LUMPENBORGHESIA E SUPERIORE VERITA’ SPIRITUALE

 

Per una fenomenologia del lumpenborghese, moderna incarnazione dell’imbroglione violento e apertamente antidemocratico, coscienza sporca dell’epoca attuale.

 

 

Karel Kosik

 

1.Fosse vissuto nel nostro tempo, un giorno Goethe avrebbe detto a Eckermann: Mi ascolti con attenzione, oggi le rivelo un grande segreto della storia europea. Nei rivolgimenti e nelle rivoluzioni il popolo ha combattuto sulle barricate, ha rovesciato il vecchio regime, altri però hanno raccolto i frutti della vittoria. Il popolo ha indugiato, lo spazio rimasto libero è stato occupato e utilizzato per i propri interessi egoistici dalle forze capaci di organizzarsi in tempo, che in un lampo hanno conquistato poltrone, alti incarichi, posti remunerativi, posizioni influenti. Così, a ognuno di quei cambiamenti accompagnati da un’iniziale euforia fa seguito prima o poi il disincanto, la disillusione, lo scetticismo nonché, per disgrazia, l’indifferenza. Ma verrà anche il momento favorevole alla riflessione, dalla quale possono nascere progetti di emancipazione o grandi opere artistiche. Presupposto indispensabile di tutte le visioni e dell’immaginazione creativa è comunque l’analisi, ovvero l’arte di leggere.

La miseria dell’oggi consiste nel fatto che gli uomini non sanno leggere, quindi non sanno neppure vivere, L’analfabetismo modernistico li costringe a vegetare in mezzo al comfort e a un’alluvione di informazioni. La filosofia indaga e descrive questa decadenza conforme allo spirito dei tempi. La filosofia è un’arte triplice: arte di leggere, arte di interrogarsi, arte di vivere. Un’arte che non è attività artistica, bensì abilità ed esperienza dello spirito. Anche il filosofo è un artigiano (soltanto! Ma quale nobiltà, quale onore), vive gli anni dell’apprendistato, della bottega; solamente con la sua opera, con l’analisi dell’esperienza del proprio tempo e della realtà nel suo insieme proverà di essere degno dell’attestato di tirocinio e potrà prepararsi all’esame di mastro. A differenza di altre specializzazioni, come arare, curare, approntare tavoli e bare, comporre, l’artigianato filosofico è universale, è proprio della sostanza dell’uomo. Dappertutto dove l’arte d’interrogarsi, l’arte di leggere, l’arte di “vivere nella verità” cade nell’oblio o è soppiantata da surrogati a essere minacciata è la stessa umanità dell’uomo.

La filosofia comincia con lo stupore, ma nasce inoltre dalla domanda e dall’imbarazzo. La saggezza fondamentale di Socrate suona: fino a che non ce lo avete chiesto ritenevamo di sapere cosa fossero verità e bellezza, tempo, democrazia, ma adesso, dopo la vostra domanda, siamo confusi. Per contro, l’ideologo è onnisciente, ha una risposta per qualsiasi domanda. La risposta non solamente preparata, è già pronta, è confezionata con postulati ideologici, è il prodotto di una confezione ideologica. Il ministro sa in anticipo cosa rispondere, sarebbe sconveniente per la sua funzione trovarsi in imbarazzo, ne scapiterebbe la sua dignità. Ma ciò che è sconveniente per il ministro è privilegio del filosofo, il quale non si vergogna di sentirsi e tornare costantemente a sentirsi in imbarazzo, di non sapere cosa fare, ragione per cui si consulta, cerca consiglio. Presso chi? Per definizione sostanziale l’io è disputa. L’io è disputa, non conversazione. L’io è disputa nella quale un io parla e un secondo io ascolta, uno domanda, l’altro risponde e si alternano nelle domande e nelle risposte, guidati da un unico scopo: la ricerca della verità. Ma l’io interrogante e l’io che risponde non sono due persone distinte, sono un solo io che si costituisce nelle discussione. I questo modo l’io si differenzia dal mercato, nel  quale ciascuno afferma la propria opinione e impone all’altro il proprio giudizio.

 

2. Al congresso dell’Unione cecoslovacca degli scrittori, nel 1967, parlai del “grande intellettuale ceco” del XV secolo. Oggi sceglierei altre parole. Renderei omaggio al cristiano buono e coraggioso. La grandezza storica di quell’uomo è incontestabile, dura e durerà nei secoli. Per questo nessuna decisione di qualsiasi commissione d’inchiesta può metterla in  dubbio, né ridurla, né accrescerla. Considero un riuscito contributo all’odierna farsa ceca l’espressione “Hus predicava eresie”, usata nel 1996 dall’arcivescovo di Praga, o l’idea secondo la quale è tanto più vicino a Dio chi più in lato si trova nella gerarchia ecclesiastica.

