WESTBANK

Alexander Krohn



Jericho
Domenica 13-08-2006

Alle 7 partiamo da Amman, alle 8 siamo alla frontiera (ponte di Allenby). La procedura da parte israeliana si svolge in maniera sorprendentemente rapida - pochi viaggiatori, poche domande, per dove e perché: "Gerusalemme... turismo", mentiamo in maniera convincente e già si ode lo schiocco dei timbri. Un americano che dichiara di voler andare a Ramallah ha la possibilità di sedersi per un po': "Sa che non si può...!?" Davanti all'edificio, colazione. Invece del taxi comunitario per Gerusalemme prendiamo il bus da 10 shekel per Jericho. Posto di controllo israeliano, filo spinato, ingresso nella Westbank. Dopo un breve tratto, la seconda fermata: Autorità Autonoma Palestinese. Uno sbirro in blu raccoglie tutti i passaporti, ci sediamo sul bordo della strada e aspettiamo. Noi siamo: Evi Haupt, studentessa di lingue dell'Asia Centrale e Sud-Orientale, ne parla dieci, oltre alle solite anche arabo, persiano, birmano, pashtu, thailandese. Inoltre: Maddi Kraushaar, laureato in economia, detto "il negro", titolare di un ufficio stampa di Lipsia, e poi io.
Jericho è una cittadina a misura d'uomo fatta di catapecchie da far-west in una delle regioni piú calde del pianeta. Ci vivono 25.000 persone; dopo la fine della "guerra dei 6 giorni", la maggior parte dei profughi cercò rifugio in Giordania. C'è un casinò, chiuso all'inizio della seconda Intifada (2000), una clinica privata, una stazione di sbirri e qualche attrazione, per esempio un convento scolpito in una montagna (Jericho è circondata da montagne). Nel 2000 gli israeliani hanno proibito agli israeliani di entrare a Jericho. Ci sono pochi turisti, la città è relativamente sonnolenta. Troviamo un albergo in centro dal nome Hashem Palace, che dispone di una piacevole hall con diverse poltrone, divani e ventilatori. Ci lasciamo immediatamente cadere nelle poltrone e annebbiare dai ventilatori. Con una temperatura media di 36 gradi, la nostra stanza si rivela inutilizzabile. La notte, mentre cerchiamo di prendere sonno, udiamo una rissa in strada.


