UN PUGNO A VUOTO

 


Nelson Algren

 


Fu la signorina Donahue della scuola elementare n. 24 a dare l'ultima spinta a Rocco e a lanciarlo dall'ottava classe nel mondo. Rocco aveva quindici anni, e la signorina lo aveva visto fare a pugni, nelle ore di ricreazione, fin da quando ne aveva sei. Perché all'asilo non c'erano ore di ricreazione, altrimenti lui avrebbe cominciato dai cinque anni. La signorina gli aveva tenuto gli occhi addosso per quattro semestri, e quel pomeriggio, alla fine della scuola, era quasi entusiasta di lui quando scrisse nel suo album degli autografi: "Sperando che Rocco riuscirà bene".
Tutto sommato, Rocco riuscì bene. A modo suo. Usci dall'aula scolastica per entrare nel ring che stava dietro l'Happy Hour Bar, a sostenere un incontro senza limiti di peso, con una borsa di otto dollari, tutta per il vincitore. Rocco prese tutto.
Dopo quell'incontro, Mike Adler, organizzatore locale, affibbiò al ragazzo il nome di Young Rocco, e il nome gli rimase. Combatté nei pesi medi e poi passò nei mediomassimi, mentre le borse aumentavano un po' alla volta fino a sessanta dollari più le spese. A diciannove anni smise di crescere, anche le borse smisero di crescere, e Rocco sposò una ragazza chiamata Lili.
Da allora, per una ragione o per l'altra, non vinse più tutti i suoi incontri, e quando arrivò ai ventidue anni le vittorie cominciarono a pareggiare le sconfitte. Continuò a boxare. Era tutto quello che sapeva fare. Non accettò mai di lasciar vincere l'avversario; non ebbe mai incontri combinati o avversari da prendere sotto gamba. Se ne stava alla larga dal whisky; non giocava; prima di ogni incontro andava a letto presto, e voleva bene a sua moglie. Gli capitarono incontri in tutti gli angoli della città, con una mezza dozzina di manager diversi, e lui si batteva ogni volta che gli chiedevano di battersi, a qualsiasi ora. Qualche volta sostituiva pugili migliori di lui, con un preavviso di due ore. Non era uno che si tirava indietro, e nessuno lo aveva messo al tappeto per il conto di dieci. Le buscava dai migliori del suo mestiere. Ma non lo avevano mai messo giù per il conto totale.
Una sera si batté con uno che veniva dalla Costa e si prese la peggiore batosta della sua carriera. Ma alla fine era ancora in piedi. Con una ganascia spaccata in tre punti.
Dopo quella volta rimase all'ospedale tre mesi, e Lili andò a lavorare in una fabbrica. Non era una ragazza molto robusta, e a lui non garbava che dovesse andare a lavorare. Ritornò a boxare prima di avere la guancia a posto, e le prese.
Però, anche quando le prendeva, il pubblico gli voleva bene. Lo sfottevano quando l'annunciatore lo presentava col nome di Young Rocco, perché tanto giovane non sembrava più e aveva l'aria di uno di trentaquattro anni prima di averne compiuti ventisei. Aveva perduto quasi tutti i capelli all'ospedale, e le cicatrici sopra gli occhi gli davano sempre meno l'aspetto di un giovanotto. Gli amici passavano, cambiavano, i soldi arrivavano e partivano subito, salvo quelli che riusciva a mettere da parte; qualche volta aveva un colpo di fortuna con una vittoria ai punti e qualche volta lo derubavano di una vittoria che si era meritata. Tutto cambiava, salvo il suo peso che era sempre ottantacinque chili, e sua moglie, che era sempre Lili. E il suo stato di servizio, che era quello di uno che non era mai andato al tappeto per il conto di dieci. Tutto questo non cambiava, e nemmeno il suo nome: Young Rocco, per l'eternità.
Il nome gli era rimasto incollato come niente altro al mondo, eccetto Lili.
