LA TROPICÁLIA, IL SESSANTOTTO BRASILIANO

Christopher Dunn



1. Qualsiasi dibattito sulla Tropicália deve prendere le mosse dai senso dì crisi a la base dello straordinario slancio inno­vativo della produzione artistica brasiliana, alla fine degli anni Sessanta. I protago­nisti di questa stagione creativa divennero giovani adulti nei tardi anni Cinquanta e all'inizio del decennio successivo, in un periodo di grande ottimismo, dominato dall'idea che gli artisti avessero un ruolo di primo piano da svolgere nella forma­zione di un paese moderno, democratico e proiettato verso la ricerca della giustizia sociale.

I seguaci di questa corrente si richiamavano a una ricca tradizione nazionale, che risale agli anni Venti ed è tornata in auge, dopo un trentennio, ad opera di poeti e artisti che si identificano con le tendenze costruttiviste nella pittura, nella musica, nell'architettura e nella poesia. Ma essi iniziarono la loro attività professio­nale proprio nel momento in cui l'esperimento democratico in Brasile (1945-1964) venne eclissato da un golpe militare, che istituì un regime autoritario deciso ad at­tuare un modello completamente diverso di sviluppo e modernizzazione. E furono costretti ad operare in un clima di violenza politica e di profondi contrasti in seno alla sinistra, circa le risposte politiche e culturali più adeguate ed efficaci alla dittatura militare.

La Tropicália non fu tanto un movimento organizzato, quanto piuttosto una "stagione" caratterizzata da una convergenza di eventi e congiunture uniche, che hanno contraddistinto vari settori artistici fra il 1967 e il 1968, favorendo lo scambio di idee, ma anche nuovi rapporti con l'industria culturale, il pubblico e lo Stato.

Questa fase ha coinciso con l'intensificazione delle proteste, da parte degli studenti e di altri settori progressisti della società civile, con l'attivismo sindacale e gli scioperi di massa e infine con l'emergere di una guerriglia urbana organizzata. Il suo momento finale si può datare con precisione al 13 dicembre 1968, quando il regime introdusse una censura completa, sospese l' habeas corpus e sciolse il parlamento con il suo quinto provvedimento istituzionale (AI-5), che autorizzò la co­siddetta linha dura dei generali.

 

2. Al pari di gran parte dell'America Latina negli anni postbellici, il progetto di modernizzazione fu concepito come una combinazione di sviluppo tecnologico e infrastrutturale, ma anche sociale, democratico e culturale. Sotto molti aspetti, il Brasile si era contraddistinto, negli anni Cinquanta, per le sue notevoli realizzazio­ni in campo culturale, viste allora come indici di progresso nazionale. Il musicista Tom Zé, che aderì in seguito al movimento tropicalista, osservò una volta che, con l'arrivo della bossa nova , il suo paese si era trasformato da esportatore di materie prime – come il caffè – in esportatore di arte, quasi dalla sera alla mattina. Grazie a sofisticate armonie improntate al jazz freddo e accompagnate da testi poetici sull'amore e la natura, la bossa nova annunciava una modernità culturale tipicamente brasiliana, cosmopolita e al tempo stesso radicata nella tradizione del samba. Lo stile rifletteva un clima di ottimismo, che coincideva con la presidenza di Juscelino Kubitschek, leader populista con un programma di sviluppo nazionale, simboleg­giato dalla rapida costruzione della moderna capitale del paese, Brasilia.

San Paolo era all'epoca un importante centro di diffusione del costruttivismo internazionale (il più attivo nelle Americhe), espresso soprattutto nella poesia concreta, che appariva come una neoavanguardia proveniente dalla periferia. Nel loro manifesto Nova poesia: concreta , i promotori di questo movimento formulavano un'idea della poesia come “oggetto utile”, con una sua “struttura spazio-temporale”. La poesia concreta può essere inoltre concepita – al pari di Brasilia e della bossa nova – come espressione della logica del progresso nazionale. Negli anni Cin­quanta fiorirono anche le arti visive, grazie alla fondazione del Museo d'arte moderna (1947) e della Biennale (1951) di San Paolo e all'emergere di un gruppo di pittori astrattisti, riuniti sotto la bandiera del concretismo e solidali con i poeti della stessa tendenza.

