AMOK

Stefen Zweig


– un brano della novella –


(...)
“Sì, dunque... aspetti... sì, dunque, la cosa andò così. Io me ne stavo nella mia maledetta rete, immobile da mesi come il ragno nella tela. Era giusto dopo il periodo delle piogge, per settimane e settimane l'acqua era caduta a scroscio sul tetto, non si era visto assolutamente nessuno, nessun europeo, e io lì, un giorno via l'altro, in casa, con le mie donne gialle e il mio buon whisky. In quel momento ero proprio giù, in pieno mal d'Europa; se in qualche romanzo leggevo di strade luminose e di donne bianche, cominciavano a tremarmi le dita. Non riesco a descriverle per bene quello stato, è una sorta di malattia tropicale, una nostalgia dirompente, febbrile e tuttavia inerte, che a volte ti piglia. Sicché quel giorno me ne stavo, mi pare, a contemplare un atlante, sognando non so quali viaggi. Quand'ecco, bussarono concitati alla porta: fuori c'è il boy e una delle donne, entrambi con gli occhi sbarrati per la sorpresa. Gesticolano come matti: è arrivata una signora, una lady, una donna bianca.
“Io salto su. Non ho sentito carrozze o automobili. Una donna bianca lì, a casa del diavolo?
“Faccio per scendere le scale, ma poi mi ritraggo. Un'occhiata allo specchio, mi riordino un poco alla svelta. Sono nervoso, inquieto, come tormentato da un brutto presentimento, non conoscendo nessuno al mondo disposto a venire da me per amicizia. Finalmente scendo.
“Nell'ingresso mi attende la signora, che mi viene incontro affannata. Un fitto velo da automobilista le copre il volto. Mi accingo a salutarla, ma lei mi tronca le parole in bocca. "Buon giorno, dottore" dice in un inglese sciolto (un po' troppo, forse, e come se il discorso fosse preparato). "Mi scusi se la prendo alla sprovvista. Ma eravamo appunto all'ambulatorio, la nostra macchina è ferma là (ma perché non è venuta con quella fin davanti a casa? mi passa per la testa in un lampo), e allora mi sono ricordata che lei abita qui. Ho sentito tanto parlare di lei; con il viceresidente ha compiuto un vero miracolo, la sua gamba funziona di nuovo alla perfezione, gioca a golf come prima. Oh si, tutti ne parlano ancora da noi, e tutti saremmo disposti a disfarci di quello scorbutico del nostro chirurgo, e degli altri due per giunta, se lei venisse dalle nostre parti. Insomma, perché non la si vede mai da noi? Lei vive veramente come un santone yoghin...".
“E così seguita a chiacchierare, in fretta, sempre più in fretta, senza che io possa fare motto. C'è qualcosa di nervoso, di isterico in questa verbosità, e finisce che mi innervosisco anch'io. Perché parla tanto, mi chiedo dentro di me, perché non si presenta, perché non si toglie il velo? Ha la febbre? È malata? È pazza? Divento sempre più nervoso, perché avverto il ridicolo dello starmene così, zitto, di fronte a lei, sommerso dallo scroscio di tanta loquacità. Finalmente rallenta un po' il ritmo, e posso pregarla di salire. Lei fa cenno al boy di starsene lì e mi precede per le scale.
“"Simpatico, qui da lei" dice, mentre si guarda attorno nella mia stanza. "Ah, quanti bei libri! Mi piacerebbe leggerli tutti!". Si avvicina allo scaffale ed esamina i titoli dei volumi. Per la prima volta da quando l'ho vista, tace per un minuto.
“"Posso offrirle del tè?" le chiedo.