Alla fine, e la fine venne che lui aveva ventinove anni, tutto ciò che gli rimaneva era il suo stato di servizio e la sua ragazza. Con l'età che aveva, una delle due doveva andarsene: o la ragazza o la sua fama di pugile che non è mai stato battuto per fuori combattimento. Lui non se ne rendeva conto, e prima di arrivare a capirlo dovette passare sei settimane senza guadagnare un soldo. Quando scoprì che lei sfaccendava per casa con le sue vecchie scarpe da tennis per risparmiare i tacchi delle sole scarpe decenti che le rimanevano, prese la sua decisione.
Forse Young Rocco non era il più bel pugile della città, ma non era nemmeno il più suonato. Se aveva la faccia ammaccata e il portafoglio ancora più ammaccato, non voleva dire che anche il suo cervello fosse ammaccato. Non era ammaccato, il suo cervello. Sapeva cosa c'era in gioco. E voleva bene alla sua ragazza.
Entrò nell'ufficio di zio Mike a vedere se c'era qualche incontro per lui, e Mike ebbe la bontà di non chiedergli che specie d'incontro desiderava. Aveva sotto mano un tipo di vent'anni, un certo Solly Classky, e gli stava preparando la strada sotto il nome di battaglia di Kid Class. Avevano puntato fior di quattrini su quel ragazzo, ed era meglio non scommettere contro. Se Rocco ci stava, l'affare era fatto. Zio Mike non insistette per niente. Lì in palestra c'erano due medio-massimi che chiedevano soltanto di farsi battere da Solly Classky. Rocco doveva dire una parola sola: okay. La sua parola era sufficiente per zio Mike. Rocco disse okay. E se ne uscì dalla palestra con la borsa più grossa della sua carriera, e la prima che incassava in anticipo: quattro carte da venti e due da dieci.
Diede tutto a Lili, fino all'ultimo centesimo, e nel consegnarle i soldi sapeva che stava facendo né più né meno che il suo dovere. Si era guadagnato il diritto di liquidare tutto, e aveva venduto. Il ring gli doveva qualcosa di più che una carta da cento, rifletté saggiamente, e aggiunse ad alta voce, per far piacere a Lili: “Gli darò una strigliata, da stenderlo secco, a quello sbarbato”.
Furono felici tutt'e due quella sera. Rocco non era mai stato così felice dal giorno che aveva finito la scuola.

Ebbe addosso un mal di testa per tutto il tratto fino al City Garden, quella sera, ma gli passò un poco nella penombra dello spogliatoio, sotto i posti numerati. Nel momento che vide le luci del ring, mentre avanzava tutto solo lungo la corsia sporca, il mal di testa gli tornò più forte.
Stravaccato nel suo angolo prima dell'inizio, guardò luci che oscillavano leggermente sulla sua testa, e chiuse gli occhi. Quando li aprì, una specie di polvere saliva lentamente verso le lampade. La vide scomparire di colpo, fuggendo al di sopra delle corde e verso le gradinate buie, piene d'occhi vigili. Sotto di lui, qualcuno schiacciò la cicala del preavviso.
Squadrò Kid Class nel momento che si toccarono i guantoni, e poi guardò imbronciato oltre la testa del ragazzo, mentre Ryan, l'arbitro, ripeteva tutto d'un fiato il solito sermone sul break nel corpo a corpo. Sentì che gli toglievano la vestaglia dalle spalle, e improvvisamente, in quel breve istante prima della campana, si sentì addosso una stanchezza che non aveva mai provato prima di allora. Partì con una mezza guardia in avanti, e ci fu qualcuno che gridò: “Dài, Solly, fallo fuori”.
Indietreggiò per lasciare l'iniziativa al ragazzo, e poi allungò abbastanza per colpirlo due volte di sinistro sui denti e ritirarsi di nuovo. Le gradinate si misero a ululare, sentendo odore di sangue. Non dovevano dire che avevano speso male i loro soldi, almeno per un paio di riprese. Non era il caso di farla troppo sporca.