Nablus
Lunedí 14-08-06

La mattina io e Maddi ci rechiamo in una clinica privata per intervistare un medico, che pratica come dermatologo. Ci sono circa 25 dermatologi in Cisgiordania, dunque lui esercita quasi ogni giorno in tre città: Gerusalemme, Ramallah e Jericho. Siccome l'UE ha congelato gli aiuti dopo la vittoria di Hamas del 2006, le persone, che già prima se la passavano male abbastanza, impoveriscono sempre piú. I medicinali ci sono, ma se un medico li prescrive, la maggior parte dei pazienti non può permettersi di aquistarli in farmacia.
Anche noi abbiamo pochi soldi. Il biglietto Francoforte-Amman-Francoforte è già pagato, ma dopo quello siamo già in bolletta. Gentilmente il gruppo Hansen/Köster ci ha anticipato 300 euro, a parte ciò Maddi ha un incarico della Croce Rossa tedesca. La loro rivista aspetta foto ed eventualmente un articolo sulla Mezzaluna Rossa in Palestina. Speriamo in 1200 euro e per questo battiamo ogni angolo in cui si vede un camice bianco. A mezzogiorno partiamo per Nablus a bordo di un taxi. Appena usciti da Jericho incontriamo già il primo posto di controllo. Siamo in una fila di dieci veicoli, può andare. Veniamo superati a sinistra da un veicolo bianco dell'ONU. L'ONU = bei brufoli su fuoristrada 4X4, che dall'inizio della guerra del Libano non fanno altro che cazzate, intasando perdipiú i posti di controllo.
Di posti di controllo ce ne sono tanti, è faticoso contarli, poiché accanto a quelli fissi (che possono essere chiusi da un momento all'altro), ci sono quelli improvvisati e piú efficaci, che cambiano regolarmente di posizione. In ognuno di questi, i soldati israeliani armati fino ai denti perquisiscono automobili e passeggeri, prendendosi tutto il tempo del mondo. In genere si cuoce sotto il sole. È consigliabile obbedire con la massima precisione agli ordini dei soldati, quando venire avanti, quando fermarsi, quando scendere - non farlo, anche solo per l'ignoranza dell'ebraico, può essere fatale. Semplicemente defilarsi un attimo per espletare un bisogno può avere per conseguenza una pallottola. Accanto ai classici posti di controllo ci sono altri generi di blocco stradale: muri, recinti, rotoli di filo spinato, grossi piloni di cemento di un metro per uno (che tra l'altro godono di una certa popolarità anche nelle città palestinesi, perché impediscono il passaggio in ugual misura ai carri armati e alle jeep) e la cosa piú perfida: montagne di macerie. La strada fino a quel momento intatta viene assicurata dall'esercito, un bulldozer (marca Caterpillar) la dissesta ammucchiando asfalto, terra e sabbia, finché una montagna alta cinque metri non blocca qualunque passaggio. Tutte queste misure di controllo sono ufficialmente finalizzate alla profilassi del terrorismo e all'ostacolo di un'eventuale fuga. In realtà servono piuttosto a umiliare e demoralizzare i palestinesi, a dimostrar loro chi è il padrone, chi detiene il potere, chi può fare quello che vuole e chi no. Ogni tanto ci si può imbattere in un mezzo da combattimento israeliano con quattro persone a bordo, che si ferma di traverso in mezzo alla strada e controlla i veicoli in transito. Questo tipo di operazione è particolarmente sgradevole, perché i soldati sono spesso irritabili e agiscono arbitrariamente. Uno dei soldati siede sul tetto della jeep, il mitra a tracolla, mentre gli altri hanno spesso voglia di menare le mani e sparano tra i piedi degli arabi che portano sacchetti di frutta. Naturalmente anche quelli potrebbero rivelarsi terroristi.
L'artista russo Alexander Brener una volta ha spruzzato su un muro israeliano la scritta ISRAHELL. Passiamo davanti a diverse colonie israeliane barricate dal filo spinato. Il nostro taxi procede a velocità pericolosa. I taxi sono nella maggior parte grosse limousine Mercedes gialle con due file di sedili posteriori e una anteriore. Perché siano così popolari resta un mistero, sono pesanti e poco maneggevoli, prendono pessimamente le curve, e secondo me sono assolutamente inadatte all'ambiente, ma forse non sono cosí popolari, e mi sbaglio io. I coloni israeliani sono i piú duri, per cosí dire. Proprio lí, nella tratta tra Jericho e Nablus, tre giorni prima hanno sparato a due uomini, uccidendoli. Ai coloni viene concesso di portare armi per autodifesa. Se anche ce ne sono di pacifici e innocui, tra loro vive un mucchio di fondamentalisti fanatici e violenti, ebrei di destra, per cosí dire. In Cisgiordania, quindi nel bel mezzo del territorio palestinese, esistono piú di cento colonie israeliane che ricordano carceri di massima sicurezza, e molti di questi coloni devono essere talmente pervicaci ed esaltati per la loro MALEDETTA TERRA PROMESSA, TRE VOLTE MALEDETTA! CHE SIANO TRE VOLTE MALEDETTE LE TRE GRANDI RELIGIONI MONDIALI!, che non riescono neppure a comprendere il fatto che nessuna persona sana di mente andrebbe a rinchiudersi volontariamente in un simile carcere.
Una performance dell'artista Alexander Brener, che ha vissuto per un certo periodo a Tel Aviv, consisteva nell'entrare in una scatola di cartone e nel far spuntare il suo ebraico accessorio da un buco, in riferimento alla condotta sessuale degli antichi. Nel fragore del traffico l'azione pare non abbia destato molte attenzioni.

