile vittoria militare. Questa strategia fu fatta immediatamente propria dagli Inglesi prima e poi dagli Stati Uniti. Ho ricordato anche la scorsa settimana che c'è stata qui a Milano una bella mostra sui bombardamenti di Milano, soprattutto quelli dell'estate del '43 in cui praticamente furono distrutte il 70% delle case. In quella mostra oltre ad altri aspetti interessanti c'era la dichiarazione teorica del maresciallo dell'aria Harris, il condottiero della Raf (Royal Air Force), che appunto teorizzava la necessità di colpire la popolazione civile per spaventarla, per terrorizzarla, per minarne il morale e creare così le condizioni per la sconfitta dell'Italia e soprattutto della Germania. Adesso anche la storiografia inglese mette in luce quelli che furono i risultati: nel 1944, quando divenne ministro degli armamenti Albert Speer, il famoso architetto amico di Hitler, la produzione bellica tedesca raggiunse il massimo, quindi i bombardamenti non intaccarono la capacità tedesca di produrre armi per la guerra, anzi furono prodotti in quel periodo alcuni dei mezzi bellici più innovativi, ma furono distrutte l'80% delle città tedesche con centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile. E questo fu teorizzato come obiettivo dichiarato della guerra moderna, ed in questo senso credo che il termine terrorismo di stato può essere usato non come una metafora o uno strumento di semplificazione propagandistica, ma proprio per individuare una modalità che poi ha continuato a caratterizzare la strategia delle grandi potenze e soprattutto quella degli Stati Uniti. Questo è il passaggio. Io non se e quanto siano forti gli argomenti che usa Samir Amin per parlare degli Stati Uniti come stato terrorista, probabilmente una parte di questi argomenti possono non essere convincenti, però, da un lato, a sostenerli c'è certamente la situazione che ho ricordato prima dei servizi segreti come arma fondamentale degli stati moderni e della politica moderna, e dall'altra c'è il fatto che gli Stati Uniti hanno teorizzato la guerra aerea per terrorizzare la popolazione civile come l'arma decisiva nella strategia complessiva degli Stati Uniti. Abbiamo degli esempi tanto nella conduzione che ho detto della seconda guerra mondiale, quanto nel primo e per fortuna sinora unico uso della bomba atomica che venne fatto sulle città giapponesi, che non venne usata nel corso di una battaglia tra forze combattenti, ma in un'occasione a Hiroshima e poi a Nagasaki per terrorizzare il Giappone; tra l'altro in una fase nella quale il Giappone era già rassegnato alla sconfitta ed alla resa. Su questo anche la recente storiografia degli Stati Uniti tende ad eliminare gli ultimi dubbi. Certo c'era nello stato maggiore giapponese questa vocazione al suicidio eroico. Adesso si chiamano impropriamente kamikaze quelli che sarebbe più giusto definire bombe umane, ma il kamikaze vento divino, il termine giapponese che significa vento divino, nasce dalla cultura militarista giapponese. Il vento divino è nella storia del Giappone una tempesta naturale non provocata dall'uomo, uno dei grandi tifoni che caratterizzano i mari dell'estremo oriente che distrussero la flotta tartara che si preparava all'invasione del Giappone( parliamo del 1100- 1200). Questo venne interpretato nella cultura religiosa scintoista del Giappone come il segno che il Giappone era protetto dagli dei e che il vento divino contribuiva a sconfiggere i nemici dell'imperatore. Sulla base di questa tradizione culturale vennero inventati i piloti suicidi, cosiddetti kamikaze, che presero il nome divino e che avrebbero dovuto colpire nell'unico modo possibile la flotta americana. Fu un grandioso successo e il fior fiore dei giovani giapponesi morirono. Ormai lo strapotere americano era tale che non c'era alcuna capacità di contrapposizione da parte del Giappone. L'ultima grande battaglia navale-aerea finì con la quasi totale distruzione della flotta giapponese. E certamente nella primavera del 45 c'era ancora nello stato maggiore dell'esercito e nella marina una minoranza che preferiva il suicidio collettivo alla sconfitta ed alla resa. Ma in realtà già nella primavera del 1945 attraverso l'ambasciata del Giappone a Bernail, il governo giapponese era presieduto da un generale che poi venne impiccato come criminale di guerra, nonostante la resistenza di questi circoli della tradizione militare votata al suicidio piuttosto che alla resa, avevano preso contatto con gli alleati, specificamente con gli Stati Uniti per trattare la resa del Giappone; quindi le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki non poterono avere la giustificazione che ebbero inizialmente. La