“Gli uccellini e le cosce”
intervista con Alda Merini

di Katia Sebastiani e Helen Cordoni

 

Alda Merini

 


Incontriamo Alda Merini proprio nel bel mezzo del trasloco che la porterà ad abitare “in una casa più grande”, come ci dice, nella zona nordest della città, a due passi dal duomo di Milano.
Ad accoglierci un odore di cose vecchie ed il suo tono infastidito “che volete, – ci dice – con tutta questa roba non ci entriamo più”.
Appoggiandosi ad un bastone da passeggio, ci fa accomodare nel salottino e al nostro arrivo vediamo fuggire degli uccellini sorpresi a beccare briciole vicino al pianoforte.
Nella stanza ci sono libri accatastati su ogni superficie orizzontale, il pianoforte chiuso, uno scatolone pieno di vestiti a riempire l’uscita sul terrazzino. Le pareti sono piene di quadri e fotografie che raffigurano il suo viso, lei vestita solo di una collana e una pelliccia, lei con Carla Fracci, lei con le figlie, lei che riceve dei premi. Una scultura in terracotta con il suo busto dimenticata sopra un mobile. Il tavolo stracolmo di cose di ogni genere: sigarette spente, rimasugli di cibo, bottiglie di vino, insetticida, banane acerbe.
Dopo qualche piccola manovra riusciamo infine a sederci e cominciamo a parlare, mentre sulla porta compare la signora che pochi istanti prima ci aveva risposto al citofono.
“Allora io vado – sussurra – ci sentiamo stasera”, e se ne va.

In una poesia ha scritto: “Il poeta non serve la gloria di Dio/ ma solo la sua gloria/ che è un lontano riverbero/ della collera divina”. Ci può spiegare il significato di questi versi?
Il poeta si sente un po’ castigato in questa vita terrena, e vorrebbe andare in una vita più tranquilla. Le cure giornaliere lo disturbano.

E la collera divina?
La mia idea è che Dio ha creato l’uomo in un momento di rabbia, perché l’uomo è odio, non è amore, con tutta la cattiveria che c’è in giro? L’amore è una cosa molto facile: l’uomo preferisce essere odio, gli viene meglio.

Lei però nella sua vita ha provato anche tanto amore.
Ho provato amore... Proprio ieri ho avuto qua una signora che era sposata da dodici anni: il marito se ne è andato con un’altra e non le dico le lacrime di questa donna, e mi diceva come può mutarsi un amore in odio? Interrogato, il sacerdote mi ha detto quando manca la stima nell’altro, e questo è vero: quando uno smette di stimare l’altra persona... In fondo anche Dio dice ad Abramo vai e prendi il figlioletto e uccidilo, e non si capisce che tipo di amore sia, perchè della vita terrena del figlio di Abramo non gliene importava niente...

A proposito dell’intervento di isterectomia a cui è stata sottoposta, lei ha dichiarato: “Tolto l’utero, mi sono scomparsi all’improvviso i sintomi della malattia mentale. Penso che ci sia un legame tra le due cose”. Cosa intendeva dire, esattamente?
No, della malattia mentale no. Io avevo delle grosse emorragie, quindi mi indebolivo sempre di più. In manicomio sterilizzavano le persone, affinché non facessero figli, se no scattava la legge dell’affido, poi non volevano le prove della gravidanza: un pastrocchio. A me ha fatto bene, perchè ero ammalata.

Ma secondo lei esiste un legame tra la maternità e il senso della sofferenza?
La maternità è una sofferenza, una gioia molto sofferta. Da un amante ci si può staccare, ma da un figlio non riesci.

Come trascorre le sue giornate, quotidianamente?
Ma, come mi vengono. Adesso sono condizionata da questa operazione alle anche: se mi va mi alzo, altrimenti no, comunque cerco di muovermi.

Si alza in piedi e ci mostra una lunga cicatrice lungo il fianco destro, “la ferita di guerra”, come la chiama, scoprendo così le gambe.
“Sa, signora Merini, che ha ancora delle belle cosce?”
Lei si siede e scoppia in una fragorosa risata, con il volto nascosto tra le mani.
“Perchè ride? Immagino che altri glielo abbiano detto prima di noi”.
“No, è che ripenso...un po’ di tempo fa, all’inizio della malattia, ho chiamato una signora per mettere un po’ di Lasonil per il dolore e lei a un certo punto mi dice “ma lei non ha neanche un pelo!”...mah!”
Continuiamo a ridere per un po’, fragorosamente.