Verso la metà della seconda ripresa cominciò ad accorgersi che il ragazzo gli telegrafava i colpi di destro col movimento della spalla sinistra, e Rocco entrò per bloccare. Il sinistro del ragazzo tornò indietro insanguinato, e Rocco capì di essere stato colpito dal modo in cui le gradinate ricominciarono a urlare. Non gli venne in mente che era il momento buono per lasciarsi cadere al tappeto; non se ne ricordava nemmeno più. Invece, vide il ragazzo che tornava a telegrafargli il destro, mentre il sinistro, che doveva proteggere il cuore, era abbandonato verso l'ombelico e la spalla sinistra era piegata in avanti, col solito movimento rivelatore. Solo, non fu un pugno al corpo, non fu un destro. Non era stato un colpo al cuore. Il sinistro del ragazzo gli era arrivato tra gli occhi fischiando come un pietra scagliata a tutta forza, e lui tentò alla cieca di afferrarsi alle braccia dell'altro, affondandogli il mento nella spalla, pieno di odio per quegli idioti delle gradinate che avevano tanta fretta di vederlo spacciato. Spinse indietro il ragazzo, gli sparò due sinistri sui denti, lo mandò a spellarsi contro la corda centrale e gli stette alle costole fino al momento del break. Poi si sganciò con disinvoltura. E la campana suonò.
In basso, di fronte, gli occhi di Mike Adler accompagnarono Rocco fino al suo angolo.
Rocco si fece avanti per la terza ripresa, dritto e combattivo, con gli occhi fissi sui guantoni di Solly che uscirono languidamente dall'angolo opposto e per un momento dondolarono nella luce delle lampade. Poi gli arrivò una mazzata sotto il cuore, e allora si ricordò, con desolata sorpresa, che i suoi soldi li aveva già avuti prima dell'incontro. Riprese fiato mentre seguiva il movimento dei guantoni di Solly, lontani e indifferenti, e pensò vagamente a Lili con le sue scarpe da tennis troppo grandi. I guantoni si ritirarono e ondeggiarono nel vuoto, senza far altro che godersi la luce delle lampade, a un metro e mezzo di distanza. Il destro gli entrò un'altra volta sotto il cuore, Rocco ebbe un grugnito, suo malgrado; la testa rapata del ragazzo arrivò dietro il pugno, con prepotenza, non più alta del mento di Rocco, abbassata e tutta incastrata tra le spalle. E già i guantoni si erano allontanati un'altra volta. E il dolore nella testa di Rocco si cambiò in un battito fisso tra gli occhi.
La grande forza di un pugile sta tutta nel suo orgoglio. Questa fu la forza di Young Rocco nelle riprese che seguirono. Il ragazzo chiamato Kid Class non poteva metterlo a terra e lasciarcelo. Rocco andò giù alla quarta ripresa, due volte alla quinta e di nuovo alla settima. Nella settima Rocco se ne stette con la schiena contro le corde, tenendo a bada il ragazzo col sinistro negli ultimi secondi prima della campana. Aveva il segreto di sembrare impassibile quando lo toccavano duro, e alla campana la sua faccia era impassibile come un guanto da catcher nel baseball.
Nell'intervallo prima dell'ottava, zio Mike si arrampicò sul ring, vicino a Young Rocco. Non disse niente. Semplicemente se ne stette lì a guardare per terra. Pensava che Rocco se ne fosse dimenticato. Aveva avuto quattro occasioni per non rialzarsi, e non ne aveva approfittato neanche una volta. Rocco alzò gli occhi. “Ho le idee chiare, chiare come il gong” disse a zio Mike. Non si era dimenticato un accidente.
Zio Mike tornò giù al suo posto, rassegnato a qualunque cosa potesse succedere. Lui vedeva le cose meglio di Young Rocco. Rocco non era capace di starsene fermo al tappeto, finché le ginocchia potevano tenerlo su. Zio Mike sospirò. Dopotutto, Young Rocco gli andava a genio. Per una ragione o per l'altra, adesso non lo compiangeva più come gli era successo quel giorno in palestra.
