CRONACHE DI PRODIGIOSI AMORI
( - un brano del romanzo - )

 

Francesco Randazzo

 

 

(...)
"Aria sì, profumo. Si sente spander nell'aria e proviene da te non certo da me."
Il giovane, sorpresissimo, annusò, continuando a non capire.
"Ciauru di fimmina, Lupetto, parfume de femme, odore di femmina nuova emani! O mi sbaglio? "
"Santo Diavolone d'un cugino, siete peggio di quello che stava al palazzo Steri, un inquisitore siete, nulla vi si può nascondere!"
"Voi vi dimenticate caro cugino che quando i vostri avi scozzesi erano ancora dei barbari, i miei già da secoli sedevano sui seggi del Senato di Roma: dunque è più acuta la vista, più penetrante l'occhio degli Altavilla!". Rispose mezzo serio e mezzo divertito e d'intiero compiaciuto Don Ignazio.
"Eh già, Ignazio mio, antico siete." Concluse il Baronello. Il quale, però, ora, rientrava nell'imbarazzo della confessione, ché il cugino aveva sollevato un velo che discopriva nuove carni femminili, il peccato, nobile sì, ma pur sempre tale, della nuova passione del giovane irruente.
"É femmina alta o bassa?"
"Cugino, tanto alta non è, all'incirca quasi quanto la promessa sposa, forse un poco più alta, tre, quattro centimetri... Insomma, non la misurai!..."
"Ma che capisti? Di rango, dico: ceto, censo, nobile o plebea, onesta o ciàula?"
"Ah. Intesi. Alta, allora. Nobile e straniera."
"Straniera?"
"Foresta, sì."
"Nobile?"
"Nobilissima."
"Insomma, cu è?"
"Miss Elisabeth Blackwood, figlia di Lord Blackwood, Pari del Regno d'Inghilterra, ambasciatore della Corona d'Albione presso la corte di Napoli."
"Minchia."
"È una donna eccezionale."
"Fesserie. Una femmina è, dunque femmina resta e per femmina deve servire."
"Ma cugino, non Vi permetto!..."
"Lupetto, non ti appicciare, che tu per primo il permesso non ce l'avevi di sbizzarrire il fuoco che ci hai dentro tuffandolo nelle acque del Tamigi, visto che stavi già affogato nel mare di Sicilia... Volevo dire... senza offesa... ma se c'è impunto da parte tua, probabilmente... volevo dire: – É cosa seria?"
"Serissima."
"E che intendete fare?"
"Sposarla!"
"E lei è d'accordo?"
"Veramente... veramente, non lo so. Ma ho delle speranze, delle fondate speranze, fondatissime."
"Molto fondate..." Così dicendo il Principe sorrise di maligno e malizioso intento.
"Io l'amo."
"Si, e io la canna! Ma che minchia vai dicendo? E l'altra? La tua futura moglie, la Baronessina di Canicattì, che facciamo, la buttiamo via? Scusi tanto Baronessina, egli è vero che ci ha due minne grosse come le cucuzze d'acqua, ma ora come ora sono innamorato di Ofelia! Tu sei pazzo, cugino Amleto mio."
"Per questo, sono venuto qua, consigliatemi voi, io non so che fare."
"Ammalatevi"
"E perché? Se sto benissimo!"
"E lo sconquasso del vostro cuore? E la bassa pressione del vostro nobile cetriolo di fronte alle nostrane cucuzze? No, cugino, Voi siete malato malatissimo, e per malato vi dovete dare."
"Ma per quale motivo?"
"Che per pigliare tempo, no? Ma che v'arrisucò pure il cervello 'st'anglìsa?... Voi vi date malato... Il matrimonio non si può fare, lo si rimanda alla vostra prossima guarigione, ve ne andate a curarvi in continente, a Napoli o dove vi piace a voi, basta che sia lontano e nel frattempo, ci pensate sopra, vi spupazzate bene l'inglesina, e se vi stufa l'acqua di fiume, tornate all'acqua salata, ché la Baronessina tanto v'aspetta, se no, ve la tirate a lungo e tricchète e ballacchète, qualcheccosa ce la inventiamo, forse forse se passa troppo tempo, può darsi anche che sia la vostra promessa sposa a rompere il fidanzamento e voi v'impalmate la Miss!"