Quando le persone colte non sono fedeli alla propria destinazione, missione, mestiere e indossano le vesti di salvatori, di protettori, di profeti o cadono ancora più in basso, al fine di prodursi sui mezzi di comunicazione di massa seguendo l’esempio delle stelle del cinema, in tali momenti di decadenza un tema sembra essere la via d’uscita dalla crisi: il ruolo degli intellettuali nella società. Si organizzano simposi, conferenze, congressi, nei quali gli intellettuali gareggiano per superarsi in sentenze acute, nei giudizi su se stessi, nel valutare e apprezzare il proprio ruolo. Si guardano con ammirazione l’un l’altro, abbagliati dalla fama o dalla popolarità ascoltano compiaciuti i propri discorsi, si sentono importanti. Sono caduti nel narcisismo, per questo valutano erroneamente la situazione, sopravvalutano la propria importanza, s’inebriano all’idea di entrare negli annali imperituri della storia, in realtà figurano soltanto nella superficiale attualità. Anche autori importanti cadono in errore, quando comparano l’incomparabile. In Dürrenmatt, nel gioco delle parti (Rollenspiele) di personalità storiche, Walesa assume il ruolo di Hus. Ma  si tratta di un grosso equivoco: Hus non è Walesa e Walesa non è Hus. La loro fine quindi le loro origini sono divergenti.

L’erudito documenta la propria erudizione quando supera la limitatezza della setta intellettuale. L’erudito dimostra fedeltà all’erudizione se sa scrivere: “Il mondo censura ciò che vi è di più bello nell’uomo…Chi non va all’abbeveratoio con in resto del gregge viene crocefisso”. “Se siamo mendicanti, il mondo per noi acquista ben altro significato”. (La grande prosatrice ceca ha s ritto in tedesco quest’ultima frase.)

In quanto prodotto del proprio tempo, l’intellettuale di oggi cerca la visibilità, perchè non sa che l’essenza dell’uomo è – essere, e non rappresentarsi.

 

3. “Render(si) visibile” è la locuzione che ricorre con maggiore frequenza nel vocabolario degli odierni governanti. E’ istruttivo confrontare la lingua della burocrazia detronizzata con il linguaggio degli attuali detentori del potere. I gestori del socialismo reale traevano la propria terminologia dalla tecnica e dalla tecnologia obsolete del XIX secolo: leggi ferree dello sviluppo storico, cinghie d i trasmissione, ingegneri dell’animo umano, nonché Banìk Ostrava o Locomotiva Plzen. I nuovi dirigenti si tengono al passo con il progresso, per questo scelgono termini tratti dall’ottica e dal teatro: scena politica, caso spettacolare, spettro politico, scenario catastrofico, inviare segnali, rendersi visibile. Politici e giornalisti, sempre bene informati, non sanno cosa inconsciamente rivelano di se stessi, quale nascosta (top secret) familiarità con il tempo tradiscono, attenendosi a quel vocabolario e non sapendo emanciparsi da tale prigionia.

Dobbiamo prendere alla lettera le parole usate dal ceto governante e comprendere cosa dicono realmente. Chi si rende visibile dà l’impressione di voler essere sempre davanti agli occhi altrui, si augura di essere il centro dell’interesse, mira a richiamare su di sé l’attenzione del pubblico e quindi a svolgere un ruolo importante. Chi non si mostra, chi non è più sui mezzi di comunicazione di massa o ne è stato escluiso scade a grandezza trascurabile, è diventato un’ombra. Essere significa rappresentarsi e sembrare. L’apparenza è reale, l’essere è un’astrazione irreale.

Figura centrale del tempo è lo Schauspieler. Il suo avvento annuncia l’estinguersi della cultura. Questa fa uscire da ciò che è convenzionale, ovvio, dalla dimenticanza (ricordati uomo, chi sei in realtà), da ciò che è corrente, dall’abitudine e offre un soggiorno poetico sulla Terra. Emancipa gli uomini dall’ambiente dove vegetano, circondati dal comfort, in corsa per la carriera, la ricchezza, l’incarico. Cultura significa: vi è un tempo per la tristezza e un tempo per il divertimento, un tempo per il lavoro e un tempo per il riposo, un tempo per la lotta e u tempo per la conciliazione, ama l’epoca degli Schauspieler annulla questa differenza emancipatrice: tutto si fonde nel grigiore, nell’indistinguibilità, nell’indifferenza. Oggi  lo Schauspieler si mette in mostra (davanti alle telecamere ) triste come sulla tomba di un amico, ma già domani si presenterà alle nozze della propria figlia. Stile e ritmo di vita sono dettati dall’esterno: chi vuole essere qualcuno deve possedere immagine. L’immagine è la maschera postmodernistica. Entra in scena come succedaneo di ideali e idee che non hanno più corso, decrepiti. L’immagine è tutto e troneggia su tutto, in molti casi rende più della restituzione di un palazzo di appartamenti d’affitto. Vale oro una buona immagine, un’immagine fatta su misura.