giustificazione iniziale fu quella che un'invasione del Giappone, secondo i calcoli che aveva effettuato il Pentagono, sarebbe costata agli stati uniti 5-600mila morti. Erano dei calcoli del tutto inesatti perchè erano basati sull'usare come parametro le perdite subite nelle isole periferiche del Giappone, come Okinaua, che poi sono diventate celebri, avrete visto tante volte quella foto dei marines che alzano la bandiera degli Stati Uniti. Non è che furono elevatissimi, ci furono decina di morti per conquistare queste piccole isole, e questo fu usato come parametro per stabilire quante perdite invece sarebbe costata la conquista delle isole principali del Giappone. Ma questo calcolo era stato fatto quando il Giappone aveva ancora una capacità combattiva, quando disponeva ancora di una flotta e quando aveva ancora un'arma aerea. Nell'estate, già nel giugno-luglio, dopo la distruzione della flotta giapponese nella battaglia di Leida al largo delle Filippine, il Giappone non aveva praticamente più flotta e gli ultimi piloti che aveva gli usava come kamikaze senza nessun risultato, cadevano a centinaia per danneggiare una nave americana, quindi usare come parametro Okinaua era del tutto errato; la giustificazione era che così si sarebbero salvate 600mila vite americane era del tutto infondata e l'invasione del Giappone avrebbe potuto avvenire con perdite molto minori; ed in ogni caso il Giappone poi si arrese ancora prima dell'invasione. Quindi io credo, anche gli storici americani adesso sono arrivati sostanzialmente a sostenere questo, che queste bombe atomiche furono sganciate in base alla logica che ho detto prima: la guerra odierna si vince terrorizzando la popolazione civile; ed anche come monito all'Unione Sovietica. Così come per quanto riguarda invece gli inglesi, l'inutile bombardamento di Dresda che causò 100-120mila vittime quando ormai la Germania era ormai allo stremo e non era più in grado di imporre una efficace resistenza militare. E anche questo agisce come un monito nei confronti dell'Unione Sovietica le cui truppe stavano per arrivare appunto a Dresda. Ecco questa logica della guerra aerea come guerra del terrore, che appunto anche a Milano abbiamo abbondantemente sperimentato 60 anni fa, è diventata paura logica fondamentale nella strategia degli Stati Uniti. Per questo, in questo senso si può ritenere che è stata sistematica e ricordiamo che, sia pure senza ottenere risultati decisivi, fu un'arma ritenuta risolutiva per la guerra del Vietnam, paese che fu praticamente devastato da massicci e ripetuti bombardamenti, ma lo stato maggiore americano disse che in realtà non era stata decisiva perchè si sarebbe dovuto bombardare ancora di più, e quindi non venne ritenuta una prova dell'insufficienza della guerra aerea del terrore dal cielo per vincere la guerra. L'interpretazione americana fu che non era stata decisiva perché non era stata usata abbastanza spietatezza, non si era, si potrebbe dire, proiettato sufficiente terrore per piegare il Nord Vietnam anche perché ci fu una diffusa reazione dell'opinione pubblica americana. Questo è comunque, dicevo, il ruolo dell'arma aerea per colpire la popolazione civile e rimane tuttora un aspetto decisivo della strategia degli Stati Uniti. Già adesso, se si legge la stampa americana di questi giorni, continuano i bombardamenti aerei sulle città occupate dalla guerriglia irachena, Falluja, poi si immagina che subito dopo le elezioni questo sarà lo strumento decisivo per tentare di riconquistare queste città. Quindi la lunga storia che in parte è cominciata anche in Italia con le teorie del generale Douhet è purtroppo cronaca di questi giorni in Irak. Io credo che questi siano i due aspetti sotto i quali, al di là di informazioni propagandistiche o di ritorsioni di propaganda o di polemica, si possono vedere i problemi che oggi abbiamo di fronte a quello che si può considerare, può essere definito terrorismo di stato, pur con tutte le cautele che abbiamo visto, l'uso onnicomprensivo del termine terrorismo e le semplificazioni che non aiutano a capire la complessità dei problemi che il mondo, che tutti abbiamo di fronte agli inizi del XXI secolo. Quindi bisogna, ripeto, evitare le semplificazioni ma nello stesso tempo cercare di illustrare le ragioni per le quali ci troviamo di fronte a questo problema che possiamo definire con la categoria politica del terrorismo di stato, le guerre sporche condotte dai servizi segreti delle grandi potenze da un lato, e l'uso sistematico dell'arma aerea per terrorizzare la popolazione civile dall'altro.

 

Giorgio Galli è storico e studioso della politica.

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