Verso la fine del decennio, l'avanguardia concretista venne attaccata da artisti e critici che consideravano la sua estetica, improntata a un severo razionalismo e formalismo, distante da quella che veniva allora definita realidade nacional, ovve­ro dall'insieme dei rapporti sociali, economici e culturali in un paese povero e sot­tosviluppato. A Rio de Janeiro emerse allora un movimento neoconcretista avverso a quello ortodosso. E anche la bossa nova venne contestata all'inizio degli anni Sessanta, anche se in termini diversi, da artisti che ne erano stati inizialmente entu­siasti sostenitori, ma avevano criticato in seguito la sua incapacità di affrontare i problemi sociali. Nelle città, giovani musicisti borghesi, molti dei quali studenti universitari, cercarono di sperimentare nuove sonorità ispirate al samba di tradizione urbana e alla musica popolare delle regioni povere e rurali del Nord-Est. Questa tendenza coincise con il cinema novo di Nelson Pereira dos Santos e di Glauber Rocha e con la nuova drammaturgia nazionalista rappresentata dal teatro Arena, sotto la direzione di Augusto Boal.

All'inizio degli anni Sessanta, si sviluppò un nazionalismo di sinistra incorag­giato dal governo di João Goulart, che cercava il sostegno dei settori più avanzati dei movimenti operai e studenteschi urbani. Fu questo il periodo di più rapida espansione dei Centros Populares de Cultura (Cpc), influenzati dal Partito comunista brasiliano, che esortava artisti e intellettuali a svolgere la funzione di avanguar­dia rivoluzionaria, con il compito di sviluppare la coscienza della classe operaia urbana e dei contadini. Questi centri abbracciarono le idee di “partecipazione” e di “arte rivoluzionaria popolare” propugnate da intellettuali come Carlos Estevam, che archiviavano lo sperimentalismo formale, identificato con l'avanguardia concretista, a favore della chiarezza e della semplicità discorsive. Ma i concretisti rispose­ro citando la massima di Majakovskij: "Non c'é arte rivoluzionaria senza forma rivo­luzionaria", che divenne una sorta di ritornello nei loro manifesti e nei loro saggi critici. La svolta verso un nazionalismo culturale antimperialista e un populismo ri­voluzionario fu sollecitata dal golpe di aprile del 1964, che segnò l'avvento di un governo autoritario alleato con gli Stati Uniti.

Le divergenze sulla pratica artistica nel campo della musica popolare erano molto forti ed ebbero ampio risalto, in parte a causa della dipendenza di questo genere da un pubblico di consumatori. Il consolidamento del regime militare coincise con la diffusione di un rock and roll domestico, chiamato iê-iê-iê, reso molto popolare dal telegenico cantante Roberto Carlos e da altri esecutori noti sotto il nome collettivo di Jovem Guarda. Verso la metà degli anni Sessanta, la chitarra elettrica divenne un potente simbolo culturale, che rappresentava per molti una cultura giovanile internazionale stimolante e moderna, mentre altri vedevano in essa un'arma dell'imperialismo culturale.

In questo periodo si ebbe anche una forte diffusione della televisione, approvata e promossa dal regime militare, ed ebbero grande successo i festival musicali trasmessi dalle tv Record di San Paolo e Globo di Rio de Janeiro. Questi eventi furono decisivi per la formazione di una nuova estetica sociale della musica popolare, che andava sotto il nome di música popular brasileira (mpb). Stilisticamente, questo genere venne definito più in base a quel che non era che a quel che era. Non era rock, considerato allora una moda d'importazione, né musica popolare tradizionale, identificata col samba urbano o con le sue varianti regionali. Era, invece, un
genere ibrido, emerso da sensibilità successive all'epoca della bossa nova e tuttavia
sempre basato su valori estetici e sociali legati a un immaginario nazional-popolare.
I musicisti noti come grupo baiano, che lanciarono in seguito la rivoluzione
tropicalista nella musica popolare che si richiamava alla tradizione brasiliana, mantennero ciò nondimeno un atteggiamento ambivalente verso l'alone ideologico che aveva cominciato a circonfonderla. Verso la metà degli anni Sessanta, una cer­ta idea di buon gusto ( bom gosto ) permeò questo genere musicale, sia nelle sue forme jazz-bossa che nelle sue più stridenti manifestazioni di protesta popolare post-bossa. Ma diversamente dalla bossa nova, le sonorità della Tropicália non possono essere definite in termini di forma o stile, bensì in base a una serie di orientamenti verso la produzione musicale caratterizzati da vari tipi di cannibaliz­zazione, fra cui la parodia, il pastiche e la citazione.