Prima di Nablus attraversiamo il posto di controllo di Huwwara, che deve il suo nome a un villaggio delle vicinanze circondato da quattro colonie israeliane e restato per due anni interi tagliato fuori dal resto del paese. Al posto di controllo perquisizione delle borse e niente domande stupide. Un nuovo taxi (bisogna cambiare taxi o minibus ad ogni posto di controllo) ci porta nel centro di Nablus. Passiamo davanti a edifici della polizia e dell'amministrazione completamente demoliti dagli israeliani tra il 19 e il 22 Luglio 2006. All'ombra mediatica della guerra del Libano certe porcate non destano l'attenzione. Il nostro albergo è fantastico! Purtroppo anche un po' caro, una tripla costa 65 dollari. Maddi domanda se non hanno anche una stanza con balcone. Il ragazzo dell'albergo afferma in maniera servilmente distinta: a disposizione ci sarebbe solo la suite... io e Maddi ci scambiamo uno sguardo di sottecchi: si potrebbe vedere, 'sta suite? E la prendiamo. Dato che comunque siamo senza soldi, fa lo stesso che costi 100 dollari (io rifletto per un attimo sull'opportunità di scrivere ancora una volta al gruppo Köster/Hansen, ma Maddi afferma che può pagare quella notte semplicemente con la "garda di gredido"!). La suite ha tre stanze, di cui due per domire e guardare la tv, inoltre un paio di bagni e la terrazza sul tetto. Al calare del buio si cominciano a sentire raffiche e spari isolati. L'hotel Al Yasmeen si trova proprio all'ingresso della città vecchia, in cui ci addentriamo ignari prima che cali l'oscurità, incrociando diverse volte gli sguardi ostili di giovani col kalashnikov a tracolla. Un paio di loro siedono davanti all'ingresso di una sorta di centro, l'entrata demolita e bombardata di una moschea, indosso un'uniforme paramilitare, ai lati striscioni neri con scritte dorate: noi puntiamo sulla Jihad Islamica. Piú tardi in albergo facciamo la conoscenza di un impiegato, il suo nome è Hamad, che ci spiega un po' di cose. Lui stesso non è mai stato nella città vecchia, di notte non dovremmo uscire affatto. La maggior parte degli uomini armati appartiene alle Brigate di Al-Aksa, mentre Hamas e Jihad si tengono piuttosto coperte. Non dobbiamo menzionare il suo nome, perché non ha voglia di venir ucciso, ma non ha una grande opinione dei membri di Al-Aksa, dichiarano a gran voce di appartenere alla resistenza, ma perché, domanda Hamad, perché non si vedono mai quando arrivano gli israeliani? A Nablus arrivano pur sempre quasi ogni giorno (o meglio, ogni notte). Arrestano qualcuno o gli sparano direttamente. Nablus ha circa 130.000 abitanti e costituisce tradizionalmente il centro della resistenza. Le persone sono piú religiose e conservatrici rispetto, per esempio, a Ramallah o Betlemme. Un tempo Nablus era il centro economico della Cisgiordania, oggi invece è circondata da capisaldi militari, colonie e filo spinato. Solo due strade assicurate da posti di controllo consentono l'arrivo e la partenza dei palestinesi dall'inizio della seconda Intifada. Con la restrizione della libertà di movimento, l'antico centro commerciale ha toccato il fondo, alcuni visi appaiono corrispondentemente nervosi, segnati e infiacchiti. La città vecchia con le sue strade e vicoli tipicamente arabi giace in una valle, nelle montagne intorno (fino a 800 metri di altezza) le case sono ammucchiate una sull'altra per molti chilometri. Il colore chiaro come la sabbia e la misera struttura cubica delle costruzioni contribuiscono a una sorta di impressionante comunismo architettonico, a un tempo coinvolgente e ripugnante. Le luci, i declivi, la nuda austerità delle montagne pietrose, tutto questo si mescola a un'angustiante atmosfera di silenzi, spari e abbai di cani. Occasionalmente si sente lo stridio di ruote e le accelerate di motori come in un inseguimento automobilistico. Se fino alle sei le strade pullulano di gente, alle otto la maggior parte delle saracinesche è abbassata, i marciapiedi deserti. Piú in alto, sul pendio, dovrebbero vivere i cosiddetti ancient jews, vecchi ebrei palestinesi che si sentono a un tempo ebrei e arabi, non hanno problemi con nessuno e nel loro villaggio (al contrario di Nablus, dove ufficialmente non si trova alcol) vendono birra. Decidiamo spontaneamente di visitarli l'indomani. Assetati, col pensiero già rivolto a una conciliante birra fatta in casa servita in brocche di argilla, dopo che Hamed è andato via, andiamo a dormire.


