AL CINEMA

Drauzio Varella

E poi, ci furono gli incontri al cinema. La Casa ha un'enorme sala in cemento, al secondo piano del padiglione Sei, per più di mille posti, dove prima funzionava il cinema, distrutto durante una rivolta. Lì noi riunivamo 3-400 detenuti, montavamo uno schermo con apparecchiatura sonora, proiettavamo video educativi sull'AIDS e io rispondevo alle domande del pubblico.
Il lavoro di allestimento era gestito da due funzionari dell'istituto penitenziario, Roberto e Luís, aiutati da un gruppo di detenuti, coordinato da Gerson del padiglione Otto. Col passare del tempo, Roberto e Luís diventarono popolari nella Casa, il primo soprannominato PC dalla marmaglia, per la sua somiglianza fisica con il famigerato corrotto della politica brasiliana.
Spostare tanti uomini dal loro padiglione d'origine al cinema e portarli indietro illesi non era semplice. L'operazione, comandata da Waldemar Gonçalves, funzionario responsabile del Dipartimento per lo Sport, cominciava alle otto della mattina. Le celle dei piani, i cui occupanti sarebbero scesi per assistere all'incontro, venivano aperti prima degli altri e la marmaglia si incamminava verso il padiglione Sei. Alla fine, verso le 11, facevano in ordine il percorso inverso.