Veloso ha paragonato la tendenza tropicalista alla pratica contemporanea della commistione fra ready mades di un'ampia gamma di suoni, compresi i sambas e le marchas tradizionali, la bossa nova, il bolero, il mambo e il rock. I tropicalisti erano dediti a una sorta di archeologia delle tradizioni musicali brasiliane, mentre sovvertivano nel contempo le nozioni di “buon gusto” condivise dai critici, dai con­sumatori e dagli artisti borghesi. Erano interessati, soprattutto, al fenomeno della pop music e ai suoi rapporti con la cultura giovanile, la società dei consumi e la tradizione musicale. Nello stesso tempo, stringevano un legame costruttivo con il gruppo della música nova , l'avanguardia di San Paolo alleata con la poesia concreta . Molti dei suoi principali esponenti si erano disamorati della música erudita e avevano cominciato a operare nel campo commerciale, ricercando la collaborazio­ne dei musicisti popolari.

I tropicalisti trovarono un sostegno teorico nell'antropofagia (cannibalismo culturale), una tendenza espressa inizialmente da un provocatore modernista come Oswald de Andrade nel suo Manifesto Antropófago del 1928, riscoperto grazie al poeta concretista Augusto de Campos il quale, insieme a suo fratello Haroldo e a Décio Pignatari, ne ripubblicarono le opere, rilanciando il suo messaggio critico e poetico. La metafora del cannibalismo, ispirata dagli indios della costa, noti come divoratori di prigionieri nemici, fra cui i colonizzatori portoghesi, forniva un modello di produzione culturale che non scimmiottava le tendenze metropolitane in Europa, ma al contempo non perseguiva una chiusura difensiva o grettamente nazionalista. Il cannibalismo era inoltre un correttivo necessario dei concetti essen­zialisti e astorici di “brasilianità”, così com'erano concepiti da alcuni dei modernisti più nazionalisti schierati col gruppo Verde-Amarelo . Quarant'anni dopo, il canni­balismo rappresentò per i tropicalisti una chiave di rilettura della tradizione musicale brasiliana, alla luce degli sviluppi contemporanei del pop internazionale. Come osservò Veloso, “l'idea di cannibalismo culturale ci va a pennello. Noi divoria­mo infatti i Beatles e Jimi Hendrix” .

 

3. Il fenomeno tropicalista andava oltre la musica popolare. II movimento prese il nome da Tropicália di Hélio Oiticica, un'installazione esposta per la prima volta nel 1967, nel corso della mostra sulla “Nuova oggettività brasiliana» presso il Museo d'arte moderna di Rio de Janeiro. Un evento informato da uno spirito di apertura e generosità, concepito e organizzato da Oiticica come una rassegna delle varie tendenze dell'avanguardia brasiliana, ispirate da una serie di principi condivisi: volontà costruttiva; rifiuto del quadro su tela a favore dell'oggetto; partecipazio­ne dello spettatore; presa di posizione sui problemi politici, morali e sociali; azione collettiva; negazione dell'arte e assegnazione all'artista del ruolo di “proponente di pratiche”.

Oiticica esordì negli anni Cinquanta come giovane costruttivista, influenzato soprattutto dagli studi di Piet Mondrian sul colore e lo spazio, per aderire in seguito al gruppo neoconcretista di Rio de Janeiro, guidato dal poeta Ferreira Gullar e da artisti quali Lygia Clark e Ligia Pape, che sollecitavano la partecipazione attiva dello spettatore, la manipolazione tattile degli oggetti e altre esperienze sensoriali. Il suo orientamento cambiò radicalmente all'inizio degli anni Sessanta, quando andò a vivere nella favela della Mangueira, sede di una delle più famose scuole di samba di Rio. Qui cominciò a sviluppare una serie di progetti che richiedevano una partecipazione attiva degli spettatori, non più ingessati nel loro tradizionale ruolo contemplativo. Le sue parangolés , ad esempio, erano costituite da cappe multistrato (su alcune delle quali erano scritte frasi come “Viviamo nelle avversità”, “Sono posseduto”, “Io incarno la rivolta”) che gli spettatori dovevano indossare. Fu il primo tentativo di ridefinire il concetto di “partecipazione” nella pratica artistica, distante dal concetto di propaganda dall'alto in basso e più vicino invece alla vivência, ovvero all'esperienza vissuta. In questo modo, Oiticica cercava di riaffer­mare l'intento principale dell'avanguardia storica, ovvero l'abolizione della diffe­renza fra arte e vita quotidiana.