"Spero che ce la faccia" gli venne fatto di pensare. La folla non era dello stesso parere. Avevano visto quell'italiano smilzo e coperto di cicatrici buttare a terra il suo uomo venti volte, proprio nel modo in cui ora cercava di non farsi mettere a terra lui. Pensavano che adesso era venuto il suo turno. Stavano in piedi per godersi lo spettacolo. Per un poco la nube di polvere passò davanti agli occhi di Rocco. Una tignola stanca arrancò su verso le lampade. E la campana.
Tra una ripresa e l'altra Ryan si avvicinò, gli ficcò l'indice sotto il mento e gli sollevò la testa, dopo che l'aiutante di Rocco, un negro, gli aveva fermato il sangue col collodio. Ryan borbottò qualche cosa, come per dire che la faccenda andava troppo per le lunghe. Rocco sputò.
“Sotto, Solly, dagliele” gridò qualcuno attraverso le corde.
Per Rocco fu come se gli parlassero di quattrini. Qualcuno, laggiù in platea, doveva avere l'impressione di essere truffato.
Ma Solly se ne stette lontano, a mani basse, fino a metà dell'ottava. Poi aprì con un destro, si fece sotto e gli mollò una testata al momento del break; Rocco sentì il sangue che gli colava dal naso e per liberarsene ne lasciò una buona dose sulla mammella sinistra del ragazzo. Bloccò il sinistro di Solly, poi lo scazzottò alle reni, gli si aggrappò di nuovo alle braccia e riuscì a cacciare il naso sotto la gola dell'altro, per arrestare l'emorragia. Sentì il sangue gocciolare dal naso dentro quell'incavo come in una scodella. Riunì i piedi e appoggiò tutt'e due i guantoni sulle spalle di Kid Class, per spingerlo indietro, pesantemente. E quando lo spinse indietro doveva sembrare ancora in forza, perché sentì un breve mormorio venir su dalla folla. Alla campana era nell'angolo di Solly, e si ritirò dalla sua parte con la testa ben alta, per fermare l'emorragia. Quando l'aiutante tornò a tamponargli le narici, capì, finalmente, che il suo orgoglio gli stava facendo un brutto scherzo. E se ne rallegrò, dopotutto. Che si mangiassero pure il fegato, laggiù in platea. Era stato truffato fin dal giorno che aveva lasciato la scuola, lui; questa notte toccava a quelli là. I cento dollari li aveva; adesso poteva trovarsi un posto in un garage e mandare all'inferno quelli là, dal primo all'ultimo.
Fu soltanto alla decima e ultima ripresa che Rocco si accorse di voler mettere ko il ragazzo, perché soltanto allora capì che poteva farcela. Già che c'era, perché non fare le le cose per bene? Sentì la stanchezza cadergli di dosso come un soprabito vecchio. Questo era il suo incontro, questa era la sua ripresa. Voleva finire come aveva cominciato, con le armi in pugno. E vide Solly Kid Class manovrare di spalle, con fatica. Altri sei mesi, e il ragazzo sarebbe diventato un massimo con tutti i sacramenti. Lo cacciò alle corde e sentì che il ragazzo gli sfuggiva di lato. Rocco lo beccò col sinistro mentre era squilibrato, a uncino, nelle costole basse. Il ragazzo rispose di sinistro, anche lui, con una sventola dall'alto, ma era incerto, come se gli si fossero inceppate le giunture, e finì nel corpo a corpo. Mentre rotolavano lungo le corde attaccati l'uno all'altro, vide il paradenti di Sally uscirgli di bocca, metà dentro e metà fuori. Poi il ragazzo riuscì a rimetterlo a posto con una smorfia delle labbra. Rocco svincolò un braccio e picchiò il ragazzo dietro l'orecchio con un destro alto che dovette sembrare ridicolo perché la gente rise un poco. Solly si fregò il naso col guantone, arrischiò una mezza entrata, poi cambiò idea, si scoprì e rimase quasi fermo, finché Rocco fece una finta di invito e poi partì di destro buttando dietro il pugno con tutto il peso del corpo.