Una settimana dopo l'altra, per anni, centinaia di detenuti andavano e venivano, molte volte incrociando nemici mortali, non è mai successo nessun incidente. Tra i criminali, c'era un patto di rispetto al cinema del venerdì.
Hernani, un falsario, o "articolo 171", come piace alla marmaglia, che si vantava di essere più pericoloso lui con la penna di tutti i compagni con la pistola, giustificò così la calma dell'ambiente:
- Lei, Luís e PC vengono qua a fare una cosa buona per noi. Se un fratellino ti crea un problema, un regolamento di conti, una pagliacciata, si mette contro il bene generale. Allora è un problema! Bisogna che lui non abbia un grande attaccamento alla vita.
Gli uomini arrivavano a gruppi. Una buona parte di loro, per principio, andava dritto verso il fondo e si sedeva sul pavimento, anche se c'erano molti posti in prima fila. Sullo schermo, mentre entravano, noi proiettavamo video di cantanti popolari. Ascoltavano attenti, seguendo il ritmo con il movimento del piede, discretamente. Ballare o muovere il corpo, mai:
- Ma quando mai si è visto un bandito sculettare di fronte all'altro!
Verso le 9, fermavamo la musica, accendevamo le luci e io salivo sul palco per dire quanto segue:
-Attenzione marmaglia, c'è un'epidemia di AIDS nella Casa. I vostri compagni deperiscono, si indeboliscono, vengono portati nell'infermeria del Quarto e non tornano mai più. Noi mostreremo un video e poi risponderemo a qualche domanda su questa malattia. Non parlate ora. Non c'è niente di più triste nella vita di un uomo che finire i suoi giorni in un carcere.
Durante i primi incontri, il signor Florisval, il direttore della Disciplinare, si metteva in piedi sul palcoscenico, dandomi le spalle, e guardava in faccia al pubblico. Un giorno, gli chiesi di non preoccuparsi e rimasi solo con i detenuti. Ha funzionato, cominciai a intendermela meglio con loro.
Mentre passava il video sull'AIDS, ogni tanto si sentiva un chiacchiericcio in fondo alla sala. Una mattina, durante la proiezione, al buio, ho deciso di attraversare il cinema e di sedermi lì nel fondo, tra di loro, solo per vedere se smettevano di chiacchierare.
Andai, mosso da una sensazione razionale di fiducia, ma avevo paura. Attraversai il cinema lentamente. Quando arrivai alle ultime file, il chiacchiericcio cessò. Mi sedetti sul pavimento, in mezzo ai criminali, e continuai a guardare il video. Avevo le mani gelate e i battiti cardiaci accelerati. Ebbi la sensazione che qualcuno mi avrebbe preso alle spalle per strangolarmi. Dominai la paura e resistetti fino alla fine. Poi, mi alzai e ritornai, senza fretta, verso il palcoscenico. Per strada, notai che quell'incedere non era proprio il mio: aveva un qualcosa della marmaglia delle strade di Brás. La settimana successiva, ripetei l'esperimento. La paura fu molto meno intensa. La terza volta, la paura scomparve.
Terminato il video, io rispondevo alle domande fatte con un altro microfono, con un filo più lungo, portato loro da Santista, un criminale che diceva che si era goduto bene la vita: affittava un night, pagava da bere per tutti, poi andava a sniffare cocaina in un motel con le ragazze del night e, generoso, copriva il corpo di queste con denaro rubato:
- Ero io il re della notte, tutti volevano uscire con me.
I dubbi e le domande sollevate erano concrete. L'AIDS per loro non costituiva una preoccupazione teorica, era un problema pratico. Volevano sapere come fare con le secrezioni corporee dei malati, il rischio di trasmissione per i loro familiari, i sintomi iniziali e il tempo di evoluzione della malattia.
Dopo l'ultima risposta, in due minuti al massimo, io sintetizzavo tre punti essenziali. Primo: la solidarietà con il compagno di cella, malato, non rappresenta alcun rischio perché l'AIDS non si trasmette con il contatto casuale. Secondo: senza preservativo, il virus passa dall'uomo alla donna e dalla donna all'uomo e nei rapporti omosessuali anche il partner attivo corre il pericolo. Terzo: tutti quelli che prendono droga per vena contrarranno il virus, è solo questione di tempo.
Alla fine, io aggiungevo in tono evangelico: chi non riesce a stare lontano dall'inferno della cocaina, la ingoi, ne faccia supposte, la fumi, ma niente botta in vena, per l'amor di Dio!
La raccomandazione di sostituire l'iniezione era lasciata alla fine, perché, in conclusione, quando io insistevo che fumassero al posto di bucarsi, esplodeva un forte applauso misto a lunghi fischi entusiasti, ciò creava un clima da apoteosi per la mia uscita.
A quel tempo, quest'ultimo messaggio sulle iniezioni di cocaina è stato dato in questo modo perché mi sembrava ridicolo, in quell'ambiente, ripetere slogan ingenui del tipo "dite no alle droghe". Tuttavia, la ragione di questi applausi l'avrei compresa in tutta la sua profondità solo io stesso molto tempo più tardi, quando è diventato chiaro che il crack avrebbe spazzato via le iniezioni di cocaina dal carcere.
Il compito di tirare giù dal letto centinaia di malviventi, prima delle 8, per assistere ad un video educativo seguito dalle raccomandazioni mediche, considerato improbabile dai funzionari più esperti, fu decisamente agevolato da Hernani, un signore dai capelli grigi, esperto del colpo di "arara", con il quale creava imprese fantasma per farle fallire e fregare tutti gli investitori sulla piazza:
- Dottore, svegliare il malvivente è un problema veramente problematico. Perché non permette che ci mostrino un video erotico alla fine della programmazione? Nello stato in cui sono, il cinema sarà pieno.
Facemmo un test. Alla fine, dopo la mia uscita dalla sala, cominciava un video di sesso esplicito. La strategia di unire musica, medicina preventiva e sesso fu imbattibile: un successo di pubblico. Può anche funzionare nelle altre carceri, purchè siano prese due precauzioni: non permettere l'entrata per assistere soltanto all'ultimo video, poiché la programmazione è un pacchetto indivisibile, e, la cosa più importante, il film erotico deve cominciare solo quando il medico esce dalla stanza.
Già dai primi incontri rimasi sorpreso per la considerazione che quegli uomini mi dimostravano. Nelle domande usavano termini ed espressioni come "sesso anale", "penetrazione", "prostituzione", "omosessuali" o le cosiddette "mogli di carcere" - mai un termine volgare; parolacce, neanche per sogno. Una volta, nell'interrompere un video di Daniela Mercury per metterne uno sull'AIDS, tre o quattro detenuti in fondo fischiavano per scherzo, come fanno gli studenti delle medie. Questa piccola manifestazione dette il suo bel da fare a Waldemar Gonçalves, perché riuscisse a convincere i ragazzi che aiutavano a montare l'attrezzatura a non accoltellare i fischiatori. Santão, un mulatto muscoloso, che scontava 18 anni per una rapina ad una banca e che aiutava a montare l'apparecchiatura sonora, era uno dei più indignati:
- Ma fratellino, cosa vogliono questi che sfottono il medico, che viene ad informare i fratelli sul pericolo di questa piaga e a farci svagare un po'? Questi non fottono il dottore, fottono noi!
La settimana successiva, prima che cominciasse l'incontro, Benê, figlio di un alcolizzato, che odiava gli ubriachi e che sparò su due di loro in una panetteria di Parelheiros, perché importunavano una ragazza che lui neanche conosceva, uomo di poche parole e abbastanza forza morale da arbitrare il campionato interno di calcio di quell'anno, comparve con tre giovani:
-Dottore, i fratelli qua devono dirle due paroline.
Il più grande dei tre, che, da adolescente aveva avuto l'occhio sinistro perforato da un proiettile vagante, ha parlato a testa bassa e con le mani incrociate dietro:
- In nome mio e dei miei compagni qui presenti, insieme, siamo venuti a chiedere scusa per i tanti fischi. Non l'abbiamo fatto per cattiveria, ma se i compagni hanno pensato di sì, chi siamo noi per dire di no?
Quest'aura di rispetto sincero attorno alla figura del medico che portava loro un piccolo aiuto ha esaltato in me un senso di responsabilità nei loro confronti. In più di vent'anni di clinica medica, è stato proprio in mezzo a quelli che la società considera la feccia dell'umanità che ho capito, con più chiarezza, l'impatto della presenza del medico nell'immaginario umano, uno dei più grandi misteri della mia professione.

 


(Brano tratto dal libro Estação Carandiru - Editora Estação Liberdade, São Paulo, 1996 -, che ha ispirato il recente film Carandiru, di Hector Babenco)


(Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme a Mirella Abriani e ai suoi allievi dell'Università di Pisa Simona Giannace, Francesca Renda, Lorenzo Tamburini, Marco Merlini, Alessandra Pescaglini, Gabriele Ceriani, Chiara Zucconi, Mirella Abriani)





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