LE BELLE ADDORMENTATE

Brano tratto dal romanzo La casa delle belle addormentate


Yasunari Kawabata

 



Si udì nella stanza attigua il rumore della pa rete scorrevole aperta.

«Siete sveglio? » lo chiamò la donna della casa. « Quando volete, la colazione è pronta... »

«Ah » rispose, lasciandosi sorprendere.

Il sole del mattino che filtrava dalle fessure delle imposte rischiarava il velluto. Ma ad esso non si univa la debole luce dal soffitto.

« Posso servire? » si accertò la donna.

«Sì.»

Eguchi scivolò fuori appoggiandosi su un gomito. Con l'altra mano carezzò lievemente i capel­li della ragazza.

Il vecchio aveva capito che facevano alzare gli ospiti prima che la ragazza si svegliasse, ma la donna gli servì la colazione con tutta tranquillità.

Chissà fino a quando facevano dormire la ra­gazza. Non conveniva fare domande superflue, e Eguchi disse con aria indifferente:

« Graziosa, la ragazza. »

« Eh. Avete fatto bei sogni? »

« Sì, mi è stato dato di fare bei sogni. »

« Vento e onde stamane sono calmi, sarà una giornata mite » cambiò discorso la donna.

Tornando per la seconda volta in quella casa a distanza di mezzo mese, il vecchio Eguchi, più che la curiosità della prima volta, aveva forse un sen­so di colpa, un senso di vergogna e una specie di eccitazione. L'impazienza per l'attesa protrattasi dalle nove alle undici si era trasformata in tenta­zione seducente.

Ad aprire il cancello con la chiave e a riceverlo fu la donna della volta precedente. Nel tokonoma c'era la riproduzione dello stesso dipinto. Anche il sapore del tè verde era buono come la volta in­nanzi. Eguchi aveva il cuore in subbuglio più che quindici giorni prima, ma sedette come un cliente ormai a proprio agio. Si voltò a guardare il dipin­to del villaggio montano dalle foglie scarlatte.

« Questa zona è calda, e le foglie di acero av­vizziscono prima ancora di diventare completa-mente rosse, eh? Il giardino allora era buio e non me ne ero accorto, ma... » disse insolitamente.

« Dite? » fece la donna quasi senza pensare. « Si è fatto freddo, vero? Abbiamo messo la co­perta elettrica, e essendo a due piazze ci sono due interruttori, così i signori clienti regolano il calore come meglio gradiscono. »

« Coperte elettriche non ne ho mai usate. »

« Se non vi va, vogliate spegnere dalla vostra parte, ma da quella della ragazza lasciate acceso, altrimenti... » e al vecchio fu chiaro il sottinteso che la ragazza non aveva nulla indosso.

« Una coperta che possa esser tenuta alla tem­peratura voluta da ciascuno dei due, un conge­gno interessante. »

«È americana... Comunque, vi prego di non far dispetti come spegnere dalla parte della ragaz-

za. Tanto, per quanto abbia freddo non si sve­glia. »

Eguchi non rispose.

«La ragazza di questa sera è più esperta di quella dell'altra volta. »

«Eh? »

«Anche questa è una ragazza graziosa. So che non le farete del male, e non sarebbe giusto se non lo fosse. »

«Non è la stessa dell'altra volta, allora? »

«No, quella di stasera... Non è bene che sia diversa? »

«E che non sono poi così volubile. »

«Volubile...? Dite volubile, ma che senso ha? » Sembrava che il pacato modo di parlare della don­na celasse un lieve sorriso di scherno. « I clienti di qui, tutti, non fanno niente. Accogliamo soltan­to signori di cui possiamo essere tranquilli. » La donna dalle labbra sottili non guardava il vecchio in faccia.

Eguchi fremette, non seppe che dire. Ma non era altro, dopo tutto, che una vecchia tenutaria, esperta e a sangue freddo.

«E poi, quand'anche a voi sembrasse d'essere volubile, la ragazza dorme e non sa con chi ha ri­posato. Sia la ragazza dell'altra volta o quella di stasera rimangono assolutamente ignare di voi, e quindi a parlare di volubilità... »

«Già, è vero, non si tratta di un contatto uma­no. »

« Ma perché? »

Per un vecchio ormai impotente era buffo dire, dopo aver varcato la soglia di quella casa, che stare in compagnia di una ragazza addormentata non era un "contatto umano".