Solly schivò per lasciar passare la ventata e colpì duro con un gancio destro alla punta del mento. Poi il sinistro. Il paradenti di Rocco schizzò fuori tracciando un arco verso le lampade. Poi il destro.
Rocco fece una mezza giravolta e si fermò a guardare verso le sedie con una faccia da pecorone. Kid Class vide soltanto la schiena del suo uomo; Rocco era lì davanti a lui, fuori combattimento ma in piedi. Camminava lento lungo le corde, cercandole a tentoni col guanto e sorridendo giù ai giornalisti, un sorriso vuoto che quelli ricambiavano. Solly diede un'occhiata a Ryan. Ryan accennò con la testa, indicando Rocco. Kid Class corse verso il suo uomo e gli cacciò il sinistro sotto l'ascella, su, fino alla punta del mento. Rocco andò a finire in avanti sulle corde e vi rimase attaccato, il mento appeso alla seconda fune, e continuò a restare così, come un uomo decapitato.

Si ritrovò nello spogliatoio sotto i posti numerati, con gli occhi fissi a guardare il vapore che sfuggiva lungo le tubature, proprio sopra la sua testa. Zio Mike era lì vicino, a dirgli che aveva fatto un buon lavoro; e poi rimase solo. Se n'erano andati tutti, i fischiatori da settantacinque cent e gli scalmanati dei posti da sessanta. Si alzò pesantemente e si vestì lentamente, provando un gran sollievo all'idea che adesso era finita. Ce l'aveva fatta a duro prezzo, ma ce l'aveva fatta. Se ne andassero tutti.
Si stava aggiustando la cravatta, e ci impiegava più tempo del necessario, quando lei bussò alla porta. Le gridò di entrare pure. Lei non l'aveva mai visto boxare, ma Rocco capì che doveva aver ascoltato la radio, altrimenti non poteva essere già lì.
Lei gli tastò il cerotto sopra l'occhio destro, timidamente, perché aveva paura di fargli male con le dita, ma voleva essere sicura che non fosse spaccato.
“Sono okay” la rassicurò con disinvoltura. “Faremo un po' di festa e dimenticheremo tutta questa faccenda”. Solo al momento di baciarla si accorse che gli occhi di lei lo evitavano; solo allora vide che stava cercando di non piangere. Le diede una manata sulla spalla.
“Non c'è niente di rotto, Lili, un paio di giorni di riposo, e sarò fresco come una rosa”.
Allora vide che non si trattava di questo, malgrado tutto.
“Mi avevi detto che vincevi” gli disse la ragazza. Ti davano otto a uno, e ho puntato tutti quei maledetti soldi su di te. Volevo farti una sorpresa, e adesso non abbiamo più un centesimo”.
Rocco non esplose. Si sentiva solo un po' malandato. Più malandato di quanto si fosse mai sentito in vita sua. Si scostò dalla ragazza e andò a sedersi sul tavolo dei massaggi, a studiare il pavimento. Lei ebbe tanto buon senso da lasciarlo stare finché lui non ebbe capito come stavano esattamente le cose. Poi lui alzò gli occhi, per studiarla dai piedi alla testa. I suoi occhi non si fermarono sulla faccia di lei, ma tornarono verso i suoi piedi. Verso le punte malconce delle uniche scarpe decenti; e un'ombra gli passò sul cuore. “C'erano buone probabilità” le disse sovrappensiero. “L'avevi azzeccata giusta. Li abbiamo fatti sudare tutta la sera, per i loro quattrini”. Poi si guardò in su e scoprì i denti in una specie di risata, larga, bianca e muta.
A lei non occorreva altro per capire che tutto era okay, in definitiva. Gli si avvicinò, in modo che lui potesse dirle fino a che punto tutto era okay.