Chi si fa visibile dà vita (come un artista ) al quadro di se stesso (ritratto) e lo presenta al pubblico. La società diventa un gioco di quadri (immagini), che rappresentano e sostituiscono gli uomini reali. Un nuovo gioco di società gode di molto favore: il gioco dei ritratti. La società si cambia in gioco con i ritratti, gioco dei ritratti, in comunicazione competitiva tra ritratti.

L’immagine nasce dall’unione di due elementi eterogenei: rendersi ed essere reso visibile. L’avvocato scaltro, che ha compreso la “trasformazione economica” come occasione favorevole per l’arricchimento personale e ha comperato tempestivamente proprietà  immobiliari a basso prezzo per rivenderle a caro prezzo al momento giusto, di colpo viene presentato (“reso”) sui mezzi di comunicazione di massa come un uomo fedele ai principi con uno sviluppato senso per l’equità. Dalla sera alla mattina i media fanno di un funzionario industrioso un capo politico di primo piano. Una giornalista poco nota viene innalzata di colpo a nona o quindicesima dama  del paese (della repubblica, del regno, dell’impero) , la persona in questione accetta il ruolo che le viene assegnato, si immedesima in esso e recita la parte della dama.

Qui si rivela la differenza sostanziale tra lo Schauspieler e l’attore. Questi non gioca a fare il signore o il geloso, ma in uno spazio limitato, sul palcoscenico, recita, vale a dire rappresenta il re, Amleto, Mefistofele. Lo Schauspieler, per contro, cambia la realtà nella propria scena , vi si produce, si fa beffa di questo e di quello, recita da prudente, da esperto, da profeta.

Con gli attori di cui dispone e che peraltro fabbrica per i suoi bisogni (per la recita), l’epoca odierna può rappresentare solamente una farsa non certo una tragedia o una commedia. Dotata della tecnica più avanzata è capace di tutto, ma le fa difetto il senso per ciò che è nobile, umoristico, sacrale: è semplicemente farsesca. L’arlemaccheria costituisce il contenuto più interiore della sua vuotezza.

A poco tempo dalla sua ascesa, oggi il ceto governativo della Cerchia si trova, davanti allo sguardo vigile della nazione, come il celebre abbandonato, tormentato “solo soletto”. Si comporta tuttavia come se avesse la situazione “sotto pieno controllo”. ( Il come se è parte integrante della farsa.) Dove è lo Jaroslav Hasek che potrebbe descrivere questo momento della storia nazionale?

 

4. Tempo fa uno scrittore e dissidente ungherese espresse un’opinione interessante: chei vuole la democrazia deve accettare come un sovrappiù anche il capitalismo. Gli ungheresi sono stati spesso (1848, 1956) più audaci dei ciechi, perciò non sorprende che gli eruditi di Budapest parlino apertamente di capitalismo, mentre i loro colleghi praghesi ancora non gradiscono la parola. Gli umanisti cechi detestano tanto il termine capitalismo, ne provano un ribrezzo tale che non se lo fanno salire alla labbra. Una particolare e amabile attenzione prestano invece a tre lettere magiche che, ordinate in parola, per loro significano il mondo: TRH (mercato). Decantano il mercato come apportatore di vantaggio a tutti, ai ricchi e ai poveri. Ma la caratteristica del tempo in cui viviamo non è il mercato, bensì la globalizzazione capitalistica, il dominio planetario del supercapitale. Chi confonde il mercato con il capitalismo nega l’esistenza del super capitale come potenza planetaria. Per esso il mercato è soltanto uno strumento subordinato al proprio funzionamento. Chi esalta il mercato, per nascondere dietro questa facciata l’esistenza del supercapitale, è vittima di una mistificazione e inoltre, coscientemente o meno, al diffonde. Il pianeta è diretto da giganti sotto la cui funzione di amministratori (o di fattori) il mondo cessa di essere mondo, scade a semi-mondo, si trasforma in un sistema nel quale gli uomini e la natura sono inseriti come suoi ubbidienti accessori.

Rispetto ai giganti moderni (General Motors, I. G. Farben, Shell), in lotta tra loro per i mercati e i profitti, cosa sono i grandi della filosofia antica, Eraclito, Platone, Aristotele, i quali disputavano sul senso dell’essere: gigantomakìa perì tes ousias?

