PIÙ CILIEGIA CHE BORDEAUX


Silvia Persicone

 

L’escursione all’isola dei pescatori gli era stata sconsigliata da tutti ma non ce la faceva più a starsene sdraiato su quello stupido lettino di legno, sospeso su una bolla di sabbia dimenticata da Dio, in mezzo all’oceano Indiano.
Non era proprio il tipo per vacanze solo comfort e relax, lui. E soprattutto non era il tipo per vacanze da ottuse coppiette in luna di miele, in particolar modo in quel periodo. Al suo terzo giorno sull’isola era un fascio di muscoli in tensione, aveva bisogno di muoversi, di vedere qualcosa oltre lo sconfinato orizzonte del mare. Per fare un giro completo di quella striscia di spiaggia gli bastavano dodici minuti e, se correva, scendeva pericolosamente sotto gli otto. Far passare le ore diventava sempre più difficile.
Il primo giorno, chiuso in un mutismo di granito, aveva faticato disperatamente per arrivare all’ora del pranzo e poi, aveva faticato ancor di più a mangiare quelle brodaglie rossastre che avevano sempre lo stesso odore, la stessa consistenza e lo stesso sapore, indipendentemente dal fatto che fossero carne o pesce o pappagufo.
Non poteva muoversi e non riusciva a star fermo. Godersi il famoso panorama maldiviano era impossibile: quella vastità lo disorientava e gli lasciva dentro un senso di angoscia, la consapevolezza di essere soltanto un inutile puntino nell’universo. E non solo non riusciva a guardarlo, il mare, ma non voleva neppure azzardarsi ad entrarci dentro, ne era quasi nauseato. E così, nell’unico posto al mondo privato del tempo, si lasciava passare addosso le ore lentamente, mentre tutti gli altri turisti facevano a gara per superare il reef e vedere chissà quale misterioso crostaceo spostarsi fra i coralli.
Il pesce va bene solo nel piatto, magari con un filo d’extravergine e patate novelle, era solito ripetere ai due animatori del villaggio che tentavano inutilmente di coinvolgerlo nelle iniziative giornaliere. Lo snorkeling non era per lui, così come il giro dell’isola a nuoto e come i tuffi dal pontile e il bagno con le razze (per amor di Dio). La sola cosa che amava fare era guardare mangiare gli squali alle sette di sera. Allora sì che diventava socievole e accettava anche la presenza delle coppiette sul ponte sud, mentre Aikii, il ragazzino maldiviano guardiano dell’isola, gettava secchiate di carne fresca ai pesci fusiformi. Gli squali erano le sole creature marine che lo affascinavano. Forse perché sono i cattivi, quelli che mangiano tutti gli altri, un po’ quello che vorrebbe diventare lui.
Comunque doveva essere stato proprio molto ubriaco la sera in cui decisero questo viaggio. Con Arianna succedeva sempre così: lei parlava e parlava e parlava ancora (e questo era abbastanza usuale con tutte le donne che aveva avuto) ma poi succedeva qualcosa ed era lui che parlava e parlava e poi raccontava del suo nonno e non sapeva più di chi erano le parole che venivano fuori. E poi si è ricordato di quella volta che era bambino ed in tv, quella in bianco e nero senza telecomando, c’era un documentario sugli squali e lui che era convinto che potessero arrivare anche nella loro vasca da bagno e che tutte le volte che la mamma lo lavava, aspettava impaziente per vedere se era vero che quelli elefante sono amici dell’uomo e di quanto ci rimaneva male, tutte le volte, mentre l’acqua diventava fredda e la mamma urlava che doveva uscire e di squali non se ne vedeva mai neppure uno. E una sera lei gli aveva detto: “Ti porto io a vedere gli squali e gli potrai anche dare da mangiare e arriveranno quelli elefante, che sono davvero amici dell’uomo” e lei era bellissima, era la creatura più bella che avesse mai visto e, anche se la conosceva appena, aveva detto: “Va bene, se stiamo ancora insieme, tra un anno mi porti dove vuoi”
L’anno dopo stavano sempre insieme, lei era sempre la creatura più bella che lui avesse mai visto e aveva prenotato un viaggio di una settimana alle Maldive e a lui, nonostante la spesa di tremila euro, era sembrata addirittura una buona idea.
La sera in cui Arianna era passata in agenzia se la ricordava ancora perfettamente. Avevano cenato fuori, nel ristorante cinese vicino allo stadio. Tutto sembrava perfetto. Il loro tavolo era in fondo alla sala, nascosto alla porta da un paravento di carta di riso. La cameriera era educata ed ossequiosa come solo gli orientali sanno essere, aveva degli occhi bellissimi, gemme preziose incastonate fra due sottili fessure, ed un chimono dello stesso colore dell’orchidea che avevano sul tavolo e del cardigan nuovo di Arianna.
“Hai visto? Quest’orchidea è blu come il tuo maglione”
“ Come fai a dire che è blu? Non vedi che è viola, anzi è fra il viola ed il vinaccia. Più ciliegia che bordeaux. Quasi cipolla”
Più ciliegia che bordeaux. Guido annotò mentalmente anche questa definizione e la nascose insieme a tutti gli altri colori che lei gli aveva fatto scoprire: il pervinca, il giallo ocra, il verde lago, il bruciato. Adesso nel suo mondo ci sarebbe stato anche il viola cipolla, ed era tutto merito di Arianna. Più passava il tempo e più era felice di vivere in un mondo a colori e si rendeva conto di essere proprio innamorato.