Tropicália fu il primo “ambiente” creato da Oiticica per installare due penetráveis ,

strutture che si richiamavano all'architettura indigena delle favelas. “II primo tentativo, veramente cosciente, oggettivo”, come lo definì lui stesso, “di imprimere una chiara impronta brasiliana nel contesto dell'avanguardia attuale”. L'installazio­ne si richiamava a forme stereotipe di casupole, piante, pappagalli brasiliani, ma l'opera trascendeva qualsiasi facile idea di brasilianità. Sulla più piccola delle due strutture, ad esempio, era incisa la frase “Purezza è un mito”, chiara allusione a un contesto culturale ibrido, sincretico. La più grande era una sorta di labirinto, che conduceva gli spettatori-partecipanti, attraverso un passaggio buio, verso un apparecchio televisivo funzionante. Oggi questo può apparire come un gesto alquanto banale, ma allora era la prima volta che immagini televisive – in seguito trasmesse in tutte le favelas – venivano utilizzate nell'arte brasiliana. Secondo Oiticica, Tro­picália era “l'opera più cannibalistica dell'intero panorama artistico nazionale”, nel senso che gli spettatori venivano “divorati” dalle immagini del tubo catodico.

Sebbene non direttamente ispirata a quest'opera, la canzone composta suc­cessivamente da Caetano Veloso, intitolata Tropicália , divenne uno dei manifesti canori della musica tropicalista. Carlos Favaretto ha richiamato l'attenzione sul "carattere ambientale e il tipo di costruttivismo comune a entrambe». Le due opere sono comparabili per il modo in cui usano strutture architettoniche come allegoria della modernità diseguale del Brasile. Mentre Oiticica rievoca le strutture indigene delle favelas, la canzone di Veloso si richiama a Brasilia, la capitale avveniristica del paese inaugurata nel 1960, che rappresentò l'evento più celebrato del programma di modernizzazione nazionale e divenne il centro del potere politico e amministrativo del regime militare. Tropicália allude alla storia recente di Brasilia, da simbolo utopico dell'architettura modernista a centro del potere burocratico au­toritario. “Era un'immagine molto ironica, un'espressione più o meno consapevole di cosa significasse vivere in Brasile e sentirsi brasiliani in quel momento: si pensava a Brasilia, al planalto central e ti aspettavi di trarre un sentimento d'orgoglio da quell'architettura, ma non era affatto così. La vera sensazione era invece “Quale mostruosità!”. E questo perché subito dopo la sua costruzione ci fu la dittatura mi­litare e la città rimase il centro di quel regime”.

La canzone inizia con un riferimento parodistico alla Lettera di Pero Vaz de Caminha, la prima lettera inviata al re del Portogallo per annunciare la “scoperta” del Brasile, nel 1500: Sobre a cabeça os aviões / Sob os meus pés os caminhões / Aponta contra os chapadões / Meu nariz / Eu organizo o movimento / En oriento o carnaval / Eu inauguro o monumento / No Planalto Central do país / Viva a Bos­sa-sa-sa / Viva a palhoça.ça-ça-ça / (...)

L'accostamento di riferimenti a elementi moderni e arcaici della società brasiliana costituisce il nucleo della canzone: la bossa , la musica popolare cittadina as­sociata alla modernità, all'urbanesimo, fa rima con palhoça , le capanne di fango ri­fugio di milioni di contadini poveri.

Se il primo verso giustappone la modernità alla miseria più nera, quello finale allude in modo ironico alla musica popolare brasiliana stessa: il programma te­levisivo popolare di Elis Regina, Fino da bossa , la famosa canzone di Roberto Car­los Que tudo mais vá pro inferno e il suo verso sull'abito maschile, A banda di Chico Buarque e, infine, Carmen Miranda, la stilista del samba, divenuta un'icona hollywoodiana.

Domingo é o fino da bossa / Segunda-feira está na fossa / Terça-feira vai à roça / Porém / O monumento é bem moderno / Não disse nada do modelo do meu terno / Que tudo mais vá pro inferno / Meu bem / Viva a banda-da-da / Carmen Miranda-da-da-da-da / (...)

Il verso finale colloca Tropicália nella più ampia vicenda dell'arte d'avanguar­dia, segnatamente Dada, che più d'ogni altro movimento mise in discussione l'"oggetto d'arte" in quanto tale e le strutture istituzionali che lo sostenevano. Ma per certi aspetti la strofa conclusiva si avvicina più strettamente all'estetica pop, anche nel modo in cui forma un collage , simile all'inventario di oggetti e icone della cultura di massa. Veloso ha osservato che nel periodo in cui stava concependo canzo­ni tropicaliste, aveva tratto ispirazione dalla biennale di San Paolo del 1967, che espose le opere degli artisti pop americani e inglesi. E ha spiegato che la citazione di Carmen Miranda alla fine della canzone era simile al barattolo di minestra Campbell di Andy Warhol, sebbene lei fosse un riferimento culturale di maggior peso, associata com'era al samba pre- bossa nova , a una certa idea di kitsch e allo sfruttamento dell'industria culturale nordamericana.

