UNA GIUSTIZIA CHE SI REALIZZA

José Saramago


E' difficile difendere solo a parole la vita (ancor più quando è questa che vedi, Severina).
João Cabral de Melo Neto

Speriamo che a Dio non venga in mente di venire un giorno in questi luoghi per accertarsi se le persone che malamente ci vivono, e peggio ancora ci vanno morendo, compiano in modo soddisfacente il castigo da lui inflitto, al principio del mondo, al nostro primo padre e alla nostra prima madre, i quali, per la semplice e onesta curiosità di voler sapere perché esistevano, furono condannati, lei a partorire con sforzo e con dolore, lui a guadagnarsi il pane col sudore della fronte, avendo come destinazione ultima la terra da cui erano stati tratti, polvere fosti e in polvere ritornerai. Fra i due, diciamolo subito, chi ha finito per sopportare il maggior peso è stata lei, e le donne che le hanno fatto seguito, poiché dovendo soffrire e sudare tanto per partorire, secondo la misericordiosa volontà di Dio, hanno dovuto anche sudare e soffrire al fianco dei propri uomini, lavorando quanto o più di loro, che mai la vita le ha concesso di restarsene tranquillamente a casa, come un'ape regina, senz'altro obbligo se non quello di deporre uova di tanto in tanto, non sia mai che il mondo si ritrovasse deserto e Dio non avesse nessuno su cui comandare.
Se, però, il suddetto Dio, non prestando attenzione alle raccomandazioni, insistesse nell'idea di venire, scommetto che finirebbe per riconoscere come, in definitiva, risulti ben poca cosa essere un Dio quando, malgrado le eccelse onniscienze, mille volte esaltate, si sono commessi tanti e tanto grossolani errori di previsione, come quello, realmente imperdonabile, di munire gli esseri umani di ghiandole sudoripare per poi sottrarre loro il lavoro che le farebbe funzionare. Di fronte a ciò, è lecito domandarsi se non avrebbe meritato più plauso che castigo quella purissima innocenza che portò la nostra prima madre e il nostro primo padre a provare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. La verità, checché ne dicano le autorità, e non soltanto quelle teologiche, è che non sono arrivati a mangiarlo, lo hanno solo provato, perciò ci ritroviamo a saperne tanto del male e tanto poco del bene.
Che si vergogni dei propri errori è quanto ci si aspetta da qualsiasi persona di buona nascita, e Dio, essendo indiscutibilmente nato da se stesso, nacque da quanto c'era di meglio a quel tempo. Di conseguenza, dopo aver visto e osservato che cosa c'è da queste parti, non poté far altro se non confessare l'eccessiva portata degli sbagli che aveva commesso. Certo è che, a suo credito, perché non sia tutto un continuo dir male di Dio, rimane il fatto irrefutabile che, quando cacciò dal paradiso terrestre il nostro primo padre e la nostra prima madre, essi avrebbero avuto tutta la terra per lavorare e sudare a volontà. Tuttavia, e disgraziatamente, un altro errore di previsione divina non avrebbe tardato a manifestarsi, e quest'ultimo, se possibile, molto più grave.
Poiché la terra era già assai popolata di figli, nipoti e bisnipoti della nostra prima madre e del nostro primo padre, alcuni di essi si misero a tracciare linee per terra, a piantare pali, a erigere muri di pietra, dopo di che annunciarono che, da quel momento, chi avesse inteso entrare, qualunque ne fosse il motivo, avrebbe dovuto chieder autorizzazione, poiché lo spazio così delimitato adesso aveva un padrone. Senza che fino a oggi si sappia il perché, e non manca chi affermi che di questo non si potranno scaricare le colpe addosso a Dio, i nostri antichi parenti di allora, dopo avere assistito alla depredazione e ascoltato l'inaudito annuncio, non solo non protestarono contro l'abuso che aveva reso privato ciò che fino ad allora era stato di tutti, ma cedettero che fosse quello l'irrefragabile ordine naturale delle cose di cui allora si cominciava a parlare. Se l'agnello è nato per essere cacciato dal lupo, come dedussero reciprocamente in base alla verifica dei fatti, allora il servo è nato per servire il padrone, e quel che non è così sarà sovversione.
Davanti a tanti uomini riuniti, a tante donne, a tanti bambini (siate fecondi, moltiplicatevi e popolate la terra, così era stato loro ordinato), il cui sudore non nasceva da un lavoro che non avevano, ma dall'agonia dei corpi che trascinavano, Dio si pentì di ciò che aveva fatto e volle cambiare nome. Convocò la folla e disse: "Da oggi in poi mi chiamerò Giustizia". E la folla gli rispose: "Giustizia ce l'abbiamo già, e non ci ascolta". "Se è così, sarò Diritto". "Diritto ce l'abbiamo già, e non ci conosce". "In tal caso, userò il nome di Carità, che è bello". "Non abbiamo bisogno di carità, ciò che vogliamo è una giustizia che si realizzi e un diritto che ci rispetti". Allora Dio capì che mai aveva avuto, veramente, in questo mondo che aveva ritenuto gli appartenesse, il luogo da lui immaginato, che tutto era stato, in definitiva, un'illusione sua, e si ritirò umiliato nell'eternità. La penultima immagine che riuscì a vedere fu quella di fucili puntati contro la folla, il penultimo suono che riuscì a sentire fu quello degli spari, ma nell'ultima immagine c'erano già corpi che cadevano sanguinanti, e l'ultimo suono era fatto di urla e lacrime.
