IL RINCULO DEL SILENZIO

- Racconto tratto dal libro Sulle corde -

Monica Dini



Erano due amici, di quel tipo di amicizia che conosce soltanto chi è cresciuto insieme.

Michele di soprannome Liberty era forte. Saturava l'aria di sonore risate, con un dito pigiava la roba in bocca, dopo un pasto aveva sempre qualche briciola in faccia. Era per il rutto libero. Intelligente ma essenziale nel ragionamento, non credeva in Dio. La sua filosofia affondava nel terreno solido e si basava sulle famose tre effe: fumo-fiasco-fica, specialmente nei giorni di pioggia.

Mario di soprannome Logoro era come un fiammifero da forno. Stretto di spalle quanto di bacino. Aveva la testa grossa come i bambini piccoli e gli occhi scuri sporgenti di chi soffre di tiroide.
Era cencioso come un attaccapanni e triste come una Madonna dei dolori.

Avevano condiviso la vita finché Liberty non era andato a lavorare e a vivere in un'altra città.

Ultimamente, Logoro aveva sfinito l'amico con una insistente richiesta. Voleva tornare in grotta con lui. Quel fine settimana, Liberty aveva potuto accontentarlo.
Andavano in una grotta a cui erano molto affezionati. Sulle cui pareti avevano scritto anche loro un po' di storia avendo partecipato all'esplorazione iniziata subito dopo la sua scoperta.
Il sentiero era lo stesso, una traccia di lumaca tra i faggi.

Logoro affannava, si sedette su una pietra, bevve un sorso dalla borraccia. Cercò con lo sguardo la dolina che custodiva la grotta. La vedeva così in alto... Irraggiungibile.
Pensò che quelle pareti grigie, con le ombre nei solchi e nelle rientranze, i rari cespugli, gli spuntoni di roccia illuminati, ricordavano un volto spaventato e l'ingresso era come una bocca spalancata, un buco d'ombra con una striscia di roccia chiara che si insinua-va e spariva nel buio, proprio come una lingua nella gola. L'ingresso era come un urlo.
La brezza di maggio ingannava, dava speranza e il verde prepotente faceva male agli occhi. Ogni cosa era vigorosa e Logoro sentì il peso della realtà. Il suo corpo era irrimediabilmente debole.
Spiò l'amico con tristezza. Con passo leggero era già lontano, non si era accorto della sua fermata. Come avrebbe fatto a raccontargli tutto? Sentì un rosicchiare all'altezza del cuore... Aveva preso tempo... cercato le parole, lo aveva raggirato con la scusa della grotta... ma ancora non sapeva come fare.

Liberty procedeva canticchiando un motivo da parata militare. Ogni tanto dava un calcio ad una pietra e la faceva camminare. Sentì che la brezza di maggio aveva un buon profumo, gli ricordò la bruschetta con l'aglio. Mentre si arrampicava toccò una pietra calda e pensò che aspettando sarebbe stato possibile arrostirci qual-cosa. Il paesaggio gli inviava odori commestibili. Aveva fame. Chiese all'amico se voleva un panino. Si rese conto di essere rimasto solo. Scorse Logoro in basso seduto sul sentiero. Si meravigliò che fosse tanto lontano, tornò indietro e da vicino lo squadrò sospettoso.
- Qualcosa non va? Ti sei proprio rammollito! - disse all'amico.
- Stamani non carburo... - rispose Logoro ansimando.
- Mangiamoci qualcosa vai... ti tira su.

Grande Liberty! Il suo consiglio conteneva sempre la soddisfazione di un bisogno corporale.
Logoro immaginò che sarebbe stato bello invecchiare, coltivare cavoli e carote, fare la zuppa. Andare all'università della terza età, tirare il mangime ai piccioni del parco. Come faceva quel rincoglionito del suo vicino.

Liberty non ebbe soddisfazione dal panino. Fermarsi gli aveva trasmesso una malinconia... Logoro non era mai stato così. Affannava, sorrideva solo con gli angoli della bocca. Era spento in faccia e sembrava che il torace gli avesse infilzato le magre spalle curvandolo.

- Vuoi un sorso di vino? - gli domandò cercando la vecchia complicità mangereccia.
- No... metto via anche il panino. Non mi va. Ripartiamo... non vedo l'ora di entrare.

Ripartirono. Questa volta andò avanti Logoro. Un passo una pausa, come a un funerale.
Lentamente arrivarono all'ingresso. Entrarono e a metà del salone iniziale, uno stanzone che poteva con-tenere un Duomo, Logoro si fermò a guardare. Vista dal di dentro la bocca dell'ingresso scontornava, come una cartolina rotonda il luminoso paesaggio esterno.