“Lei non si volta e continua a guardare i titoli delle opere. "No, grazie, dottore... dobbiamo ripartire subito... ho poco tempo... sa, una piccola gita... Ah, ha anche Flaubert, io lo amo moltissimo... meravigliosa, assolutamente meravigliosa L'éducation sentimentale... vedo che lei legge anche il francese... Ma quante cose sa!... Già, i tedeschi, loro a scuola imparano tutto... Veramente favoloso, conoscere tante lingue!... Il viceresidente è entusiasta di lei, dice sempre che lei è l'unico con il quale andrebbe sotto i ferri... il nostro buon chirurgo va bene giusto per il bridge... Sa, oggi, fra l'altro (e seguitava a non voltarsi), mi è venuto in mente di consultarla magari anch'io... e siccome si passava di qui, ho pensato... be', ma ora lei avrà certo da fare... è meglio che ripassi un'altra volta".
“Le vuoi scoprire, finalmente, le tue carte? mi venne fatto di pensare. Ma non lasciai trasparire nulla, anzi le assicurai che per me sarebbe stato comunque un onore essere a sua disposizione anche subito, o in qualsiasi momento lei volesse.
“"Non è niente di grave" disse lei, girandosi a metà e sfogliando nel contempo un libro che aveva preso dallo scaffale, "niente di serio... sciocchezze... turbe femminili... capogiri, svenimenti. Stamattina presto, in una curva, all'improvviso sono venuta meno, raide morte... il boy ha dovuto tirarmi su nella macchina e cercare dell'acqua... sa, forse lo chauffeur andava troppo in fretta... non crede, dottore?".
“"Così su due piedi non saprei dirlo. Le capitano spesso questi svenimenti?". “"No... cioè sì... negli ultimi tempi... proprio recentissimamente... sì... mancamenti e malesseri simili". E di nuovo davanti alla libreria, infila il volume, ne estrae un altro e lo sfoglia. Strano, perché continua a sfogliare in quel modo così... così nervoso, perché non alza gli occhi sotto il velo? Io non apro bocca di proposito.
Alla fine lei riattacca, nel suo tono svagato, ciarliero.
“"Vero, dottore, non è niente di preoccupante? Non è un morbo tropicale... una cosa pericolosa...".
“"Dovrei prima vedere se ha la febbre. Permette che le senta il polso?...".
“Mi avvicino. Lei scarta leggermente di lato.
“"No, no, non ho la febbre... ne sono certa, certissima... ho misurato io stessa la temperatura ogni giorno da quando... da quando sono cominciati questi svenimenti. Mai una linea di febbre, sempre a puntino 36,4 esatti. Anche il mio stomaco è a posto".
“Io esito un istante. Tutto il tempo già mi formicola dentro un sospetto: sento che quella donna vuole qualcosa da me; non si va a casa del diavolo per parlare di Flaubert. La lascio sulle spine per un paio di minuti. "Mi scusi," dico poi con franchezza "permette che le faccia qualche domanda personale?".
“"Certo, dottore! Lei è medico, no?" risponde, ma intanto mi volta di nuovo le spalle e si trastulla con i libri.
“"Ha avuto figli?".
“"Si, un maschio".
“"E quella volta... prima... prima del parto, voglio dire... ha avuto turbe analoghe?". "Si".
“Adesso il suo tono di voce è del tutto diverso. Assolutamente chiaro, deciso, per niente logorroico, per niente nervoso. "E potrebbe essere che lei... mi perdoni la domanda... che lei ora si trovi in uno stato del genere?".
“"Sì".
“Lascia cadere la parola come un coltello affilato e tagliente. Sulla sua testa voltata non si scompone una linea.
“"In tal caso, gentile signora, sarebbe forse bene che io le facessi una visita generale... posso chiederle di... di accomodarsi nella stanza accanto?".
“A quel punto lei si gira di scatto. Attraverso il velo sento uno sguardo freddo, deciso, puntarmi addosso.
“"No... non è necessario... sono perfettamente certa del mio stato"”.