Il17 aprile 1996 nello Stato brasiliano del Parà, in un paese chiamato Eldorado (oh, sarcasmo) dos Carajàs, centocinquantacinque soldati della polizia militarizzata, armati di fucili e mitragliatrici, hanno aperto il fuoco su una manifestazione di contadini che bloccavano una strada per protesta contro il ritardo nelle azioni legali di espropriazione delle terre, una funzione di riforma agraria che da cinquant'anni continua a essere annunciata, ma che, praticamente, non è mai uscita dalla carta. Sul suolo di Eldorado do Carajàs sono rimasti diciannove morti, più un numero indeterminato di feriti. Tre mesi dopo, la polizia dello Stato del Parà, giudice in proprio, se n'è uscita dichiarando pubblicamente innocenti da ogni colpa i suoi centocinquantacinque soldati, adducendo che avevano agito per legittima difesa e, come se ciò non bastasse, ha richiesto un procedimento giudiziario contro tre manifestanti, per detenzione illegale di armi, insubordinazione e lesioni. Le armi erano tre pistole, oltre alle pietre e agli attrezzi agricoli. E' ampiamente noto che, già molto prima dell'invenzione delle armi da fuoco, le pietre, le falci e le picche erano state considerate illegali nelle mani di chi talvolta, dovendo reclamare terra e pane, si ritrovò davanti a spade, lance e alabarde. Al contrario di quel che generalmente si pensa, non c'è niente di più facile da capire della storia del mondo, che dicono complicata.
Dei duecentocinquanta milioni di ettari che costituiscono la superficie del Brasile, questo gigante sudamericano, quattrocento milioni sono considerati idonei per uso e sviluppo agricoli. Attualmente, solo sessanta milioni sono utilizzati in piantagioni. Il resto, salvo i terreni che via via sono stati occupati per l'allevamento estensivo del bestiame - il che, nonostante apparenze contrarie, significa una sottoutilizzazione della terra - si trova in stato di abbandono, improduttivo, senza rendimento. A popolare questo paesaggio e questa realtà sociale ed economica, esistono quattro milioni e ottocento famiglie di rurali senza terra. La terra c'è, è là, la metà immensa di un paese immenso, ma questa gente non può entrarvi per lavorare, per vivere della semplice dignità che il lavoro conferisce, perché i voracissimi discendenti di coloro che per primi dissero "questo spazio è mio" e trovarono gente sufficientemente ingenua da credere che bastasse averlo detto, quegli uomini hanno circondato la terra di leggi che li proteggono, di poliziotti che li custodiscono, di governi che li rappresentano e di pistoleri assoldati e pagati per ammazzare. I diciannove morti di Eldorado dos Carajàs sono soltanto l'ultima goccia di sangue di una persecuzione sistematica, continua, prolungata, dei lavoratori agricoli che, tra il 1964 e il 1995, ha già causato milleseicentotrentacinque vittime, di cui la quarta parte spetta allo Stato del Parà.
E la riforma agraria, la riforma agraria del Brasile, in luce fin dal 1946, questa meraviglia che stupirebbe il mondo, quest'opera da taumaturgo tante volte promessa, questa bandiera elettorale, questo richiamo di voti, questo inganno di disperati? Senza spingerci oltre gli ultimi quattro presidenti della Repubblica, basti dire che il primo aveva promesso di sistemare un milione e quattrocentomila famiglie di lavoratori rurali e che, trascorsi i cinque anni del suo mandato, non ne erano state insediate neanche centoquarantamila; basti dire che il secondo aveva promesso di sistemare cinquecentomila famiglie, e neanche una lo è stata; basti dire che il terzo aveva garantito che avrebbe fatto sistemare centomila famiglie, e si è fermato a ventimila; basti dire, infine, che l'attuale presidente della Repubblica ha stabilito che la riforma agraria dovrà contemplare duecentoottantamila famiglie in quattro anni, e che dunque, nel caso l'obiettivo sia raggiunto, proseguito e concluso, saranno necessari, matematicamente necessari, settant'anni per insediare i quasi cinque milioni di famiglie di lavoratori rurali brasiliani che necessitano di terra e non ce l'hanno, di quella terra che per loro è condizione di vita, vita che non può aspettare più. La polizia intanto assolve se stessa e condanna i morti.
Il Cristo del Corcovado è scomparso, se l'è portato via Dio e perché non era servito a niente averlo messo lì. Adesso, al suo posto, si parla di collocare quattro enormi pannelli rivolti alle quattro direzioni del Brasile e del mondo, e tutti recanti, a grandi lettere, la dicitura: UN DIRITTO CHE RISPETTI, UNA GIUSTIZIA CHE SI REALIZZI.



(Tratto dalla rivista "Lo Straniero" n.1, estate 1997, traduzione di Rita Desti)