"Non fa anche bene essere volubili?" e la don­na rise con voce stranamente giovane per blandire il vecchio. « Se la ragazza dell'altra volta vi piace tanto, la terremo pronta e addormentata per la vostra prossima visita; ma dopo direte che è mi­gliore quella di stasera. »

«Sì? Dite che è esperta, ma in che cosa? Non fa che dormire! »

«Già... »

La donna si alzò, apri con la chiave la porta della camera attigua, e dopo aver dato un'occhiata all'interno depose la chiave davanti a Eguchi.

«Vi auguro una buona notte. »

Lasciato solo, Eguchi versò l'acqua calda del bricco nella tazza e bevve lentamente il tè verde. L'intenzione era di fare adagio, ma la tazza tremò. Non dipendeva dall'età. Non era ancora un clien­te di cui si poteva essere completamente tran­quilli!

"E se in rappresentanza di tutti i vecchi che vengono qui a essere umiliati, per vendetta infrangessi il tabù di questa casa? Anche per la ra­gazza, non sarebbe qualcosa di più simile a un contatto umano? Chissà quant'è forte il sonnifero che le danno da bere, ma penso di avere ancora

abbastanza brutalità maschile da riuscire a sve­gliarla." Ma il cuore del vecchio Eguchi non si in­fiammò alla sfida di quel pensiero.

L'orribile disfacimento dei poveri vecchi che anelavano a quella casa fra qualche anno avrebbe assalito anche lui. L'incalcolabile estensione del sesso, la sua inconoscibile profondità fino a che punto, nei passati sessantasette anni, era stata da lui esplorata? E inoltre, intorno ai vecchi sbocciavano senza limite belle ragazze, corpi giovani, cor­pi freschi di donna. L'ardente desiderio di sogni irrealizzati dei poveri vecchi, il rimpianto dei gior­ni perduti, non era tutto racchiuso nei peccati di queìla casa dei segreti? Proprio le ragazze che con­tinuavano a dormire senza svegliarsi erano forse per i vecchi una libertà senza età, già Eguchi lo aveva pensato. Le ragazze addormentate che non parlavano, parlavano forse come piaceva ai vecchi.

Eguchi si alzò, apri la porta della camera accan­to e subito s'imbatté in un tepore profumato. Sor­rise. Chissà che cosa l'aveva tenuto incerto. La ragazza teneva entrambe le mani fuori dalla co­perta. Le unghie erano tinte di rosa. Il rossetto delle labbra era intenso. Giaceva supina.

« Dunque è esperta » mormorò Eguchi avvici­nandosi; per il caldo della coperta il colore del sangue le affluiva al viso. L'odore era penetrante. Le palpebre e le guance erano piene e ben dise­gnate. Il collo era bianco al punto da far riverbe­ro al rosso delle tende. Dal solo modo di teneregli occhi chiusi si sarebbe detta una giovane ma­liarda addormentata. Anche mentre Eguchi, allon­tanatosi e voltatosi di spalle, si cambiava, il caldo odore della ragazza lo avvolse. Ristagnava nella camera.

Il vecchio Eguchi sembrava non potesse conte­nersi come aveva fatto con la ragazza della volta precedente. Sia che dormisse o fosse sveglia, quella ragazza attirava naturalmente l'uomo. Al punto che se Eguchi avesse infranto il tabù, non si sa­rebbe potuto pensare ad altra causa se non a lei stessa. Come per gustare il piacere che sarebbe venuto dopo, Eguchi stette fermo a occhi chiusi, e ciò bastò perché avvertisse in sé un calore profondo, come fosse tornato giovane. La donna aveva detto la verità affermando che era migliore la ragazza di quella sera, ma al vecchio sembrò tanto più ambigua una locanda in cui si procuravano ragazze così. Sarebbe stato un vero peccato toc­carla; se ne stette come inebriato nel suo profu­mo. Eguchi non s'intendeva molto di profumi, ma era certo che quello fosse l'odore della ragazza stessa. Che felicità se in quello stesso istante fosse entrato in un dolce sonno! E lo desiderò intensamente. Si accostò pian piano. Quasi in risposta al suo gesto, la ragazza si voltò flessuosa, e tese le braccia come per stringere a sé Eguchi.

