SÃO PAULO

 

 

– Benvenuti nella metropoli più grande del Sudamerica. Dove regna l'ottimismo e si guarda al mondo con rassegnazione –

 

 

Dani Chiaretti

 

 

La descrizione migliore di São Paulo l'ha fatta Juan Pablo Ferro, un giornalista colombiano: "Quando l'aereo sta per atterrare guardi fuori dal finestrino e vedi la città. Poi ti giri dall'altro lato e vedi sempre la città". Solo lasciando l'aeroporto Guarulhos, ci si rende conto di essere in un paese tropicale: grandi alberi di un verde intenso circondano il parcheggio. Ma la rigogliosa bellezza dei tropici finisce qui. La prima cosa della città che salta agli occhi è un grande fiume color castagna e le favelas che arrivano fin quasi sulla strada. Alla vista di questa mostruosità alcuni tornano direttamente all'aeroporto. A tutti gli altri che vanno avanti: benvenuti nella città

più grande del Sudamerica.

È un sabato mattina in cui il cielo è indeciso       tra il grigio e l'azzurro. In un'ora devo essere nella Zona norte. Intorno alla via 25 de Março il traffico è pazzesco: un numero incredibile di persone

compra apparecchi elettronici e cianfrusaglie varie a prezzi stracciati. Sembra che tutta la città si ritrovi qui per fare incetta di imitazioni cinesi di Louis Vuitton. All'im­provviso la luce blu di un'ambulanza dà alla scena un'aria drammatica: un fattorino è caduto con la moto. A São Paulo ci sono più pony che api: guadagnano poco e lavorano quindici ore al giorno. Ogni giorno ne muoiono almeno due.

Per tutti quelli che non sanno ancora se si trovano veramente in Brasile, São Paulo non è Rio de Janeiro. La città è a settecento metri sul livello del mare e la spiaggia più vicina si trova a 70 chilometri. Tra i paulisti e i carioca (gli abitanti di Rio) ci sono quattrocento chilometri e una differenza a culturale abissale: ottime pizze da una parte, Copacabana dall'altra. I carioca vivono nella cidade maravilhosa (la città meravigliosa), vanno a correre sulla spiaggia e respirano la brezza marina; i paulisti camminano tra le aiuole spartitraffico, gli ingor­ghi e gli scarichi. Chi sopravvive può andare a mangiare in un ristorante giapponese e poi al cinema a vedere l'ultimo film iraniano. Sempre che abbia il tempo e i soldi necessari. Nel prato della base aeronautica di Santana è ancorato un enorme Zeppelin (dirigibile), che da anni galleggia nel cielo della città.

I paulisti si sono abituati alla vista di questa balena blu, che nelle giornate serene fluttua nell'aria o mostra le immagini della partita di calcio dello stadio Morumbi. Entrando nella pancia di Moby Dick, mi auguro che oggi la flotta di elicotteri­sti nevrotici della città si prenda un giorno libero. São Paulo festeggia il compleanno il 25 gennaio, quindi è dell'acquario. Gli astrologi sostengono che gli acquario guardano avanti, sono originali e non hanno un buon rapporto con le emozioni. São Paulo non si cura della propria storia. Chiedete a un paulista qual è la chiesa più antica, e lui non saprà rispondervi.

Da una pubblicità imparo che i paulisti sono molto socievo­li: la metropoli si è piazzata al quinto posto nella classifica delle città più gentili. I suoi abitanti raccolgono più immondizia degli altri, ringraziano spesso e tengono la porta aperta per far passare il vicino. Non so se sia vero, ma sicuramente sappiamo aspettare pazientemente in fila. Al cinema bisogna fare la coda per posteggiare, per comprare i biglietti e i pop corn, per andare in bagno, entrare in sala e alla fine per pagare il parcheg­gio. Ci sono code dal fornaio, in banca e davanti alle discote­che. Ricchi, poveri, bianchi, neri: fanno tutti la fila con calma, senza stressarsi e con un pizzico di masochismo.