I moderni giganti appena nominati, visibili, attivi sono tuttavia semplici esecutori degli ordini di un gigante nascosto, anonimo, innominato, del più alto, del gigante dei giganti, che ha sostituito la mano invisibile del mercato. Non già la mano-spirito bensì l’anti-spirito governa e ordina , trasforma gli uomini, la natura, al storia in propri sottoposti nella vittoriosa campagna globale sul pianeta. I dirigenti di quei giganti vivono nell’illusione di essere tali solamente in quanto specialisti di economia, di finanza, di direzione, ma non sanno che oltre a ciò e al di sopra di ciò esplicano anche un’altra attività. Che sfugge alla loro comprensione.

Il gigante planetario, il super capitale sopporta e tollera la democrazia fino a quando non gli è d’ostacolo. In rapporto alla democrazia il capitalismo non è un di più che il commesso incarta con la merce ordinata, pesa con questa, ma è zavorra e peso che trascinano in basso, è la palla di piombo che impedisce il decollo e il salto. La democrazia non vive con il capitalismo attuale in unione volontaria e naturale, non ha con esso una coesistenza paritaria: il supercapitale limita la democrazia, la riduce a una democrazia incompiuta, non in grado di trovare soluzione per molti problemi  fondamentali dell’oggi. Né l’uomo né il cittadino governano, dice giustamente Popper di questa democrazia. Ma governano i governi? Oppure semplicemente amministrano – come manager, fattori,commissari, manutentori – il latifondo planetario dell’occulto governante anonimo che da dietro le quinte detta all’umanità come deve vivere, anzi vegetare in una confortevole vuotezza?

L’importanza, nonché la limitatezza storica del dissenso consiste nell’avere reinstaurato il capitalismo insieme alla democrazia. Jan Patocka non è vissuto abbastanza per poter dire la sua ultima parola: l’appartenenza a Charta 77 significa consenso con il capitalismo? E questo è tra le cose “per le quali vale anche la pena di soffrire”? Gli ex critici dell’establishment non hanno retto al peso della vittoria, sono vittime di un accecamento ideologico e si sono mutati in apologeti del (proprio) regime, al cui sostanza sono incapaci di indagare e definire. Si sono identificati con esso al punto da non accorgersi come il meccanismo di governo li assorba, li manipoli, li ridicolizzi. Sfugge loro che nella coabitazione con l’odierno capitalismo (con il super capitale) la democrazia può funzionare soltanto come “governo di popolo” circoscritto, limitato, imperfetto e perdi più minato interamente da un nuovo ceto: la lumpenborghesia.

La restaurazione del capitalismo: i morti si levano dalle tombe e come spettri, fantasmi scatenati dall’istinto per il possesso di nuovo segnano la sorte degli uomini. Quale strana giustizia viene alla luce negli atti di restituzione e privatizzazione, nella redistribuzione, nella svendita, nella liquidazione, nel saccheggio di una proprietà, il cui possessore, nominale, era (o resta ancora!?) la nazione? E la nazione aveva quella proprietà a giusto titolo o se ne era impadronita

 con il furto? oppure non poteva (e non doveva) averla, giacchè la nazione – come dicono i modernisti – è una finzione romantica?

Il “rospo della cupidigia” priva gli uomini della facoltà di discernere e i precipita in ruoli penosi. Come su un nastro trasportatore si susseguono dispute su una proprietà frutto di lavoro o di intraprendenza altrui, non propria. Per i beni, figli contro padri, vicini contro vicini, imprenditori contro imprenditori alzano i coltelli, come al tempo antico. La peste della bramosia, della cupidigia del consumo parassitario infetta la società, penetra fino ai suoi vertici, sconvolge le cosiddette migliori famiglie.

 

5.Chi ruba in Cechia? È comico che gli uomini politici di qui debbano andare all’estero, per apprendere in incontri casuali ciò che accade nel proprio paese e tornare a casa con una mesta novella: in Cechia si ruba a man bassa! Rubano i tassisti, i camerieri, ciurmaglia di tipo particolare, gli zingari? Ma cosa rappresentano questi imbroglioncelli da strapazzo, sia pure enumerabili a migliaia, di fronte ai grandi depredatori, che nelle loro imprese operano con milioni e miliardi, per i quali la giustizia ha le braccia corte?

Noi, che benediciamo i nostri genitori perché ci hanno lasciato eredi d4ell’onestà – l’onore dei democratici - e perché non hanno gravato la nostra vita col peso di latifondi, grandi magazzini, conti bancari all’estero, noi “canaglia senza beni” per la quale compose versi Karel Toman, non invidiamo nulla a chicchessia e compiangiamo quelli cui la proprietà ha tolto la ragione.