Si può anche parlare di una variante brasiliana della pop art, ma la formula non venne esplicitamente sottoscritta e i suoi principali esponenti ci tenevano a rimarcare la differenza rispetto a quest'ultima. Molti artisti brasiliani s'inserirono tut­tavia nel suo solco, con riferimenti visivi alla cultura popolare urbana, agli oggetti d'ogni giorno, alle foto dei giornali, ai fumetti e alle icone dei mass media generate da un'industria culturale basata sull'immagine. Questa tendenza trovò espressione soprattutto nei riferimenti al kitsch , come in O rei do mau gosto (1966) di Rubens Gerchman, esposto alla mostra collettiva sulla Nuova oggettività di Rio, nel 1967.

Lindonéia, a Gioconda dos Subúrbios (1966), sempre di Gerchman, è un ritratto senza rilievo, bidimensionale, che sembra uscito dalle pagine di cronaca ne­ra della stampa popolare, di un'operaia della periferia urbana, vittima di una vio­lenza apparentemente anonima in un contesto di repressione politica e sorveglian­za poliziesca. Diversamente da Tropicália rispetto all'opera di Oiticica, la Lin­donéia di Veloso fu un diretto riferimento al quadro di Gerchman. Registrata dalla cantante di bossa nova Nara Leão e inserita nell'album-manifesto tropicalista del 1968, era paragonabile a un bolero, la musica cubana postbellica molto diffusa in America Latina negli anni Cinquanta e Sessanta, specialmente fra le classi medie e operaie urbane, ma ritenuta insopportabilmente melodrammatica e datata dai fau­tori della bossa nova . Era proprio questo carattere rozzo e arretrato della cultura popolare brasiliana che interessava Veloso e che sarebbe diventato un aspetto im­portante del progetto tropicalista.

Durante l'estate del 1968, quando la stampa cominciò a parlare del fenome­no tropicalista descrivendolo come un "movimento" e uno stile distinti, fu pro­prio a questo tipo particoalre di kitsch che si fece riferimento, in modo spesso ironico. Il giornalista e compositore Nelson Motta scrisse un articolo intitolato La crociata tropicalista , in cui attribuiva a questa tendenza una propensione “ad accettare tutto ciò che la vita tropicale ha da offrire, senza pregiudizi sulla qualità estetica e senza perplessità riguardo al cattivo gusto...”. E propose un evento per lanciare il movimento, descrivendo il suo stile di abbigliamento e riassumen­done la visione artistica, che si basava essenzialmente sul rilancio della vecchia musica popolare incolta e sull'arte della generazione precedente. Ma l'osserva­zione più interessante del suo articolo era che la "filosofia tropicalista", a suo giu­dizio, riciclava, sia pur con ironia e con le dovute distanze, l'ideologia reazionaria della classe media conservatrice, ovvero di quello stesso ceto che era sceso in piazza nel 1964 a sostegno del golpe militare. Quest'ipocrita omaggio al kitsch tropicale era un anatema per Oiticica, che in una lettera al critico Guy Burrett la­mentò la “glorificazione delle banane”. Ma aveva una grande importanza per il progetto politico dei fondatori del movimento. Per i tropicalisti, il recupero di materiali datati e di cattivo gusto era un modo di alludere all'ascesa di forze con­servatrici nella società brasiliana.

In uno dei primi saggi critici su questo movimento, Roberto Schwarz osservava che il golpe militare aveva risvegliato tendenze sociali arcaiche e valori culturali conservatori, anche se i militari e i tecnocrati civili stavano modernizzando il paese attraverso la sua integrazione nell'economia internazionale. E fu il primo ad osser­vare che i tropicalisti avevano riesumato rappresentazioni allegoriche, sottoponen­do emblemi arcaici e anacronistici alla “luce cruda dell'ultramodernità”. Ma per quanto nello loro espressioni più ironiche riuscissero a “cogliere le più ardue e dif­ficili contraddizioni dell'attuale produzione intellettuale”, rimproverava loro pur sempre di proporre una “visione atemporale del Brasile”, in cui le contraddizioni storiche – fra tecnologia moderna e profondo sottosviluppo, fra ricchezza favolosa e miseria abietta – non venivano concepite dialetticamente come un problema da superare, bensì come un tratto distintivo del carattere nazionale, a volte allegro, altre malinconico, ma sempre ineludibile. Un'acuta interpretazione, che trae però conclusioni sbagliate. Mentre Schwarz pretendeva chiarezza e rigore concettuale, i tropicalisti offrivano un inventario caleidoscopico di frammenti di cultura popolare e di vita quotidiana sotto il regime autoritario, esplorando l'indeterminatezza del significato o pretendendo che questo venisse prodotto dagli ascoltatori o dagli spettatori.