La voce esitò per un istante. Di nuovo brilla nell'oscurità il bicchiere pieno. “Dunque, mi stia a sentire... ma prima cerchi di afferrare un attimo la situazione. Uno si sta sfacendo nella sua solitudine, ed ecco che gli piove in casa una donna, entra nella sua stanza la prima donna bianca da anni... e di colpo io avverto: c'è qualcosa di perverso nella stanza, un pericolo. Era come un brivido: provavo orrore per la ferrea determinazione di quella donna capitata lì con i suoi discorsi a ruota libera, che poi all'improvviso ti sfodera la sua richiesta come un coltello. Perché io sapevo bene, lo sapevo da subito, che cosa voleva da me: non era la prima volta che delle donne si presentavano con simili richieste, solo, lo facevano in altro modo, imbarazzate o supplichevoli, con lacrime e preghiere. Mentre lì c'era una... sì, una determinazione ferrea, virile... dal primo istante mi resi conto che quella donna era più forte di me... che era in grado di piegarmi al suo volere come le pareva... Ma... ma... anche in me c'era qualcosa di perverso... il maschio che si ribellava, non so quale risentimento, perché... l'ho già detto... dal primo istante, anzi, ancor prima di vederla, sentii quella donna come un nemico.
“Lì per lì non feci motto. Tacevo astioso e caparbio. Sentivo che lei mi fissava da dietro il velo, secca e imperiosa, che voleva costringermi a parlare, ma... cercando di svicolare... istintivamente imitai i suoi modi ciarlieri, svagati. Finsi di non capirla, perché – non so se lei è in grado di immedesimarsi nel mio stato d'animo – volevo costringerla a diventare esplicita, non volevo essere io a offrire, ma... essere pregato... proprio da lei, perché si presentava con tanta spocchia... e perché sapevo che nelle donne niente è per me più irresistibile di quei modi arroganti e freddi.
“Sicché tergiversavo: non c'era motivo di preoccuparsi, simili svenimenti rientravano nel normale decorso delle cose, anzi, garantivano in qualche modo uno sviluppo favorevole. Citai casi da riviste mediche... parlavo e parlavo, svagatamente lieve, considerando la faccenda una mera banalità e... sempre in attesa che lei mi interrompesse. Perché ero certo che non lo avrebbe sopportato.
“E infatti troncò seccamente il discorso, spazzando via, per così dire, tutte quelle chiacchiere rassicuranti con un gesto della mano.
“"Non è questo, dottore, che mi inquieta. A suo tempo, quando ho avuto il ragazzino, ero in condizioni migliori... ma ora non sono più allright... ho problemi di cuore...".
“"Ah, problemi di cuore," ripetei io, con finta preoccupazione "allora è meglio che me ne accerti subito". E feci il gesto di alzarmi, per prendere lo stetoscopio. “Ma lei si intromise all'istante. Adesso la sua voce suonò secca e decisa, come su una piazza d'armi.
“"Io ho problemi di cuore, dottore, e devo pregarla di credere a quanto le dico. Non vorrei perdere troppo tempo in visite: penso che lei potrebbe dimostrarmi un po' più di fiducia. Io almeno ne ho mostrata abbastanza nei suoi confronti".
“Ormai era battaglia, sfida aperta. E io la accettai.
“"Per la fiducia occorre sincerità, e senza riserve. Parli chiaro, io sono medico. E soprattutto si tolga il velo, si sieda qui, lasci perdere i libri e i diversivi. Non si va dal medico con il velo".
“Lei mi guardò, eretta e fiera. Per un attimo indugiò. Poi si sedette, alzando il velo. Io vidi un volto esattamente come avevo... temuto, un volto impenetrabile, duro, sicuro di sé, di una bellezza priva di età, un volto dagli occhi grigi inglesi, nei quali tutto pareva pacatezza, mentre dietro ci potevi sognare ogni passionalità. Quella bocca sottile, serrata, non svelava segreti, se non lo voleva. Per un minuto ci fissammo a vicenda, lei insieme dispotica e interrogativa, con una ferocia così fredda, così ferrea, che fui incapace di sopportare quello sguardo, e distolsi gli occhi senza rendermene conto.