Il passato regime si era autodefinito socialismo e si nascondeva dietro la classe operaia, in realtà ha profanato ambedue i concetti e ha messo fuori gioco l’uno e l’altra. Il regime odierno non ha il coraggio di presentarsi con il suo vero nome, si cela dietro l’insegna del mercato “neutrale”, con o senza aggettivi. L’ideologia ufficiale condanna il socialismo reale e la dittatura burocratico-poliziesca a esso connessa in quanto “comunismo”, al fine di nascondere la sostanza neocapitalistica del sistema odierno e assicurarlo che nessuna alternativa lo minaccia.: nella loro mente e nella sentenza già da loro pronunciata Marx è morto, definitivamente.

La Primavera di Praga a suo tempo dovette essere soffocata, oggi  deve essere minimizzata o lasciata cadere nel dimenticatoio: recava in sé l’embrione di un’alternativa storica.

Essenza della vita è il superare ogni unilateralità, perché la vita non è determinata da una forza monopolistica, bensì continua  e si rinnova come armonia di forze diverse. Chi cade nell’unilateralità diviene prima o poi prigioniero della menzogna. Il primo presidente cecoslovacco espresse nel 1919 un’osservazione acuta; dubito che uno qualsiasi dei politici attuali abbia il coraggio di farla propria: “Il regime sociale capitalistico odierno è unilaterale e ogni unilateralità prima o poi deve avere termine”. La democrazia non è unilateralità, la esclude: non si lascia ridurre a un complesso di valvole, di ventilatori, di fusibili, di pistoni, di freni, di regole procedurali, di istituzioni funzionanti. Nasce da un atteggiamento fondamentale verso la realtà e ha radici nell’interrogativo: chi è l’uomo? L’uomo è tool making animal, un creatura che tramite tecnica e scienza, la tecnoscienza, padroneggia la natura, si arreda la vita sulla Terra come fosse il proprio dominio oppure è zoón politicón? Nella definizione antica non si dice che l’uomo oltre al resto (finanza, sport, viaggi) si occupa anche di politica. L’animale politico è un essere vivo, dotato di favella, che fonda la polis, ovvero la comunità. Con la fondazione della comunità comincia sulla terra qualcosa di assolutamente nuovo, con l’uomo e tramite l’uomo nell’universo penetra un nuovo inizio. Polis ossia comunità: la ripetizione senza fine della partita tra immortali e gli dei, la Terra e il cielo, la ripetizione senza fine del quadrangolare divenire, fondato, minacciato, restaurato.

 

6. Evitando di fraintendere i notevole sottofondo ironico del termine !laboratorio” in rapporto alla storia e alla società, siamo sulle tracce di un significativo fenomeno dell’oggi: della lumpenborghesia. Questa non è un caso unico, isolato, è invece un caso sociale, non è una manifestazione casuale, bensì un fenomeno che mostra l’attualità del tutto e la sua minacciosità. La lumpenborghesia recluta tra i nuovi ricchi, ma a differenza dei suoi contemporanei normali unisce l’imprenditorialità con la mafiosità, la truffaldinità con la criminalità organizzata.

Laboratorio storico è il saggiare, ovvero sperimentazione di tipo particolare: gli uomini tentano, provano le proprie capacità e forze, subiscono le prove della vita (sofferenze, disillusioni), ma cadono anche nelle più diverse tentazioni:imbrogliare, vantarsi, rincorrere la gloria. L’esperienza così intesa (radicalmente differente dalle concezioni positivistiche) ci permette di vedere i tempi odierni come scontro tra il reciproco saggiare della democrazia e della lumpenborghesia. Ci troviamo in un tempo sperimentale, nel quale la lumpenborghesia saggia la tolleranza e la forza della democrazia, la testa, e la democrazia nel rapporto con la lumpenborghesia la verifica (la testa), per capire cos’è veramente e quali sono i suoi limiti. In questo sperimentare e provare la lumpenborghesia accerta che la democrazia le è inferiore, la legislazione è una rete a maglie larghe, al burocrazia è corruttibile, i tribunali sono lenti, l’atmosfera complessiva è tale da risultare più benigna per i mascalzoni piuttosto che per gli uomini dabbene.

La lu penborghesia è un’enclave combattiva, apertamente antidemocratica all’interno di una democrazia funzionante, ma imperfetta e quindi irresoluta. È più vantaggioso, afferma e  praticala filosofia della lumpenborghesia, essere un avventuriero, un ladro, un violento piuttosto che una persona per bene: l’imbroglione conta di sfuggire alla giustizia. La differenza tra morale e immorale scompare, la si considera un ridicolo cimelio del passato. Puoi essere un carrierista, un farabutto, un pedofilo, uno spergiuro, un vigliacco, ma se rimuovi in Mercedes ti fanno tanto di cappello e ti spalancano le porte.