La Tropic á lia svelava la logica culturale della modernizzazione conservatrice: un modello di sviluppo economico adottato dal governo militare, basato su cospi­cui investimenti stranieri, sulla rapida espansione industriale e su forme di comuni­cazione di massa sostenute da misure di austerità sociale e di repressione violenta. Questo non vuol dire che essi approvassero queste tendenze, come alcuni critici hanno suggerito. Ma semplicemente che erano gli unici in sintonia con i cambiamenti strutturali introdotti dal regime militare, col suo programma di sviluppo, i suoi meccanismi repressivi, e trovarono i modi più efficaci per rappresentare que­ste trasformazioni e i loro effetti sulla vita quotidiana in Brasile.

La Tropicália ha segnato una fase in cui il progetto costruttivista è stato can­nibalizzato dalla pop art. Stando al concetto formulato da de Andrade, questo “divoramento” non implica una negazione né un superamento, bensì un'assimila­zione critica. Questo gesto era a volte contrassegnato da un'ironia e da un senso dello humour come nella canzone Geléia Geral, scritta da Torquato Neto e registrata da Gilberto Gil. Quest'espressione, che significa gelatina generalizzata, venne usata per la prima volta da Décio Pignatari in una polemica con il poeta modernista Cassiano Ricardo per alludere alle caratteristiche contraddittorie, amorfe, ibride della cultura brasiliana: “Nella geléia geral brasiliana qualcuno deve esercitare la funzione di spina dorsale”. In altri termini, il costruttivismo era necessario per dare rigore e forma all'arte nazionale. Nella canzone di Neto, la geléia geral – espressa attraverso un repertorio di riferimenti alla cultura popolare urbana e alla vita quotidiana – viene accolta e celebrata. Va tuttavia ricordato che, nonostante le loro differenze, tropicalisti e concretisti erano alleati contro alcuni dei più ortodossi difensori del nazionalismo culturale in seno alla sinistra. Ma negli anni Sessanta, anche i poeti e gli artisti concretisti divennero meno “intransigenti” e cominciarono ad assimilare elementi della cultura mass-mediatici nei loro testi e nei loro oggetti, chiamati popcretos .

La composizione Batmacumba può essere considerata come la perfetta sinte­si formale di costruttivismo e pop art, avanguardia e cultura popolare. La sua struttura formale aveva mutuato dalla poesia concreta l'uso del montaggio verbale e della sintassi non discorsiva. La canzone é basata su un frammento poetico (bat­macumbaiêiê batmacumbaobá) che contiene una serie di unità semantiche tratte dai fumetti (Batman), dal rock nazionale (iê-iê-iê) e dalla religione afro-brasiliana, definita a volte macumba (bá, obá). Ad ogni verso, un fonema viene eliso finché rimane solo bá, dopo di che si ritorna gradualmente alla frase originale. Augusto de Campos ha in seguito trascritto Batmacumba come una poesia visiva, con due “ali” triangolari che evocano un pipistrello in volo. Batmacumba è la canzone più ibrida dell'intero repertorio tropicalista. Con la sua struttura formale basata sulla poesia concreta e i suoi elementi semantici che fanno riferimento a sfere culturali sacre e profane.

Al di là delle qualità formali, discorsive delle canzoni, era la loro esecuzione che rappresentava la miglior mediazione e sintetizzava pop e costruttivismo all'interno del movimento Tropicália . E fu proprio questa dimensione della musica tro­picalista a provocare i dibattiti più accesi, come la famosa polemica scoppiata in coincidenza con le eliminatorie del Festival Internazionale della Canzone del 1968, quando l'esecuzione di É Proibido Proibir da parte di Caetano Veloso provocò una rivolta fra gli studenti antitropicalisti, ai quali egli tenne un lungo discorso sul rapporto fra cultura e politica: “Se in campo politico avete le stesse posizioni che in quello estetico, allora siamo rovinati”. L'interpretazione dal vivo piaceva molto anche a Oiticica, che scrisse entusiasticamente sulla “necessità delle chitarre elettriche, degli amplificatori, della banda musicale e specialmente dei costumi”. E usò l'espressione “manifestazioni ambientali” per descrivere le performance dal vivo e gli happenings del grupo baiano.

 

4. La dimensione spettacolare e partecipativa della Tropicália apparve anche la più minacciosa al regime autoritario. Diversamente da alcuni film e rappresenta­zioni teatrali di questo periodo, nessun disco dei tropicalisti venne censurato. Le arti visive in generale vennero lasciate in pace.