Martedí
Dato che a causa dei prezzi abbiamo intenzione di saldare subito il conto a mezzogiorno per andare poi a Ramallah, ci alziamo alle sette, facciamo colazione, e alle otto ci rechiamo alla Croce Rossa, dove intervistiamo una svizzera di nome Florence Anselmo, responsabile per la Cisgiordania settentrionale, e Hussam Shakhshir, assistente da campo della Croce Rossa Internazionale. Entrambi danno l'impressione di essere tipi coriacei, resistenti ma anche un po' sciupati. Appaiono vispi ed eloquenti nel loro inglese (al contrario del nostro balbettio). Il loro lavoro consiste principalmente nella rilevazione statistica e nella cura delle vittime di attacchi da parte di coloni. Esempio: un arabo si reca al lavoro nei campi, i coloni gli bloccano la strada, lo picchiano malamente o lo ammazzano. Casi come questo accadono settimanalmente. Inoltre organizzano il trasporto verso le carceri israeliane, attraverso cui i palestinesi possono fare visita ai parenti arrestati (circa 10.000). Raccolgono i permessi necessari presso le autorità israeliane e cosí via. Non un bel lavoro. Per il resto rimangono fedeli al motto della Croce Rossa Internazionale (e anche della Mezzaluna Rossa) e si mostrano all'esterno impolitici e apartitici. Una cosa in sé impossibile. Quando poniamo una domanda che richiede un'opinione, rifiutano di rispondere. Maddi si reca con l'uomo nella sede della Mezzaluna Rossa, fotografa e intervista gli impiegati. Io ed Evi abbiamo appuntamento con Hamad alle dieci in albergo, per visitare con lui l'università Al-Najah, che si trova su un pendio a dieci minuti dal centro e ricorda piú la sede di un ufficio governativo iraniano. Molta pietra, niente verde, il 95% delle donne porta il velo. Secondo il loro abbigliamento si possono distinguere sei varianti di donne: 1. non classificabili, ma col velo. 2. vestite all'occidentale, senza velo, qualcuna con una ciocca di capelli ossigenati. 3. col velo, per il resto vestite all'occidentale, jeans etc. (in altre parole, con un padre o fratello religioso). 4. donne col velo scuro (quasi sempre marron) e bei vestiti neri lunghi fino ai piedi, ricamati con decenza. 5. vesti grigie a mantello e veli bianchi (la variante della colomba; stanno e si muovono in gruppo). 6. le ultime e apparentemente piú severe, in vestimenti scuri, in maggioranza neri, che perlopiú si incontrano presso la bancarella di Hamas (Fatah e Hamas mantengono delle bancarelle informative nel cortile).
Hamad afferma che la mia suddivisione è priva di senso, perché manca di senso. Evi conferma il giudizio, ricordando che la direttrice dell'Hotel di Jericho un giorno era abbigliata in maniera conservatrice, mentre quello successivo in un vestito hippie arancione. Nella soffitta dell'università si trovano le rappresentanze studentesche del PDLF, DFLP e di Fatah. Eccetto gli uffici di quest'ultima, tutti gli altri sono deserti, dato che il semestre comincerà ufficialmente solo fra due settimane. L'ufficio di Hamas, ben piú capiente, è situato altrove, dato che ha vinto le ultime elezioni studentesche. Negli uffici delle rappresentanze politiche, esattamente come nella città vecchia, sono appese a decine i ritratti dei martiri. In uno si vedono tre membri del PFLP. Hamad sostiene di aver conosciuto quello al centro. Quelli ai lati sono morti in un edificio che gli israeliani hanno sommariamente deciso di far saltare in aria. L'amico di Hamad, cui riuscí di scampare all'esplosione, venne abbattuto da quindici colpi alla testa e al torace. Ad Amman mi è stato raccontato che in seguito all'attentato esplosivo del novembre 2005, molti dichiararono di avervi perso un parente o un conoscente, quindi occorre prendere con le pinze certe informazioni. Non conosciamo abbastanza Hamad per poterne valutare la credibilità, neppure a grandi linee. Depone a suo favore solo l'evidente tensione, la sua ponderata valutazione di quel che ci può dire e quel che no, la sua volontà di mantenere il controllo sulle proprie affermazioni, in breve il fatto che si fida di noi solo relativamente (studia qualcosa all'università e ha circa 25 anni).