“Batté leggermente sul tavolo con le nocche. Dunque anche lei era nervosa. Poi all'improvviso disse d'un fiato: "Lo sa, dottore, che cosa voglio da lei, oppure no?".
“"Credo di saperlo. Ma è meglio essere del tutto espliciti. Lei intende mettere fine al suo stato... Lei vuole che io la liberi dagli svenimenti, dai suoi malesseri, rimuovendone... rimuovendone la causa. È così?".
“"Si".
“ La parola piombò come una ghigliottina. “"Ma lei sa che simili pratiche sono rischiose... per entrambe le parti?...".
“"Si".
“"Che a me è vietato dalla legge?".
“"Ci sono casi in cui non è vietato, ma anzi doveroso".
“"Ma per questi ci vuole una motivazione clinica".
“"E lei la troverà, quella motivazione. Lei è medico".
“I suoi occhi, intanto, mi guardavano limpidi, fissi, senza battere ciglio. Era un ordine, e io, essere senza nerbo, ero scosso dall'ammirazione per la demoniaca imperiosità del suo volere. Ma ancora mi torcevo, non volevo mostrarmi già schiacciato sotto i piedi. – "Non cedere troppo in fretta! Trova delle scuse! Costringila a implorare" mi dettava dentro un desiderio perverso.
“"Non sempre dipende dalla volontà del medico. Ma sono disposto a parlarne con un collega dell'ospedale...".
“"Io non voglio il suo collega... sono venuta da lei".
“"Posso chiederle perché proprio da me?". “Mi guardò freddamente.
“"Non ho difficoltà a dirglielo. Perché lei abita fuori mano, perché lei non mi conosce, perché lei è un bravo medico, e perché lei..." – a questo punto ebbe per la prima volta una esitazione – "probabilmente non rimarrà più a lungo da queste parti, specie se... se potrà portarsi a casa una somma considerevole".
“Mi vennero i brividi. Quella ferrea lucidità di calcolo da mercante, da sensale, mi stordiva. Fino allora non aveva aperto le labbra per un'implorazione, ma calcolato ogni cosa da un pezzo – prima facendomi la posta e poi stanandomi. Sentivo il demoniaco della sua volontà entrarmi dentro, ma cercai di difendermi con tutto il mio accanimento. Ancora una volta mi sforzai di essere distaccato, quasi ironico.
“"E questa somma, lei la metterebbe... la metterebbe a mia disposizione?".
“"Per il suo intervento e l'immediata partenza".
“"Lo sa che in tal caso ci rimetto la pensione?".
“"Provvederò io a risarcirla".
“"Lei è molto esplicita... Ma io desidero una chiarezza ancora maggiore. Quale cifra ha previsto per il mio onorario?". “"Dodicimila fiorini, esigibili ad Amsterdam su assegno".
“Io... fremevo... fremevo dalla rabbia e... anche dall'ammirazione. Aveva calcolato tutto, la somma e il modo del pagamento, che mi costringeva a partire, mi aveva valutato e comprato, senza conoscermi, aveva disposto di me nella consapevolezza del proprio volere. Mi sarebbe piaciuto prenderla a schiaffi... Ma quando mi alzai tremando — si era alzata anche lei — e le piantai gli occhi negli occhi, improvvisamente, alla vista di quella bocca serrata che si rifiutava di implorare, di quella fronte altezzosa che non voleva piegarsi, mi prese... una... una sorta di bramosia violenta. Lei dovette averne una qualche percezione, perché inarcò le sopracciglia, come quando ci si vuole liberare di un importuno: di colpo tra noi fu odio scoperto. Sapevo che lei mi odiava perché aveva bisogno di me, e io la odiavo perché... perché non era disposta a implorare. In quell'attimo, in quell'unico attimo di silenzio ci parlammo per la prima volta con tutta sincerità. Poi come un rettile mi morse dentro, improvvisa, un'idea, e io le dissi... io le dissi...