Così era fatto Young Rocco, da quando aveva lasciato la scuola. Ce la faceva sempre a duro prezzo; ma ce la faceva.
La signorina Donahue sarebbe stata orgogliosa.


Nelson Algren nacque a Detroit nel 1909 in una famiglia di ebrei svedesi e tedeschi. Trascorse la maggior parte della vita a Chicago, città in cui ambientò molti dei suoi romanzi e racconti. Il padre era meccanico, mentre la madre proveniva da un ambiente borghese. Nonostante le difficili condizioni economiche della famiglia, aggravatesi con la Grande Crisi, Algren riuscì a frequentare il college grazie all'aiuto della sorella Bernice, studiando tra l'altro giornalismo e criminologia. Nel 1931, terminati gli studi, cominciò a girare per gli Stati Uniti in cerca di lavoro. Era il periodo della Grande Depressione e le strade del paese erano percorse da una massa di disoccupati e di senza-casa alla ricerca di lavori stagionali e precari o di qualsiasi espediente per sopravvivere. Algren si aggregò a questo esercito di vagabondi, scrivendo contemporaneamente qualche racconto per giornali e riviste locali. Nel settembre del 1933, la casa editrice newyorkese Vanguard Press gli propose di scrivere un romanzo che prendesse spunto dalle esperienze fatte in giro per l'America. Per portare a termine l'opera Algren rubò una macchina da scrivere in una cittadina del Texas, reato che gli costò alcuni mesi di prigione. Uscito dal carcere, pubblicò nel 1935 Somebody in boots, un romanzo nel quale racconta il caos, la violenza e la devastazione di queste esistenze nomadi durante la Grande Crisi. Il libro, in parte influenzato dai canoni della letteratura proletaria, non ebbe alcun successo. Algren entrò in una lunga depressione e tentò il suicidio.
Negli anni successivi, pur continuando a scrivere racconti, Algren svolse un'intensa attività come animatore dei John Reed Club di Chicago (un'organizzazione culturale vicina al partito comunista), realizzando anche inchieste per il Writer's Project, un ente creato durante il New Deal per combattere la disoccupazione intellettuale. Negli ambienti della sinistra strinse amicizia con altri scrittori come Jack Conroy (con il quale diresse la rivista letteraria “The New Anvil” e Richard Wright, l'autore di Ragazzo negro). La sua posizione all'interno del movimento comunista era tuttavia piuttosto "eretica"; non tanto per le posizioni politiche (in linea con le direttive della leadership, all'epoca staliniana), quanto per i suoi atteggiamenti individualisti e anticonformisti e per un'impostazione culturale dissidente dalla linea ufficiale.
In quel periodo Algren visse nel "Triangolo" polacco di Chicago e frequentò regolarmente la gente di quel quartiere. Never come morning (prima trad. it. Mai venga il mattino, Mondadori 1956; poi Edizioni e/o 1991), pubblicato nel 1940 e dedicato alla sorella Bernice (che proprio in quei giorni era morta di cancro, a soli 37 anni), nasce appunto da un'intima conoscenza delle esistenze e della psicologia di molti immigrati polacchi. Il romanzo fu accolto favorevolmente dalla critica. “È un libro molto, molto buono... probabilmente il migliore venuto fuori da Chicago” disse Ernest Hemingway. E il critico Malcom Cowley definì Algren "poeta dei bassifondi". Problemi ne ebbe invece con la comunità polacca che lo accusò di aver denigrato i polacchi nel momento in cui il loro paese veniva aggredito da Hitler. Malgrado Algren si fosse difeso affermando che a lui non interessava la nazionalità bensì le difficili condizioni di vita dei suoi personaggi che li spingevano a delinquere, il libro fu ritirato da tutte le biblioteche pubbliche di Chicago.
Dopo la guerra, durante la quale Algren servì in un'unità medica per il suo rifiuto di usare le armi, pubblicò nel 1947 la raccolta di racconti Le notti di Chicago (già pubblicato da Einaudi nel 1954).