La lumpenborghesia non è solamente la coscienza sporca dell’epoca attuale e del suo dittatore anonimo, è anche lo specchio fedele, e perciò rifiutato, camuffato della devastazione in via di affermazione universale. Sul pianeta si realizza ormai in scala di massa un tentativo (esperimento, prova di laboratorio) enorme: ridurre l’uomo a una simbiosi di bramosia smisurata e di calcolo razionale. Quella che è la tendenza nascosta del supercapitale si palesa nella caricaturale spudoratezza, nella linearità e nell’assenza di scrupoli della lumpenborghesia. L’economia planetaria del semi-mondo odierno esige per il suo funzionamento una creatura – alcuni la chiamano “fattore umano” - che si fabbrica di proposito, dotata di due caratteristiche di fondo che si completano vicendevolmente: insaziabilità senza fine e ragione calcolatrice. La morale è inutile , economicamente improduttiva, apportatrice di deficit: al suo poso, come surrogato, entra in vigore un complesso di norme (regole) concordate di comportamento e di azione. Questa sperimentazione mina le basi stesse della storia sulle quali insistono il cristianesimo, l’antichità, l’illuminismo. Siamo ad un bivio.

Il capitalismo odierno non è solamente un motore potente che vomita una varietà indescrivibile di merci, di artefatti, di informazioni, di attrazioni, produce inoltre, e in un certo senso soprattutto, vuotezza e sterilità. Lo svuotamento, la noia, la droga, il porno, la trivialità sono fenomeni connessi, scaturiscono dalla stesa fonte. E la lumpenborghesia cresce dalle medesime “radici” , vale a dire dallo sradicamento planetario, come la droga, la mafia, l’aggressività. La droga – ecco la manifestazione non cosciente della disperazione dei giovani per uscire dal vuoto che loro impone, serve, offre il sistema planetario.

Con la sua mera e impalpabile presenza la lumpenborghesia crea un clima nel quale l’imbroglio, la  corruzione, la macchinazione insieme alla criminalità e alla droga vengono considerati normalità. Il rovesciamento è abbellito da un giornalismo sfibrato con frasi del tipo: dobbiamo pagare una tassa per la libertà. Il cittadino comune , laddove l’atmosfera pubblica del tempo è influenzata dalla lumopenborghesia, patisce (e fuori del laboratorio) la propria impotenza e si ritira nel privato. Trasimaco moderno vince su Socrate.

Anche in molti Stati più avanzati una volta si rubava, si uccideva, si violentava, e oggi?, argomentano i pronosticatori del progresso. Gli antenati erano pirati, contrabbandieri, briganti, schiavisti, ma i loro discendenti appartengono ormai al fior fiore della società e sono gentiluomini, mecenati, diplomatici, banchieri rispettabili che fanno il buon nome del proprio paese. Una simile opinione trascura il fatto che la manifesta e primitiva aggressività di un tempo in questo secolo si è civilizzata in superficie (ricorre alla tecnica e alla scienza), ma in forma sublimata permane, per esempio in un campo come quello della produzione e dell’esportazione di armi. Ventitré miliardi di dollari annui è la cifra che incassa il maggior esportatore di quest’articolo apportatore di  morte.

 

7. Oggi il governo globale sul mondo non è esercitato dal capitalismo tradizionale in quanto sistema economico storicamente più produttivo, bensì dal supercapitale, che interviene in tutti i campi della vita umana, ha proprie economia, politica, morale, cultura. Non si limita alla produzione di merci e all’accrescimento del profitto, determina il carattere del tempo, dello spazio, del movimento, trasforma quotidianamente e in maniera massiccia il mondo in semi-mondo, non è quindi, come il ponte d’acciaio di Hora., “ mondo da ogni metafisica”, è esso stesso la forma storica della metafisica.

La “mano invisibile” di Smith e lo hegeliano “spirito del mondo” danno vita alla metafisica di una determinata epoca storica, ormai alle nostre spalle. Siamo entrati in un tempo assolutamente diverso, la cui nascosta base metafisica è la dittatura planetaria dell’anti-spirito articolato in una quantità di spiriti infausti: spauracchi, fantasmi, fantasmagorie. Il tempo che ci determina, lo spazio nel quale dimoriamo, il movimento che ci spinge avanti, questi tre esistenziali fanno sì che viviamo nell’equivoco, lo produciamo e lo prolunghiamo. Finchè non penetreremo questo fondo nascosto del rovesciamento e non passeremo alla resistenza opporsi al male, nicht-mitmachen) persevereremo nella non verità. Finchè non ci chiariremo il reale stato delle cose tutte le dispute sul dimagramento o sul rafforzamento dello Stato, sul mercato con o senza aggettivi resteranno superficiali veglie ideologiche, che distraggono l’attenzione da ciò che è più importante: il bisogno di un orientamento nuovo, la necessità di una svolta radicale.