E’ vero che lei ricorda a memoria tutte le sue poesie?
Più o meno sì. Io sono una ispirata, diciamo. Non scrivo a tavolino.

E qualcuno trascrive i testi per lei.
Sì, perchè ho una scrittura terribile. Tanto dopo le dovrebbero ricopiare: tanto vale che le scrivano direttamente. Poi, appunto, siccome mi vengono facili...

Quando lei “dice” una poesia, segue una musica?
Più o meno. Mi viene naturale, ma questo fa parte della cultura che uno ha dentro di sè. Quello che vale nel poeta è la cultura... poi però va a finire che questi poveri poeti si ammazzano... perchè lei può essere calunniata per la bellezza e cioè il talento, che è raro, che non è di tutti e quindi che è una marcia in più, agli altri dà fastidio. Cominciano a dire “perchè non sono bella come la Merini? perchè non sono bravo come Costanzo?”, perché, se avessero un minimo di modestia, capirebbero che se Costanzo ha un talento, magari ha una remora in qualche cos’altro. Per esempio come donna di casa io non valgo niente. La gente non capisce che il talento è uno e non è che uno è onniscente: uno è bravo a far poesia e magari poi...
Il fatto dell’invidia dimostra molta ignoranza e soprattutto quando l’uomo non accetta queste cose, quello che Dio gli ha dato... o accetto che lei è superiore a me, o gliene faccio tante come in manicomio, finchè si muore...

Lei è gelosa?
Molto. Sono un temperamento molto geloso. Mi capita raramente di arrabbiarmi, magari una volta all’anno, ma quando mi capita... perchè quando un buono diventa cattivo è cattivissimo... io sono molto paziente.

Ci chiede di staccare dalla parete un quadretto che contiene un collage di fotografie che la ritraggono insieme alla figlia Barbara.
“Ecco – dice – questa è mia figlia, vedete? Sono molto belle le mie figlie, hanno gli occhi assassini, lei somiglia un po’ al papà... quelli sono i veri amori...”

Ma adesso lei è innamorata, a parte le figlie?
No, io ogni tanto vado in delirio... m’innamoro ancora e nel mio caso, data l’età, sono passioni sconvolgenti, anche perchè uno non può realizzarle. Il poeta è come un sacerdote, riesce a sublimare: il poeta, anche se fosse possibile, preferisce cantarlo l’amore anziché viverlo, anche perchè viverlo è un rischio, e allora si tira sempre indietro.

Un po’ codardo, allora, il poeta?
Non è codardo. Se io mi innamoro di lei e facciamo l’amore, è una cosa temporanea che poi non interessa a nessuno. Ma se io le dedico una bella pagina di poesia lei è immortalata: cosa preferisce, anche lei, fare l’amore con me o essere immortalata in un libro? Lo so che l’amore è carne, però, se io so che mangiare un piatto di pastasciutta mi fa male e poi sto male, cerco di non mangiarlo, anche se lo desidero. Portare il bisogno dell’eros su un piano più alto non è da tutti... bisogna riuscire a ribaltarlo, perchè anche i sensi... li hanno tutti; o no? Li ha anche mia nonna, cioè se lei non ha più i sensi, lei ha un elettroencefalogramma piatto e muore. Certo, una cosa per cui io mi sono tanto battutta è perchè questi anziani non lo dicono: hanno paura, una vergogna che non è vera, perchè l’eros è vita.

