LA BICICLETTA

- Brano tratto dal romanzo Diario delle finestre -

 

Roberto Violi



(...) Dopo la fine delle scuole, una volta diventati ragionieri, io e Prometeo ci siamo un poco persi di vista. Non c'erano più ritardi ad accomunarci e ci si incontrava solo alle cosiddette cene di classe oppure per strada e allora si beveva un caffè insieme. Le cene di classe diventavano sempre più rare con il passare dei mesi. Sarebbero sparite del tutto nel volgere breve di un paio di anni. Il motivo era che in qualunque posto del tavolo capitasse di sedere non c'era comunque nulla da dire ai propri vicini, uomini o donne che fossero. Qualche ragazza cominciava a sposarsi e raccontava con convinzione scampoli della propria vita coniugale. Aneddoti del tipo - mio marito tutte le mattine beve un bicchiere d'acqua prima del caffè, ma un bicchiere di quelli grandi, lo beve tutto di un fiato. mai visto una cosa simile -. O ancora - guardate noi siamo davvero contenti, la sera torniamo stanchi morti dal lavoro e per fortuna non c'è più il problema di dovere uscire con gli amici o roba del genere, ci mettiamo ognuno sul proprio divano, perché ci hanno regalato un divano ciascuno per il matrimonio, e ci addormentiamo tranquilli davanti al televisore -. Oppure episodi riguardanti il proprio lavoro tanto che se già fossi stato assunto presso la concessionaria di Agamennone mi sarebbe parso di trovarmi ad una cena di lavoro.
Prometeo era di un'altra pasta. Per lui la fine delle scuole aveva coinciso con l'inizio della vita con la lettera maiuscola. Ora si poteva annoverare senza distinzione di sorta nel gruppo dei suoi amici che aveva sempre considerato più adulti. Aveva del resto due lavori di cui era molto soddisfatto, venditore presso una concessionaria e gestore di un bar appunto. Era soddisfatto perché guadagnava molto e questo coincideva con la prima delle sue aspirazioni. Poteva comprare abiti firmati, orologi e scarpe che aveva sempre desiderato e aveva sufficiente denaro per poter invitare a cena quasi tutte le bambine, oramai un poco cresciute, che all'asilo aveva invitato semplicemente nella casetta di legno. Questa ultima attività lo occupava quasi quanto i due lavori.
Va da sé che avesse cominciato davvero molto giovane e già alle scuole medie era piuttosto conosciuto per la sua reputazione di conquistatore. Allora eravamo in due classi diverse ma lo ricordo bene comunque. Una mattina al termine delle lezioni aveva suscitato un relativo scalpore poiché era stato notato in un bacio niente affatto casto con una vigilessa del luogo. È vero che la vigilessa non era indicata come esempio di castità, aveva tuttavia almeno vent'anni. Prometeo appena tredici anche se forse ne dichiarava un paio di più. Quando adesso gli ricordo l'episodio lui sorride e replica che mi ricordo male. Invece io ricordo benissimo perché quel giorno stesso mi rubarono la bicicletta che mi avevano regalato non senza sacrificio i miei genitori. Io feci il giro dell'edificio scolastico per cercarla, la bicicletta, un po' dappertutto e invece trovai solo la vigilessa e Prometeo, non molto nascosti a dire la verità.
È un giorno che rammento facilmente perché rammento l'amarezza che mi prese quando mi resi conto che la bicicletta non l'avrei più rivista. Ma ancora più amara fu la leggera smorfia di mio padre quando gli comunicai la notizia. Non voleva assolutamente farmi pesare la mia sprovvedutezza, infatti la bicicletta non l'avevo neppure chiusa con il lucchetto che pure lui si era premurato di acquistare raccomandandosi di usarlo sempre, e dunque disse di non preoccuparmi che ne avremmo acquistata un'altra. Tuttavia dall'espressione del viso, una specie di ombra, forse meno di una smorfia, potei capire quanto quel fatto non fosse irrilevante come voleva farmi credere e quali sacrifici o comunque privazioni avrebbe comportato. E come se sugli occhi fosse scesa una patina sottile a dividere i suoi pensieri dalla realtà.
Ricordo uno sguardo simile in un giorno di inverno alle scuole elementari. Si aveva l'abitudine di portare a scuola i regali ricevuti per santa Lucia la mattina successiva alla visita della santa. Io ricevetti fra le altre cose una pistola giocattolo di plastica, di quelle che si usavano per giocare a indiani e cow-boys. Si potevano usare proiettili veri che facevano un rumore vero. Ne ero particolarmente contento in quanto fino a quel momento si erano utilizzati per tale gioco al massimo simulacri di legno più o meno rozzi. Se non addirittura le mani impostate a gesto di revolver nel modo che molti anni più tardi venni a sapere significava o poteva significare una P38. II rumore dello sparo era anche ovviamente simulato e lo si faceva con un sibilo della bocca.
La classe era divisa in due. Quelli che avevano ricevuto in dono una pistola di plastica e quelli che invece ne avevano ricevuta una di metallo. I secondi erano la larga maggioranza. Lo sguardo dei miei compagni quando videro le pistole di metallo era il mio stesso sguardo. Ed era uno sguardo adulto anche se allora non lo sapevo. Infatti era lo stesso sguardo che vidi negli occhi di mio padre il giorno del furto della bicicletta. È uno sguardo che abbraccia tutta l'ingiustizia del mondo nei secoli dei secoli. E il dolore che provoca. Non me lo sono mai dimenticato.
Molti anni più tardi ritrovai lo stesso dolore nelle poesie di Cesare Zavattini e fui stupito e grato di come si potesse dipingere con le parole uno sguardo così importante. "Vòna la m'a cunfsà: / me madar l'as fava (a t'è capì) / dal padron dia puziòn / andua sierm'amzadar / al dgeva andòm / in graner a cuntà / i sac dal furmanton / Me a cureva adrè a li farauni. / la sia la fava al sfoi / ad nostar padar / A vdeva al capel d'paia / in fond a la piantada." *
Qualche anno ancora più tardi ad una sedicente serata letteraria a Modena i sedicenti scrittori lessero i loro sedicenti scritti e altre cose. Fra le altre cose anche questa poesia di Cesare Zavattini. Solo si dimenticarono di citare l'autore. Ci sono diverse persone che possono testimoniare questo fatto.
Io pensai che l'ingiustizia come il dolore non insegna nulla e non ha mai fine.

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* Una mi ha confessato / mia madre si faceva (hai capito) / dal padrone del podere / nel quale eravamo mezzadri / diceva andiamo / in solaio a contare / i sacchi del frumentone / io rincorrevo le faraone / la zia faceva lo sfoglio / di nostro padre / vedevo il cappello di paglia / in fondo al campo. Cesare Zavattini, "Poesie", Ed. Bompiani.




(Brano tratto dal romanzo Diario delle finestre, Campanotto narrativa, Pasian di Prato (UD), 2007.)



Roberto Violi è nato a Reggio Emilia nel 1971. Si è laureato a Bologna e lavora a Reggio Emilia. È cresciuto nella Bassa reggiana ed attualmente vive nella Bassa mantovana. Diario delle finestre è il suo primo libro.



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