"Certo... C' avete ragione... Cugino siete un Principe, un vero Principe, a voi non vi dovevano chiamare Ignazio, Ulisse vi dovevano chiamare!"
"Grazie ma preferisco Ignazio, anche se quel Loyola di Gesù, mi dà un poco d'itterizia..."
"Sì, però, io non voglio aspettare tanto... voglio sposare Elisabeth subito!"
"Ma se lei manco lo sa! Avanti, va', datti malato, fai come ti ho detto, così c' hai pure il tempo di dirglielo e poi vediamo come va'."
"No, no, troppo macchinoso è, troppo infido e troppo lungo. Affronterò la questione a viso aperto: sono un Lanzica Santa! Andrò da Floretta e le dirò: – Non ti amo più, e per questa incontrovertibile causa il matrimonio va' a monte, bye bye!"
"Sì, 'u babbu ca sì! Dicci così, diccelo, e per questa incontrovertibile causa suo padre ti fa ammazzare alla prima notte che passi da solo, subito o fra vent'anni, ma non te la scampi. Ti ricordi quello che fece col Marchese di Villadorata, solo perché aveva osato dire che il Barone padre era un precornuto, visto che la Baronessa madre tanto illibata non era il primo giorno di nozze – ma questo lo sapevano tutti, che bisogno ci aveva di dirlo anche lui? - e di aggiungere che la verginità della Baronessa aveva macchiato altre lenzuola in altro feudo e che quelle esposte nel balcone del palazzo del Barone erano imbrattate dei fegatini di pollo che la sposina si era infilati là dove c'era il danno? Eppure lo disse, e lo disse ad uno solo, e quell'uno lo disse a un altro, e quell'altro a un altro, e a un altro ancora: in capo a un mese il Barone di Canicattì era diventato il Barone dei Fegatini, e come fu, come non fu, gli venne all'orecchio e in capo a tre giorni il Marchese di Villadorata lo trovarono morto, in campagna: i banditi, dissero.
"Ma che c'entra... quella era un'altra cosa... l'onore... e poi non furono i banditi?"
"Lo trovarono incaprettato, coi coglioni tagliati e la bocca piena di minchia e fegatini..."
"Ah...
"Un caso, furono i banditi. Sicuramente. Subito dopo ne trovarono altri tre ammazzati così. I sospetti sul Barone, quale mandante, furono dissolti."
"E allora?... É un esempio maligno, dicerie..."
"Tu lo sai a chi lo disse quello che disse, il Marchese di Villadorata?"
"No..."
"Al figlio cadetto degli Ayala, Giorgio, si chiamava..."
" È morto?"
" Il primo dei tre."
"Ah."
"E Giorgio Ayala lo disse al Notaio Falisca, che fu il secondo fegatinizzato, ma prima di morire lo aveva detto a suo cognato Pietro Brancato, che fu il terzo..."
"Ho capito..."
"E si fermarono solo perché non seppero altro."
"Ho capito, ho capito."
"E lo sai come la chiama il padre alla Baronessina Floretta: ‘Fiore unico e raro del mio giardino, zàgara dell'anima mia’, così la chiama..."
"Parto, parto."
"Bravo cugino, siete un giovane intelligente, partite, prima che vi trovino con una teiera in bocca e i coglioni a bagnomaria!" E rise Ignazio, divertito alla sua stessa battuta antinglese, rise di cuore. Il Baronello Lupo, invece, rabbrividì. (...)


(Brano tratto dal romanzo Cronache di prodigiosi amori – Teatro di meraviglie occorse in un agosto di Sicilia –, Lampi di stampa editrice, Milano, 2004)
 

Francesco Randazzo (1963), siciliano della diaspora, in salutare esilio romano e sovente col cervello in fuga all’estero, è regista e scrittore, soprattutto di teatro. Ha pubblicato testi teatrali, poesie e racconti, per varie riviste ed editori. “Cronache di prodigiosi amori” è il suo primo romanzo.



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