Resta intatto, ma dipende anche da chi lo accende, l’eros?
Ma, io ne ho quattro di figlie, questa è quella che mi sta più vicina. Naturalmente la amo di più, vedendola sempre, sentendola sempre, dopo le altre son gelose, ma è quella che veramente arriva a lavarmi i piedi, a farmi il bagno. E’ chiaro che la sua vicinanza è anche erotica, è anche di carne, è anche di pelle. Le altre figlie non lo capiscono. Se io ho un amante che è assiduo, che viene, che si preoccupa di me, io lo amo perchè è anche un fatto di riconoscenza, però in quanto a riconoscenza non lo potrei maltrattare. Se poi questo amante mi abbandona, ne soffro, perchè mi abbandona un amico, mi abbandona una persona che mi dà una mano, che mi vuole bene... che è diverso dall’amare: la passione non è il “ti voglio bene”, il voler bene è volere il bene dell’altro, quindi, anche se l’altro lo lascia, lei deve imparare... è dura, ti lasciano anche i figli per questo, e la mamma soffre... è dura quel tanto che basta per accedere alla poesia...però...la poesia non dà pane.

“Ballate non pagate”, infatti.
“Ballate non pagate” è stato un titolo che ho dato io, e l’editore ha detto “Non vorrà mica dire che noi non paghiamo”. “No”, ho detto io...Poi non mi arrivavano i soldi e sono andata in questura a denunciarlo, doveva darmi un milione allora...Mi hanno detto “ha le prove?”, “il titolo” ho risposto io “ballate non pagate”. Vede come è astuto il poeta? La questura è un’altra che vuole sempre le prove, dico “le cerchi lei le prove!”; o no?

Nelle sue poesie ci sono molti colori, per esempio in quelle de “La terra santa” predomina l’azzurro.
Perchè nei manicomi c’erano dei grandi finestroni dai quali si vedeva un grande squarcio di cielo...Mi piacciono molto i colori, perchè all’età di diciassette anni, ed è una cosa che sanno pochi, sono rimasta cieca per tre anni e quando, dopo l’intervento, mi hanno sfasciata e ho rivisto i colori, mi sono entusiasmata. Adesso vedo bene, anche senza occhiali, ma allora, dopo l’operazione, ricordo l’entusiasmo per i colori. Sarà anche perchè mi piace la pittura e frequento molti pittori.

Lei ha mai dipinto?
Da bambina, da ragazza, poi ho lasciato.

Era un’altra la strada...
La strada del dolore, per cui devo essere grata a mio marito. Anche Giuda ha dato il via al cristianesimo. Delle volte le cose negative, se si vede la parte giusta del male... Mio marito mi ha insegnato questo paesaggio di diseredati, di incolpevoli. Ho conosciuto l’idea dell’abbandono alla provvidenza divina e al destino...io ho pagato, hanno pagato tutti, è come lo sterminio degli ebrei...

Veniamo interrotte da un rapidissimo passaggio di passerotti, che svolazzano liberamente per casa.
“Questi uccelli – dice – ma sono veramente irriverenti... entrano, mangiano, escono... ma per che cosa l’hanno presa la mia casa?”
E dopo una sua nuova battuta salace, ridiamo ancora, insieme e di gusto. Poi facciamo le nostre ultime domande, perchè Alda Merini inizia ad essere stanca e dice di aver bisogno di stendersi un po’.

Che cosa le ha dato e che cosa le ha tolto la poesia?
Mi ha tolto tempo...no, niente. L’unica cosa non bisogna pensare di far soldi con la poesia.

E il premio Nobel, le piacerebbe?
Ma, non ci tengo particolarmente, perchè dalla vita ho avuto già tutto. Bisogna davvero provare il male del manicomio per capire quello che di bello ha la vita.

La signora Merini si alza e ci precede nello stretto corridoio che porta alla sua camera.
“Venite – dice – voglio mostrarvi una cosa prima che ve ne andiate. Vedete quel coso?” e indica una maniglia che spenzola sul letto e che serve come aiuto per alzarsi.
“Gli uccellini lo usano come un’altalena. E’ buffo come si divertano con uno strumento di tortura; o no?”
Poi si siede sul letto disfatto, accende la radio sul comodino e parte una canzone di Ornella Vanoni, che ovviamente parla d’amore.
“Che bella canzone!” ci dice e il suo sguardo, fino a quel punto attentissimo, diviene vago e leggero. La sensazione che abbiamo è che non noi, ma lei, che è lì seduta, se ne sia andata improvvisamente, con dolcezza, altrove.
Lasciamo andare Alda Merini. Usciamo dallo stretto portoncino d’ingresso e scendiamo le scale, accompagnate dalla voce della Vanoni e dalle parole d’amore.

Milano, 16 luglio 2004

 



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