Nel 1947 Algren conobbe Simone de Beauvoir, con la quale avviò una lunga e intensa relazione amorosa. Per lungo tempo vissero assieme per vari mesi l'anno. Viaggiarono molto, negli Stati Uniti, in America Centrale, in Europa, in Nord Africa. Malgrado tra i due ci fosse una grande intesa intellettuale e sessuale, il rapporto si esaurì drammaticamente per l'eccessiva distanza che li separava, non solo geografica ma soprattutto culturale; e perché nessuno dei due era disponibile a rinunciare alle proprie radici e al proprio stile di vita. Inoltre, il legame di Simone de Beauvoir con Sartre si rivelò un ostacolo insormontabile. Dopo l'ultima visita fatta dalla de Beauvoir ad Algren negli Stati Uniti nel 1951, i due mantennero per anni un rapporto epistolare, anche perché allo scrittore americano, per motivi politici, era stato sequestrato il passaporto; riavutolo nel 1960, Algren fece un viaggio a Parigi, dove si ritrovarono per alcuni mesi. Il rapporto si era comunque esaurito e ci furono solo dolorosi strascichi, come quando Algren accusò pubblicamente e duramente la de Beauvoir di aver utilizzato la loro storia come materiale letterario, senza considerazione per i sentimenti.
Nel 1949 Algren pubblicò The Man with the Golden Arm (trad. it. L'uomo dal braccio d'oro, Mondadori 1954). Il libro ottenne un grande successo e l'anno seguente ricevette il National Book Award, il più importante riconoscimento letterario statunitense. Fu l'apice del successo; da quel momento iniziò una parabola discendente.
Il clima di quegli anni, caratterizzato da una dura politica contro la sinistra, ne fece uno dei bersagli degli attacchi politici e culturali. Fu accusato di essere "l'ultimo degli scrittori proletari ", "un pezzo da museo ". Anche a Hollywood, dove pure era stato chiamato per collaborare alla sceneggiatura del film tratto da L'uomo dal braccio d'oro, le cose andarono male. Il regista e produttore Otto Preminger, dopo aver acquistato in condizioni poco chiare e per una somma irrisoria i diritti di adattamento cinematografico, tenne fuori Algren dalla sceneggiatura e trasformò il bel romanzo di Algren in un film di cassetta a lieto fine interpretato da Frank Sinatra.
Nonostante questi attacchi e queste sfortunate vicende, Algren continuò il suo lavoro letterario e culturale. Nel 1951 pubblicò il poema in prosa Chicago: City on the make, un duro ritratto della città dedicato al poeta Carl Sandburg, suo concittadino e maestro. Il libro fu ben accolto dalla critica, ma non ebbe successo di pubblico. L'anno successivo scrisse un saggio sul difficile stato in cui versava la cultura americana. Il saggio non fu pubblicato, se non parzialmente, e venne utilizzato per un convegno di scrittori tenutosi nel giugno all'università del Missouri. In esso Algren attaccava il conformismo che si era impadronito dopo la guerra del mondo culturale americano, sostenendo che la “sofferenza umana era ancora tanto vasta e terribile quanto ai tempi di Dickens e Dostoevskij. La sola vera differenza è che l'Inghilterra di Dickens e la Russia di Dostoevskij non potevano permettersi le cortine fumogene sonore con le quali oggi così ingegnosamente nascondiamo a noi stessi la nostra vera condizione”. Da queste premesse, Algren preconizzava per lo scrittore un ruolo di anticonformista, di critico della società. Ma negli stessi anni scriveva a un amico affermando di non vedere più attorno a sé questo genere di scrittori. Gli scrittori degli anni Trenta - diceva - erano svaniti, o tacevano o cercavano di condurre una tranquilla esistenza piccolo-borghese, come se il disagio spirituale degli anni Cinquanta e la malattia americana dell'isolamento non esistessero. “Oggigiorno non puoi più essere un buon scrittore negli Stati Uniti... Perché per essere un buon scrittore devi avere un paese dove puoi essere povero senza morire di fame, dove comunque le condizioni di vita restino secondarie rispetto al tuo mestiere di scrivere”. E ancora: “Credo che gli autori degli anni Venti avevano un cuore più forte. Prendevano colpi ma restavano. Faulkner, Dreiser, Sandburg, Hemingway, Fitzgerald, Anderson, O Neill, Sinclair Lewis. Mentre penso che quelli degli anni Trenta si sono chiusi in sé stessi: hanno mollato, dato un taglio netto, fatto la spia, rinunciato, si sono svenduti, hanno negato tutto e sono scappati...”.