Vista dal dirigibile São Paulo sembra quasi simpatica. I ca­mion e gli autobus somigliano a una collezione di giocattoli in miniatura. Le auto sono un fiume omogeneo di metallo. Ma perché compriamo solo macchine nere, grigie o bianche?

 

Guerriglia urbana

Esco di casa con le calze nere, un maglione nero, una gonna nera e uno scialle viola. L'unico accessorio non improvvisato del mio costume da strega è un cappello a punta con delle ra­gnatele appiccicate sopra. Rinuncio alla scopa e parto con la macchina verso la festa in maschera di un'amica che vive fuori città. È quasi mezzanotte di sabato, ma c'è traffico dappertutto. Sono in fila su un ponte e vedo un posto di blocco della polizia. Per evitare problemi mi tolgo il cappello da strega e lo metto sul sedile posteriore. Troppo tardi: il poliziotto punta la pistola contro la mia macchina. Mi prende il panico. Per fortuna l'agente ferma l'auto accanto e io proseguo verso la festa senza girarmi indietro.

Alla festa, ballando tra moschettieri e gladiatori, non ci penso più. Ma la mattina dopo capisco quello che è successo leggendo i giornali: São Paulo ha vissuto ore di ter­rore con autobus in fiamme, assalti alle banche, poliziotti morti, criminali uccisi e passanti feriti. L'organizzazione criminale Primeiro comando da capital (Pcc) ha dichiarato guer­ra alla polizia. Il giorno successivo migliaia di persone hanno aspettato l'autobus invano: in città era in corso una guerriglia urbana. L'anno scorso São Paulo si è trasformata in un posto spettrale, come se fosse scoppiata una bomba a neutroni. Tutti si sono rintanati in casa, ostaggi della città. Non avevamo mai vissuto una situazione del genere. Il terrore è durato tre giorni e alla fine sono morte centinaia di persone.

Sospesi quassù, a trecento metri da terra le costruzioni dell'uomo hanno qualcosa di poetico. Le piscine risplendono di blu tra gli edifici grigi, i prefabbricati sono allineati come onde e le tende dei venditori ambulanti nel quartiere di Brás sembrano una coperta patchwork. Lì in fondo, prima dell'ospeda­le, c'è il cimitero di Araçá. Pratico, no? Il cimitero proprio davanti all'ospedale. São Paulo è una città senza stelle. Le stelle sono solo nel planetarium, in modo che le persone possano dire "ooh" quando la guida fa vedere come sarebbe bello il cielo di notte, sen­za le luci e l'inquinamento atmosferico. Ci avvicinia­mo pericolosamente al­l'avenida Paulista. Non sapevo che fosse così bella, con gli alberi in fiore e con le case costruite nell'età dell'oro del caffè, che sono sopravvissute al boom degli uffici bancari. Davanti a noi si vede il profilo den­tellato delle torri della ra­dio e della televisione.

Appena il semaforo diventa rosso, alcuni ragazzi si avvicinano alle auto, ap­poggiano un pacchetto di caramelle sullo specchiet­to e dicono: "Non ho lavo­ro, mi aiuti con un real". Il disegnatore inglese David Lloyd ha affermato recen­temente in un'intervista:

"Ci sono due regole che spiegano la città: i poveri possiedono solo quello che i ricchi gli lasciano e con la violenza si procurano quello che vogliono. L'equilibrio tra queste due leggi spiega la particolarità di São Paulo: le persone sono ottimiste, indipendentemente da come vivono, e al tempo stesso guardano al mondo con rassegnazione". Passo davanti al grande magazzi­no Daslu, con le sue colonne greche e i tremila metri quadrati di superficie, che vende tutte le marche più esclusive del mon­do. Lì accanto c'è una favela. Penso che Lloyd abbia capito tutto. So che la forma di São Paulo somiglia alla testa di un cane di profilo, con le orecchie che indicano il nord. Provo a orien­tarmi ma senza nessun risultato.