- Uscire di grotta è come uscire dal coma. Un lungo buio con la luce in fondo.
É strano immaginare di non essere... di morire... e il fischio del merlo rimane.

Liberty studiava con apprensione l'amico. Lo sentiva assente. Stava rigido su una pietra guardando fuori come non sapesse distaccarsi dal panorama. La luce esterna filtrava e lo faceva risaltare nel buio della grotta. Sembrava un'immagine sacra... bianca e in preghiera.
Più ci pensava e meno riusciva a capire il disagio che gli trasmetteva. Era come parlare con un mutilato sforzandosi di non guardare i moncherini.

Rotolò un rumore lontano. Ripartirono. Camminarono silenziosi fino al primo pozzo dove concordarono di sostituire uno spit, così si chiamano i chiodi da grotta, che era malmesso.
Liberty prese il piantaspit e la mazzetta. La roccia era dura in quel punto, il chiodo penetrava lentamente.
Logoro si sedette appoggiandosi alla parete, guardava lontano senza parlare.
Liberty non trovò le parole per chiedergli un chiarimento. Di solito in grotta scherzavano sempre...
Piantato lo spit, ripresero il cammino, si fermarono di nuovo in cima al pozzo più profondo della grotta, centoventimetridivuoto. Decisero di fare un tè prima di scenderlo. Logoro mise il pentolino sotto uno stillicidio e mentre aspettava che si riempisse disse:

- Ti ricordi la scrivania che mi regalò il nonno? Quella che ci si studiava a casa sua e che bruciacchiammo con le sigarette?... L'ho fatta restaurare è stupenda. Vorrei che l'avessi tu...
- Lo sai che mi piace tanto... ma se l'hai fatta restaurare... perché darla a me. - rispose Liberty colto da un'improvvisa stanchezza.

- È strano da dirsi... è come in un film... a me non servirà più...

- Non dire stronzate! È tutto il giorno che non ti capisco...

- Sto morendo...

Sono due parole.
Le gocce nel pentolino smisero di suonare, poi ripresero più forte. Liberty vide scendere il soffitto della grotta fino a schiacciarlo... Alzò le braccia per sorreggerlo...
- Non è possibile! - sussurrò.
E allora capì tutto: la stanchezza, la tristezza, il protrarsi dello sguardo sulle cose.
- Non ci sono cure è questione di pochi mesi. Il tempo di succhiarmi... come un ragno la preda. Prendi la mia scrivania... mi fa piacere...
- Non devi parlare così... adesso ci sono tanti sistemi... ti accompagno io...
- Non c'è niente da fare... credimi... ho tentato tutto.
Logoro recuperò il pentolino e fece il tè.
Liberty lo guardava come si guarda un film muto.
- Voglio morire qui - disse all'improvviso e il gas della bomboletta uscì con più forza allungando la fiamma.
- Ti prego basta! Basta... rispose Liberty piangendo.
- Ho già preparato tutto a casa. La lettera che spiega la mia decisione e le mie volontà. Anche se adesso non sei lucido... poi sarai d'accordo. Non voglio essere succhiato e morire di stenti in un ospedale. Lo capirai vero? - prese le mani dell'amico e le strinse... un filo buono passò attraverso e arrivò caldo al cuore.
Liberty continuò a guardarlo come fosse ebete, la bocca impastata di saliva solida e di muco che colava
dal naso, gli occhi pestati da lacrime come grandine.

- Come puoi pensare... che te lo lasci fare... riuscì a dire Liberty mentre il dolore lo strozzava.

- Perché mi vuoi bene... L'unica cosa che ti raccomando è di fare attenzione quando torni indietro. Non farti prendere dal panico... ragiona che questa è la cosa migliore per me. Con calma chiamerai il soccorso spiegando che c'è da recuperare un cadavere, quindi... nessuna fretta. Beviamo il tè...

Liberty farfugliava singhiozzando. Logoro come in trance bevve il tè.

Liberty allungò le braccia come si fa per richiamare un bambino. Ti prego, disse...

Logoro si affacciò sul pozzo e si lasciò cadere...

Liberty rimase seduto. Sentì il rumore sordo del corpo che atterrava e il rinculo del silenzio come nei fuochi d'artificio...




(Tratto dalla raccolta di racconti Sulle corde, pubblicato dalla Società Speleologica Italiana, Bologna, 2006)




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