“Ma aspetti, in questo modo lei fraintenderebbe ciò che ho fatto... che ho detto... devo prima spiegarle come... perché mi è venuta quell'idea folle... ”.
Ancora una volta nell'oscurità tintinnò lievemente il bicchiere. E la voce si fece più agitata.
“Non è che io voglia trovare scusanti, giustificazioni, uscirne pulito... Ma altrimenti lei non capirebbe... Non so se io sono mai stato quello che si dice una brava persona, però... penso, soccorrevole lo sono stato sempre... Nella sporca esistenza laggiù era infatti l'unica gioia che uno avesse: poter conservare il respiro a qualche frammento di vita con quel poco di scienza che ti eri ficcato in testa... una sorta di soddisfazione da padreterno... Veramente, erano i miei momenti più belli, quando uno di quei ragazzotti gialli veniva a cercarmi, pallido e cianotico dallo spavento, un morso di serpente nel piede tutto gonfio, e già si metteva a urlare che non gli amputassero la gamba, e io riuscivo in extremis a salvargli la pelle. Ho fatto percorsi di ore, se qualche donna era nel delirio della febbre, dando anche una mano nel senso voluto da quell'altra, ancora in Europa, all'ospedale. Ma almeno sentivi che quella creatura aveva bisogno di te, sapevi di salvare qualcuno dalla morte o dalla disperazione, e di questo sentimento avevi bisogno tu stesso per essere di aiuto: che gli altri avessero bisogno di te.
“Ma quella donna – non so se riesco a dargliene l'idea – mi indispettiva, mi istigava a resistere, a causa della sua spocchia; dal momento in cui era entrata come per una visita casuale, incitava – come posso dirlo? –, incitava alla reazione tutto ciò che vi era in me di represso, di nascosto, di cattivo. Che si atteggiasse a lady, che prospettasse con inaccessibile freddezza una transazione dove ne andava della vita o della morte, mi stravolgeva il cervello... E poi... e poi... alla fin fine una non rimane incinta giocando a golf... sapevo... ossia ero improvvisamente costretto a rammentare con un'evidenza terribile – ecco, appunto, l'idea a cui accennavo – che quella donna scostante, altera, fredda, che aggrottava le ciglia sopra i suoi occhi d'acciaio al solo mio guardarla con diniego... anzi quasi con ripulsa... che quella donna due o tre mesi prima si era voltolata in calore nel letto con un uomo, nuda come un animale e forse gemendo nell'orgasmo, i corpi incollati come labbra... Questa, questa era l'idea bruciante che mi venne, mentre lei mi guardava con tanta arroganza, con tanta inaccessibile freddezza, proprio come un ufficiale inglese... e allora, allora tutto in me si tese allo spasimo... ero ossessionato dal proposito di umiliarla... da quell'istante vedevo attraverso il vestito il suo corpo nudo... da allora vivevo solamente nell'idea di possederla, di estorcere alle sue labbra dure un gemito, di sentire in orgasmo quella donna fredda, spocchiosa, come quell'altro che non conoscevo. Insomma... ecco ciò che le volevo spiegare. Mai, per quanto fossi caduto in basso, avevo cercato, come medico, di approfittare della situazione... Ma ora non era libidine né foia né alcunché di sessuale, proprio no... se così fosse, lo confesserei... unicamente bramosia di schiacciare un'alterigia... di schiacciarla in quanto maschio... Le ho già detto, credo, che le donne arroganti, apparentemente fredde, da sempre mi tenevano in pugno... ma ora, ora si aggiungeva anche il fatto che da sette anni io vivevo lì senza possedere una donna bianca, che non conoscevo resistenze... Perché le ragazze lì, quelle piccole graziose bestioline cinguettanti, tremano dalla soggezione se un uomo bianco, un "signore", le prende... si annullano dalla devozione, sono sempre disponibili per te, sempre pronte a renderti servizio con il loro riso discreto, gorgogliante... ma proprio questa supina arrendevolezza, da schiava, ti guasta tutto il piacere... Comprende ora, lo capisce, perché avesse poi su di me un effetto dirompente la circostanza che, all'improvviso, si presentasse una donna piena di spocchia e di odio, chiusa fino alla punta delle dita, ma nello stesso tempo circonfusa di mistero e carica di passionalità pregressa... che una donna del genere entrasse senza remore nella gabbia di un uomo del genere, di una bestia umana così derelitta, così famelica, così segregata?... Questo... questo ho voluto dire soltanto perché lei potesse comprendere il resto... quello che accadde dopo. Dunque... invasato da una bramosia perversa, avvelenato dall'idea di lei, nuda, sensuale, arresa, mi compattai, per così dire, a riccio simulando indifferenza. Dissi con freddezza: "Dodicimila fiorini?... No, per una cifra simile non lo farò".