Il dominio planetario della suddetta istanza non può essere superato con alcun provvedimento (amministrativo, organizzativo, legislativo) e nessun provvedimento ( difensivo, moderatore, ammorbidente) proteggerà l’umanità dalla sua devastane azione nichilistica. Tale istanza è connessa intimamente con la perdita della misura, dell’esistenzialità, del senso, della centralità, della virtù. Questo il significato dell’affermazione del 1968, spesso citata: “L’ecologia suppone che sia sufficiente difendere l’ambiente. La filosofia ritiene che bisogna salvare il mondo”.

Non vi sono provvedimenti , in sé e per sé, che saranno d’aiuto: né commissioni, né senato, né ombusdem , né avere la situazione sotto controllo, né decreti governativi, tutto ciò è superficiale a addirittura ridicolo, fino a quando non si arriverà a una svolta radicale. A una svolta radicale nell’atteggiamento verso la natura, la storia, il tempo, la verità e la menzogna, a una svolta simile a quella apportata duemila anni fa dal cristianesimo e a quella provocata nell’era moderna dalla filosofia di Cartesio  e dalla Rivoluzione francese. Il mutamento di fondo può derivare dalla riflessione critica sulle possibilità emancipatrici che cela in sé un struttura del tutto moderna quale è la simbiosi di scienza, di tecnica, di economia.- affinché l’uomo non affoghi nel diluvio dell’infinita quantità di informazioni, di scoperte, attrazioni, nonchè nella bramosia sconfinata, affinchè non si dissolva come una nullità nel loro ininterrotto fluire, deve assoggettarsi a un unico, superiore comandamento, in grado di liberarlo. Franz Rosenzweig e dopo di lui Emmanuel Levinas vedono l’unica difesa nel comandamento dell’amore. L’amore comanda, e comanda: amore. Affinché gli uomini odano tale comandamento e ascoltino il suo appello devono (prima? Contemporaneamente?) emanciparsi dal comando planetario che suggerisce loro, come senso proprio della vita, la cupidigia illimitata e il freddo calcolo. Il comandamento libera. Chi intende il comandamento della legge non scritta decide a  favore della disobbedienza permanente e radicale nei confronti del “mondo” depresso per decreto e rovesciato, del semi-mondo, della grotta: Antigone. “L’Aperto, non ola grotta!” è la parafrasi ritardata che punta al futuro e prepara il futuro del noto appello:”Gesù, non Cesare!”.-

Il tempo è disarticolato (out of joint), chi lo rimette in sesto (put it right)? Chi unirà il banale con il nobile, il feriale con il festivo, il provvisorio con il permanente? Soltanto l’arte, che unifica, fonde, ma non riduce, apporterà la correzione degli affari comuni. Comenio, lettore attento degli antichi filosofi, considerava la politica come esperienza, che è una possente congiunzione (unificazione) della terra con in cielo, del terrestre col divino. Il che è l’esatto contrario di ciò che fa l’odierno capitalismo, il quale atterra quanto è alto, grande, eroico,. Poetico e lo pone al proprio servizio, nella fabbricazione del profitto e della vuotezza.

 

8. A differenza del 1918, quando lo Stato comune dei cechi e degli slovacchi nacque in base ad un atto di fondazione (nel quale ebbero gran parte la resistenza interna e un esercito di centinaia di migliaia di volontari all’estero), la Repubblica ceca è venuta al mondo grazie ad un patto frettoloso stipulato tra i vertici partitici, senza il consenso dei cittadini, non per loro volontà. La nazione è stata posta di fronte al fatto compiuto: il governo ha dimostrato il suo stile personale di dirigere la cosa pubblica e, incoraggiato dal successo, a questo stile resterà fedele ancora domani, quando deciderà dell’ingresso nella Nato. All’origine dello Stato odierno non vi è stata un’idea, l’idea di Palacky, l’idea masarykiana, bensì una combinazione di pragmatismo (cinico) e moralismo (piatto). Dove difettano gli ideali si lascia spazio all’incessante farneticazione ideologica. Un opportunismo miope, privo di ideali, ha sostituito la strategia nazionale di lungo periodo, i cui tratti di fondo erano stati delineati da Palcky e da Havlìcek: Le due colonne portanti di tale strategia sono: una nazione, poco numerosa  e con poco territorio, cerca la propria grandezza, e la trova nella cultura nella morale, nel campo dello spirito, non nella forza esteriore o nel porsi al servizio di chicchessia. Una simile nazione rassomiglia al pellegrino di Comenio e di Mácha, che cerca la verità ed è capace di imparare dalle proprie esperienze, dolorose e amare in genere. Questa nazione sa che non può mutare la propria storica collocazione geopolitica . l’essere-tra-la-Germania-e-la-Russia – e quindi scommette sul potere interiore, che la proteggerà dalla minaccia di diventare una semplice pedina nel contrasto, ma anche nella ricerca di intese, nei patteggiamenti tra le potenze.