L'inizio della fine del progetto tropicalista ebbe luogo nell'ottobre del 1968 al Sucata Club, sorta di contro-festival organizzato durante le finali del Festival Internazionale della Canzone di Rio. Sul palco, Oiticica mostrò una bandiera con l'immagine di Cara de Cavalo, un bandito della Mangueira che aveva aiutato e in seguito venne catturato e ucciso dalla polizia. Quest'opera, creata nel 1967, se­gnò una nuova svolta all'interno del più ampio progetto tropicalista, destinata a trovare in seguito la sua piena espressione nel cinema marginal post-tropicali­sta, ma anche nella musica popolare, che abbracciò la marginalità sociale (fuorilegge, guerriglieri, reietti) in risposta ad una società violenta, sempre più militarizzata.

Un agente della Dops – la polizia segreta – che aveva assistito allo spettacolo, ebbe un alterco con Veloso riguardo al drappo ostentato da Oiticica. E nel giro di un paio di mesi Veloso e Gil vennero arrestati, rinchiusi in un carcere militare e poi confinati agli arresti domiciliari a Salvador, fino a quando non partirono per l'esilio a Londra. A quell'epoca, Oiticica era già nella capitale inglese e stava allestendo una mostra memorabile presso la Whitechapel Gallery, prima di partire per New York, dove avrebbe risieduto per gran parte degli anni Settanta.

Nel 1969 il momento tropicalista stava ormai tramontando, ma alcune caratte­ristiche fondamentali che ne avevano contrassegnato la pratica – il dialogo critico con tendenze e progetti culturali internazionali, il tentativo di fondere avanguardia e cultura popolare, la tensione produttiva fra costruttivismo e pop art, l'imperativo della partecipazione – continuarono a informare l'attività artistica in Brasile.

L'influenza della musica tropicalista svanì con il diffondersi di un ampio movimento rock, che dominò la cultura giovanile negli anni Ottanta. Durante questo periodo, i musicisti rock seguivano le tendenze nordamericane ed europee espres­se dalla new wave, dal punk e dal post-punk, spesso nel tentativo consapevole di prendere le distanze dalle figure predominanti della música popular brasileira emerse negli anni Sessanta. Ma gli stessi tropicalisti accompagnarono il fenomeno rock, accogliendolo con simpatia e, contemporaneamente, favorirono sviluppi pa­ralleli della musica popolare afro-brasiliana – in special modo i blocos afro di Sal­vador Bahia, che introdussero nuove forme di protesta sociale e razziale nella musica di carnevale.

Possiamo parlare di un revival tropicalista nella musica popolare brasiliana, sebbene sia in corso un dibattito sull'influenza e l'eredità di questo movimento. Nel 1993, Gil e Caetano hanno inciso Tropicália 2 , un'iniziativa comune per com­memorare il movimento e cercare i riaffermarne la rilevanza. Il pezzo più potente di questo album, Haiti , era stato concepito come un rap beat lento e denunciava la violenza della polizia contro giovani neri, mentre sollevava domande molto scomode sul significato della cittadinanza nella società brasiliana.

Nel frattempo, Tom Zé, che non era quasi più comparso in pubblico dopo vent'anni di imperturbato sperimentalismo, è stato acclamato dalla critica e attor­no a lui si è fermata una nuova generazione di fan, in patria e all'estero, che hanno acquisito una serie di dischi prodotti da David Byrne sotto il suo marchio Luapa Bop. Materiali tropicalisti riediti dei tardi anni Sessanta sono iniziati a cir­colare oltre confine e hanno attratto l'entusiastica attenzione di critici e musicisti negli Stati Uniti. Beck ha reso omaggio al movimento con il suo disco Mutations del 1999, un riferimento al complesso Os Mutantes , le cui prime incisioni sono diventate oggetti di culto nei circoli rock alternativi. In quello stesso anno, Tom Zé ha fatto una tournée negli Stati Uniti col gruppo strumentale di Chicago, i Tortoise . Ed Hermano Vianna ha sostenuto che “il ruolo della cultura brasiliana nel "concerto delle nazioni" aveva subito una piccola, ma decisiva trasformazio­ne con il cosiddetto "culto" del tropicalismo”. Precisando però che quella della Tropicália non veniva consumata all'estero come world music . Al contrario, ve­niva “celebrata come se fosse una scuola d'avanguardia all'interno della lunga storia del rock o della musica pop internazionale”.