“ Quando arriviamo alle Maldive mi voglio comprare un batik grande come un frigorifero per metterlo sopra il letto. E lo voglio trovare del colore di questa orchidea per non dimenticarmi mai del nostro primo viaggio”.
Sarebbe stato il loro primo vero viaggio, i quindici giorni di ferie passati a Marina di Cecina con altri centocinquanta amici, stipati in un bilocale che era diventato più affollato di una bagnarola di profughi albanesi, non valeva. E per tutta la sera non hanno parlato d’altro: “La fotocamera digitale me la presta mio fratello”
“ Ecco bravo, così eviti di portarti in giro quel rottame di Canon che per fare una foto al tramonto devi scendere sulla spiaggia alle sei del mattino”
“ Ma te l’immagini che tramonti ci saranno, ci potrai mettere dentro tutti i colori del mondo”
Anche quando lui l’ha accompagnata a casa, è salito per vedere quanto sarebbe dovuto essere grande il Batik e su quel letto improvvisamente pareva che non ci potesse essere posto per nient’altro. E poi hanno fatto l’amore pensando a quando avrebbero lasciato Firenze al suo freddo per farsi riscaldare dal sole dei tropici.
Poi, però, doveva essere successo qualcos’altro e lei ha cominciato ad essere diversa, la sera non aveva più voglia di uscire e quando si vedevano non sapeva più cosa raccontare e un giorno lui è andato a prenderla al lavoro e l’ha trovata con un altro. Lei era girata e rideva e parlava e parlava ancora e sembrava una ragazzina civettuola e lui, l’altro, la baciava su una guancia e lei si scansava, ma solo un pò.
Guido si è fermato dall’altra parte della strada e mentre il semaforo diventava rosso e l’aria si faceva fredda, come se rimanesse impressa su una tela bianco ghiaccio, decise di tornare a casa e di non voler sapere niente. Più niente.
Per un paio di giorni non si è fatto trovare, doveva assaporare il dolore prima di dare inizio alla metamorfosi, prima di diventare capace di sconfiggere quel mal di stomaco tagliente che, da quando aveva visto Arianna con l’altro, non l’aveva più abbandonato. Non si trattava di dimenticare, tutt’altro. Doveva allontanare per un po’ certe sensazioni, fino a che quella sofferenza cieca si sarebbe trasformata in voglia di sangue. E allora lui sarebbe stato abbastanza cattivo e abbastanza forte per affrontare la vita da solo, come uno squalo: uno squalo bianco.
Quando il giovedì successivo si videro a casa sua, c’erano ancora le valige in mezzo, ma lui non ci pensava più al viaggio e Arianna non capiva cosa c’era che non andava e ripeteva di essere stanca di dover sempre organizzare tutto lei e che se lui non ci voleva venire allora poteva dirlo, che tanto lei sarebbe partita anche da sola.
“ Da sola. Me lo immagino come ci andresti da sola, tu, che senza l’aiuto di qualcuno non ti fai neppure il pieno alla macchina. Chi ci porteresti eh, un bel collega?” E così, giù a litigare per tutta la sera e alla fine Guido ha fatto pure la parte del paranoico che l’ha pedinata, mentre lei salutava un vecchio compagno di scuola.
E intanto fra loro qualcosa si è rotto. Nella loro complicità si sono insinuati silenzi verdi come bottiglie e la gelosia ha tinto di viola ogni parola e tutto ha acquisito un riflesso più ciliegia che bordeaux, quasi cipolla.
Guido ci ha pensato a lungo, se partire o restarsene chiuso fra la rabbia di casa sua. La guerra dell’indifferenza con Arianna durava già da qualche settimana, ma trovarsi solo con lei, su un’isola minuscola, senza televideo e senza Sky, era tutta un’altra cosa. Invece alla fine era partito. Non sapeva neppure perché, forse per i soldi che aveva già tirato fuori, in ogni caso era stata una sua decisione e adesso non poteva neppure prendersela con qualcuno.
Quella mattina una strana imbarcazione, chiamata Dhoni, l’aveva portato sull’isola dei pescatori: un fazzoletto di terra bianca che affiorava da un mare perlaceo, quatto sassi messi in croce e decine di negozietti appositamente costruiti per accogliere turisti e riempirli di chincaglierie in cambio di pochi dollari. Dopo i primi dieci minuti, Guido si era rotto le scatole di girovagare fra vecchie case e parei variopinti. Aveva già distaccato la mandria di coppiette e stava prendendo posto sul tetto del Dhoni, quando una macchia di colore attirò il suo sguardo.
Era una donna che, con le mani giunte in segno di saluto, stava venendo verso di lui. Era racchiusa in un saari violaceo, con appoggiato su un braccio un batik color orchidea, grande come un frigorifero. Arianna lo guardava sorridendo ed in quello sguardo c’erano dentro tutte le parole che non si erano detti dal momento dell’arrivo. Adesso il loro primo viaggio poteva cominciare: lei era la sua donna ed era ancora la creatura più bella che lui avesse mai visto.


Silvia Persicone è nata a Firenze nel 1974. Laureata in filosofia nel 1998, insegna in una scuola materna. Scopre la scrittura nell’estate del 2001 quando, un po’ per gioco, comincia a scrivere il romanzo “Dillo a Camilla”, terzo classificato al concorso organizzato dall’agenzia letteraria romana Il Segnalibro “Spazio ai giovani” nel luglio 2003. Scrive storie e racconti e frequenta corsi di scrittura.



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