Una strategia nazionale di lungo periodo rifiuta la computisteria e il dogmatismo ideologico. Chi si limita a calcolare si sbaglia facilmente oppure un giorno registra un passivo, perché non tiene conto della storia  come grandezza variabile, incalcolabile. I promotori di Monaco calcolarono, nel 1938, che sacrificando la cecoslovacchi avrebbero calmato Hitler o ne avrebbero indirizzato l’aggressività ad Oriente. Fecero male i loro conti.

Breznev, nel 1968, calcolò che soffocando la Primavera di Praga avrebbe protetto l’impero dalla disintegrazione. Si sbagliò. È necessario contare, non finire vittime della computisteria. Perché questa sbaglia i suoi calcoli? Perchè non conosce il potere, né la sostanza del tempo. Il pensiero discerne ciò che è storicamente invecchiato e superato, per questo con lui non  si può patteggiare, mentre il calcolo ideologico gli salta in braccio, nell’illusoria speranza di tenere i passo con lo “spirito del tempo”. A una concezione di lungo periodo, frutto di generazioni, che ha retto alla prova, viene opposto il miope dogma ideologico,  e alla nazione si suggerisce:credete a noi, cittadini, a noi infallibili vertici partitici. Come si attua lo smontaggio di una nazione? Si “fa” in modo diverso da come si confeziona un’immagine. Questa innalza il singolo, la ditta, il partiti politico in cima all’orizzonte del mercato, mentre lo smontaggio degrada la bnazi0one a massa frettolosa di produttori, consumatori, servitori che si intendono tra loro con un ceco depresso, cioè con un linguaggio ormai incapace di intendere la lingua di Mácha, di Holan, di Vancura.

Una nazione “senza superiore verità spirituale” perisce, anche se è protetta dall’esercito, dalla polizia, dalle leggi, dai patti militari. Lo ha scritto nel 1908 Otokar Brezina. Perisce come? Non siamo più minacciati di liquidazione fisica, come quella che per noi aveva pianificato la Germania nazista. Non ci minacciano la germanizzazione, al russificazione e neanche l’ americanizzazione. Una nazione decade e perisce quando si muta in massa addomesticata di specialisti senza anima e fruitori (consumatori) senza gusto e sensibilità. Una decadenza del genere comporta la perdita di quella dimensione che sola innalza l’uomo a essere che fa storia. Non ci preserverà la Nato, neppure ci salverà un qualche dio heideggeriano, il salvataggio dobbiamo cercarlo in noi stessi, nel nostro coraggio, e nella nostra grandezza. L’unica speranza è : un dicembre vittorioso.

Abbiamo vissuto i vittoriosi febbraio (1948) e novembre(1989). Il primo aprì la strada alla dittatura di una burocrazia partitica, il seconda ha dato spazio anche a una lumpenborghhesia rapace. Ma con febbraio, agosto, (1968), novembre non si esaurisce il calendario politico della nazione ceca. Davanti a noi si profila un dicembre vittorioso.

Jakub Deml ci ha lasciato la testimonianza di ciò che Otokar Brezina pensava della grande festa di dicembre. In mezzo al freddo e al buio, che sembrano non avere fine, d’improvviso lampeggia, come un miracolo, una scintilla, scaturisce una luce: nasce un bimbo e con esso la speranza. L’immaginazione poetica risveglia l’immaginazione politica. In mezzo alla caccia agli incarichi, alla proprietà, alla gloria, in mezzo alla corsa al successo e alla farneticazione ideologica, all’indifferenza e alle macchinazioni, alla spudoratezza, al disinganno, alla corruzione elevati a seconda natura, e d’un tratto revoca in dubbio l’intera normalità rovesciata. Si presenta l’’occasione di usciere dalla grotta nel mondo.

Il dicembre vittorioso è la congiunzione della “superiore verità spirituale” con la democrazia integrale: senza democrazia radicale la superiore verità spirituale è impotente, senza superiore verità spirituale ogni democrazia diventa zoppa.

 

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(Tratto da Micromega, Almanacco di Filosofia, n. 2/98, traduzione di Luciano Antonetti)