In Brasile, l'eredità della Tropicália è un po' più complessa, per varie ragioni. Innanzitutto, la música popular brasileira che un tempo designava, nel suo complesso, un movimento rivolto al tempo stesso verso la "tradizione" e la "modernità", così com'era inteso negli anni Sessanta e Settanta, implose negli Ottanta e Novanta con il consolidarsi di forme nazionali e regionali di generi internazionali, quali il rock, il reggae e il rap. Solo i puristi più incalliti potrebbero accusare di “inautenticità” quei musicisti brasiliani che hanno elaborato linguaggi musicali e poetici locali per questi generi.

In secondo luogo, in questi ultimi due decenni si é assistito alla proliferazione di stili e movimenti regionali domestici che hanno sfidato apertamente la folkloriz­zazione, adottando una posizione cosmopolita orientata in varia misura al mercato della pop music . Il modello di produzione musicale creato dai tropicalisti verso la fine degli anni Sessanta è stato completamente assimilato. Nel 1997, Veloso ha pubblicato un libro di grande successo, Verdade Tropical , che ne ha accresciuto ulteriormente la figura di intellettuale socialmente impegnato e ha canonizzato la sua interpretazione del movimento tropicalista. Gilberto Gil, da parte sua, venne nominato ministro della Cultura nel governo Lula nel 2003 e da allora ha conqui­stato una grandissima visibilità, sia in patria che all'estero. È stato particolarmente attivo nel promuovere la cittadinanza culturale in Brasile, creando centri di produ­zione, o pontos de cultura , nelle comunità povere, caldeggiando il libero accesso a programmi informatici e democratizzando le leggi che regolano i diritti di pro­prietà intellettuale.

Sarebbe difficile trovare figure della stessa generazione altrettanto influenti in altri contesti nazionali. Molti interventi incisivi nella musica popolare brasiliana in questi ultimi anni si sono ispirati ai tropicalisti e al loro eclettismo radicale legato alle tradizioni locali, ma aperto alle tendenze pop internazionali. Gil e Veloso, tut­tavia, hanno raggiunto un livello di prestigio e di potere che si è dimostrato oppri­mente per alcuni artisti, che avrebbero potuto diversamente identificarsi con l'ere­dità della Tropicália . In una recente intervista, ad esempio, Veloso ha espresso la sua ammirazione per il complesso dei Nação Zumbi , i più acclamati interpreti del mangue beat , uno stile sviluppato nel Recife che fonde i ritmi locali afro-brasiliani del maracatú , con i motivi ripetuti di chitarra heavy metal e i ritmi forti del funk . Dopo aver visto uno dei loro spettacoli dal vivo, un amico gli disse che ai Nação non piaceva la sua musica. Ma lui ha reagito con uno spirito tipicamente tropicalista, osservando che “se il risultato è la musica che ho sentito, forse allora è bene che la mia non gli piaccia”.

Secondo Gilberto Gil, il movimento tropicalista è stato “una premonizione della situazione in cui oggi viviamo nell'epoca della globalizzazione e della pluralizzazio­ne internazionale”. Il suo recente lavoro tende a celebrare la globalizzazione cul­turale, lo sviluppo di nuovi stili ibridi e l'espansione dei circuiti internazionali di co­municazione, resa possibile da Internet. Anche Tom Zé fa riferimento a un'ampia varietà di fonti musicali e letterarie, nazionali e internazionali, ma si concentra sulla crescita delle diseguaglianze e dello sfruttamento in un modo sempre più globaliz­zato. Le sue recenti incisioni Com defeito de fabricação (1999) e Jogos de armar (2000), contengono critiche incisive alla globalizzazione – da lui ribattezzata globarbarização – e della posizione subalterna del Brasile nella sfera internazionale.

Quanto a Veloso, egli ha cercato di rappresentare la Tropicália e la sua eredità come una peculiarità della cultura brasiliana. Se i tropicalisti, come ha osservato, hanno contribuito a diffondere un “sentimento di disincanto” negli anni Sessanta, lui invece oggi ha una visione molto più ottimistica del suo paese e del suo posto nel mondo e si spinge fino ad immaginare nuovi progetti utopistici, basati sulle ca­ratteristiche uniche del Brasile in quanto nazione multirazziale di lingua portoghe­se. Da questo punto di vista, la Tropicália appare non più come una triste critica delle contraddizioni della modernità brasiliana, quanto piuttosto come un araldo di nuove forme di produzione culturale e di modelli di convivenza sociale adatti al secolo che è appena iniziato.

 





(Tratto dalla rivista Limes - rivista italiana di geopolitica, quaderno speciale: Brasile, la stella del sud, edizione del giugno 2007.)




Christopher Dunn è professore associato e capo dipartimento della Tulane University di New Orleans. Autore di Brutality Graden: Tropicália and the Emergence of a Brazilian Counterculture, pubblicato dalla University of North Carolina Press.


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