Anche la vita privata di Algren scivolava lungo una brutta china. Giocava a poker o ai cavalli sempre più spesso, perdendo anche somme cospicue. Il matrimonio con Amanda Kontowicz, con la quale era già stato sposato una volta e da cui aveva divorziato, non resse a lungo neppure questa volta, sottoposto alle continue lacerazioni provocate dall'infedeltà cronica di Algren e dalla sua propensione per la vita sregolata.
NeI 1956 pubblicò A Walk on the Wild Side (trad. it. Passeggiata Selvaggia, Mondadori 1961), che venne lanciato con un grosso battage pubblicitario e che ebbe anche un buon successo di vendite. Ma il clima culturale era sicuramente ostile e i critici che in quegli anni di reazione dominavano la scena (Alfred Kazin, Norman Podhoretz, Leslie Fiedler) stroncarono il romanzo. Come dopo l'insuccesso del suo primo libro, vent'anni prima, anche questa volta Algren attraversò una lunga depressione e maturò un vistoso cambiamento. Da allora mostrò sempre più un'aria di distacco e iniziò a guardare la realtà attraverso una lente di cinismo e scetticismo, esibendo al tempo stesso un umorismo divenuto quasi leggendario. Negli anni Sessanta e Settanta scrisse articoli e racconti di valore ineguale. Alla perenne ricerca di denaro, sperperato poi regolarmente, scriveva con facilità sui più vari argomenti (fu anche reporter in Vietnam) e teneva conferenze e corsi universitari, sebbene fosse convinto dell'impossibilità d'insegnare il mestiere e la tecnica dello scrittore. Nel 1963 pubblicò Who Lost an American? (trad. it. Chi ha perduto un americano?, Mondadori 1966), una raccolta di saggi sugli argomenti più vari: un viaggio in Europa, la corruzione a Chicago, la rivista “Playboy”. Nel 1964 uscì Conversations with Nelson Algren, una sorta di autobiografia orale raccolta da H .E. Donahue, e nel 1965 Notes From a Sea Diary: Hemingway All the Way, in cui affiancava il racconto di viaggi in Asia a riflessioni su Ernest Hemingway e in genere sulla letteratura. Nel 1973 pubblicò una raccolta di racconti, The Last Carousel. L'ultimo romanzo che scrisse, The Devil's Stocking, per il quale non riuscì a trovare un editore, venne pubblicato postumo nel 1983: è la storia di Rubin "Hurricane" Carter, un pugile nero, accusato di un omicidio del quale si dichiarava innocente. Per scrivere questo libro, Algren era tornato ai suoi vecchi sistemi dell'inchiesta, dell'immersione nella realtà di cui voleva parlare. Si trasferì perciò nel New Jersey, dove erano accaduti i fatti da lui raccontati.
Gli ultimi anni della vita li trascorse più serenamente. Si era trasferito a Sag Harbor, un piccolo porto a Long Island a nord di New York, dando l'addio a Chicago. Il nuovo clima politico e culturale portava intanto anche a una progressiva riscoperta e rivalutazione della sua opera di narratore negli anni Trenta e Quaranta, e Algren ricevette numerosi riconoscimenti di prestigio. Morì nel 1981 per un attacco cardiaco, a settantadue anni.



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