“Lei mi guardò con un certo pallore. Evidentemente già si rendeva conto che in quel rifiuto non c'era avidità di denaro. Eppure non si perse d'animo.
“"Allora quanto vuole?".
“Io non abboccai più a quel tono algido. "Giochiamo a carte scoperte. Io non sono un uomo d'affari... non sono il povero speziale di Romeo e Giulietta, che per corrupted gold vende il suo veleno... sono forse l'opposto di un uomo d'affari... per questa strada lei non vedrà realizzarsi il suo desiderio".
“"Sicché non vuole farlo?".
“"Non in cambio di denaro".
Per un attimo tra noi il silenzio fu totale. Così assoluto, che per la prima volta sentivo il respiro di lei.
“"E che altro potrebbe volere?".
“A quel punto non mi trattenni più. “"Innanzitutto desidero che lei... che lei non parli con me come a un bottegaio, ma come a un essere umano. Che lei, se ha bisogno di aiuto, non... non si avvalga subito del suo immondo denaro... ma preghi... preghi me, essere umano, di aiutare lei, essere umano... Io non sono soltanto un medico, non ho soltanto ore di ambulatorio... ho anche ore di altro tipo... forse lei è arrivata proprio in un'ora del genere...".
“Per un attimo tace. Poi la bocca le si storce lievemente, trema e dice in fretta: “"Allora, se io la pregassi... lei lo farebbe?".
“"Ancora una volta lei vuole concludere un affare: vuole pregarmi, solo se io prima prometto. Prima deve pregarmi lei: poi io le darò la risposta".
“ Inalbera la testa come un cavallo imbizzarrito. Mi guarda esasperata.
“"No, io non la pregherò. Piuttosto crepo!".
“Allora mi prese la rabbia, una rabbia cieca, assurda.
“"In tal caso esigerò io, se lei non vuole chiedere debitamente. Penso non occorra diventare espliciti: lei sa che cosa desidero da lei. Poi, dopo, io l'aiuterò".
“ Mi guardò fissa un istante. Poi – ah, non so, non riesco a dire quanto fosse tremendo – i suoi lineamenti si tesero, e poi... d'un tratto rise... mi rise in faccia con indicibile disprezzo... con un disprezzo che mi polverizzava... e insieme inebriava... Era come un'esplosione, così subitanea, così dirompente, con tale potenza era fatta deflagrare da una forza immane, quella risata di disprezzo, che io... sì, io avrei voluto prostrarmi a terra e baciarle i piedi. Fu un attimo soltanto... come una saetta, e presi fuoco in tutto il corpo... mentre lei già si girava, andando rapida verso la porta.
“Istintivamente avrei voluto seguirla... chiederle scusa... implorarla... la mia forza era del tutto infranta... lei allora si volse verso di me e disse con voce perentoria:
“"Non si azzardi a seguirmi o a farmi la posta... se ne pentirebbe".
“E già la porta sbatteva alle sue spalle..
(...)


(Brano tratto da Amok, Adelphi edizioni, Milano, 2004, traduzione di Emilio Picco.)

Stefen Zweig



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