Verso mezzogiorno decidiamo di restare ancora una notte, dormiamo per un'ora, poi facciamo visita all'ufficio del PPP (Palestinian People's Party), che casualmente si trova nelle vicinanze. Parliamo con un certo Abdalhati (o giú di lí), che nella sua divisa verde-oliva assomiglia a un guerrigliero da giungla di origine palestinese. È un membro del politburo dell'ex-partito comunista, già prosovietico ma, come afferma lui, da sempre indipendente, e inoltre responsabile per le relazioni internazionali. Parla come un oratore esperto in un inglese sicuro. Dopo dieci minuti dobbiamo dissimulare un sorriso. La sua retorica soporifera ci ricorda quella dei funzionari del SED, sebbene sia assolutamente piacevole lasciarsi cullare da quella fiumana (siamo entrambi molto stanchi) - ovunque essa ci porti, siamo indotti a pensare -, ma poi ci riprendiamo improvvisamente, dopotutto siamo qui per lavorare! Di tanto in tanto proviamo a stuzzicarlo, per sciogliere l'atmosfera, e alla fine l'uomo si rivela effettivamente alla mano. Dopo aver riletto le risposte che Evi ha digitato con fervore, constatiamo che le idee esposte sono in verità piú che ragionevoli e ci vergognamo un po'. Alla fine dell'intervista schiocca le mani e dice: ora raccontatemi un po' voi come è messa la sinistra in Germania. Noi biascichiamo qualcosa, io poi gli racconto, un po' emblaticamente, l'aneddoto, caratteristico per il PDS del 'nuovo centro', della visita di Bush al parlamento tedesco. Un portavoce di ogni gruppo parlamentare aveva un minuto di tempo per esprimere la propria opinione al presidente americano. Improvvisamente due o tre parlamentari del PDS srotoralono uno striscione e gridarono un po' in giro. Dopo che il servizio d'ordine ebbe allontanto discretamente i disturbatori, il portavoce del PDS utilizzò il suo minuto per scusarsi con Bush per la molestia... Abdelhadi sembra visibalmente turbato e deluso. Quasi mi fa pena e mi pento di avergli tolto un'illusione, ma poi penso: ci deve passare, dopotutto ci dobbiamo passare anche noi. Tristemente mormora: in che tempi viviamo? Come può un comunista tedesco scusarsi con un presidente americano? Ha 63 anni ed è nel partito da quando ne aveva 14. Il suo ufficio è stato devastato tre volte dall'esercito israeliano. I computer distrutti, gli atti rubati. Attualmente ci sono 360 membri del PPP nelle carceri israeliane. Alla sua maniera pacata e ragionevole è anche un incorreggibile ottimista. Questi comunisti! Li amiamo! Sono la specie antropologicamente piú simile a noi! Sostiene instancabilmente che non c'è altra alternativa, la gente prima o poi capirà... Quando stiamo per congedarci ci domanda dove abitiamo. All'hotel Yasmeen, rispondiamo. Aggrotta la fronte e afferma che è troppo caro, quanto paghiamo? 65 dollari per una tripla, mentiamo con la coscienza sporca... La prossima volta, afferma, dobbiamo farci sentire prima, i compagni metteranno a disposizione alloggi privati, gratuitamente, si capisce. LUNGA VITA AL COMPAGNO ASEM J. R. ABDALHADI!





Traduzione di Antonello Piana.
Tratto da FLOPPY MYRIAPODA (www.subkommando.pappelschnee.de), nr. 4, inserto di GEGNER, nr. 19




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