Di solito funziona così: ci sono molte macchine, e la mag­gior parte ha i finestrini alzati per evitare le rapine ai semafori. Chi ha l'aria condizionata contribuisce al riscaldamento glo­bale. Chi non ce l'ha, collabora alla salute del pianeta e fa una cura dimagrante nella sua sauna personale. A meno che non si possieda un mezzo anfibio, nei giorni di pioggia bisognerebbe evitare le strade vicino ai fiumi. Su internet è possibile vedere ogni giorno quello che succede a chi non segue questo consi­glio. Il finestrino del dirigibile è aperto e io continuo a guardare il film muto sotto di me: nel Jóquei Club è giorno di corse, l'hotel L'Unique ricorda una mezza anguria, il parco Trianon è un pezzo di foresta pluviale nel mezzo della città. Nei quar­tieri ricchi c'è molto verde, in quelli poveri molta polvere.

São Paulo va pazza per i mercati. In ogni quartiere c'è un mercatino dove si vendono frutta e succhi di canna da zucche­ro, verdure, pasticci di formaggio e salmone norvegese. C'è il mercato dei fiori del Ceasa e poi i mercatini delle pulci e dell'antiquariato. Nel quartiere Liberdade, dove vivono molti immigrati giapponesi, si trovano sakè e futon. Di sabato, tra i banchi del mercato di piazza Bendito Calixto, si vedono suo­natori di flauto di pan, oratori con i loro megafoni, gente che beve birra, uomini che cercano dei pantaloni a scacchi, noglo­bal, sostenitori della globalizzazione e persone che vogliono solo guardare quello che fanno gli altri. Alla fine si torna a casa con un frutto asiatico che sembra un carciofo, ma dentro è rosa e sa di kiwi.

Da qui sopra il vecchio centro ha molto fascino: il colégio Caetano de Campos è una grossa W, le tribune dello stadio Pacaembu sembrano un arcobaleno e il viadotto santa Ifigênia un mosaico. E poi il grattacielo Torre do Banespa con quelle spaventose punte sulla cima. L'edificio Copan, una gigantesca esse di cemento armato, è affascinante perfino da qui. Le cin­quemila persone che ci abitano hanno un codice di avviamen­to postale tutto loro e consumano ogni giorno un milione di litri d'acqua. Sotto il viadotto do Café, nel quartiere di Bixiga, ci sono macchine per il fitness e per il jogging, copertoni appe­si al posto dei sacchi da boxe, assi dei camion riciclati come bilancieri. E una palestra improvvisata per le persone povere della zona.

 

Addio mascotte

Il dirigibile torna a terra. Rapidamente i pezzi della città gio­cattolo riacquistano le loro reali proporzioni. Alla fine la balena si posa con leggerezza sul prato. Ci trasferiamo sulla terraz­za panoramica dell'Edificio Italia. È alto 150 metri e da qui si vede il più bel panorama della città. Nei giorni di sole si distin­gue perfino il Pico do Jaraguá (il punto più alto di São Paulo).

Victor è spagnolo e ha vissuto a São Paulo quattro anni. Rispetto a lui, mi sento una straniera: mi mostra strade, mo­numenti, chiese e posti dove non sono mai stata. Ci sediamo al bar della terrazza panoramica di fronte a una coppia tedesca. Fuori le luci si accendono lentamente. Mentre fluttuavamo sulla città, non sapevamo che quel sabato pomeriggio il dirigibile ha volato per l'ultima volta. Poco tempo dopo São Paulo ha perso la sua mascotte.

 

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Dani Chiaretti è una giornalista di Valor Economico, un quotidiano di São Paulo.

 

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(Tratto dal Süddeutsche Zeitung, Germania, pubblicato in Italia dalla rivista “Internazionale”, n° 691, del 10 maggio 2007)