« Eh, sei sveglia? Sei sveglia? » e Eguchi si ri­trasse e scosse il mento della ragazza.

Forse perché Eguchi aveva messo forza nella

mano con cui la scuoteva, come per sfuggirgli la ragazza premette il viso sul guanciale, e così le labbra le si dischiusero e l'unghia dell'indice di lui andò a toccarle uno o due denti. Eguchi rimase fermo senza ritirare il dito. Anche la ragazza non mosse le labbra. Naturalmente non fingeva, era immersa nel sonno.

Non avendo minimamente previsto che la ra­gazza di quella sera fosse diversa dall'altra della volta precedente, Eguchi si era mostrato contra­riato con la donna della locanda, ma non c'era neanche bisogno di riflettere per capire che, costretta continuamente a dormire per mezzo di me­dicine, qualsiasi ragazza si sarebbe rovinata la salute. Anche l'indurre i vecchi come Eguchi alla "volubilità" sembrava per il bene delle ragazze stesse. Ma quella casa non accoglieva forse un solo cliente al piano superiore? Eguchi non sapeva come fosse sistemato il pianterreno, ma quand'an­che ci fosse stato dello spazio disponibile per i clienti, al massimo poteva trattarsi di una sola camera. Anche per questo, non sembrava che le ragazze tenute lì a dormire fossero molte. Chissà se erano tutte belle, pur nella loro diversità, come quella della prima notte di Eguchi e quella di adesso.

Il dente toccato da Eguchi sembrava leggermen­te bagnato di una sostanza che tendeva a incollar-si al dito. L'indice del vecchio esplorò l'intera chiostra della ragazza; andò su e giù per due vol­te. Verso la destra aveva un sopraddente, che Egu­chi strinse tra il pollice e l'indice. Provò poi a infilare le dita tra i denti, ma serrati anche nel sonno, non si aprirono. Quando Eguchi ritrasse le dita, vi era rimasta una traccia rossa. Con che avrebbe potuto togliere quel rossetto? A strofi­narle sul guanciale, si sarebbe semplicemente pen­sato a una traccia lasciata dalla ragazza mentre dormiva bocconi, ma non sembrava possibile togliere la macchia se prima di strofinare non avesse umettato le dita. Stranamente, a Eguchi ripugnava mettere la bocca sulla punta rossa delle dita. Le strofinò fra i capelli della ragazza. Mentre strofinava l'indice e il pollice, Eguchi finì col passare tutte e cinque le dita fra quei capelli. Arruffandoli, poco a poco s'infiammò. Le punte dei capelli della ragazza mandarono elettricità che si trasmise alle dita del vecchio. L'odore dei capelli si fece più forte. Anche per il calore della coperta elet­trica, il profumo della ragazza salì a lui più in­tenso. Scompigliando i capelli Eguchi ne vide, net­tamente delineata quasi come dipinta, l'attaccatura, soprattutto quella bassa, sulla nuca, dove i capelli erano corti, pettinati in su. Sulla fronte ricadevano in riccioli scomposti di diversa lunghez­za. Il vecchio sollevò quei capelli e contemplò le ciglia e le sopracciglia della ragazza. Con le dita dell'altra mano carezzava i capelli tanto intensamente da toccare il cuoio capelluto.

« Sta proprio dormendo » disse il vecchio Eguchi, scuotendo per i capelli la testa della ragazza; parve che lei muovesse le sopracciglia per il dolore, e si voltò bocconi: il suo corpo si avvicinò così al vecchio. La ragazza tirò fuori entrambe le brac­cia, appoggiò il destro sul guanciale e sul dorso della mano mise la guancia destra. Eguchi ne vedeva soltanto le dita: leggermente aperte, quanto bastava perché, con il mignolo sotto le ciglia, l'in­dice sfiorasse le labbra; il pollice era nascosto sotto il mento. Il rosso delle labbra e quello delle unghie si concentrava in un solo punto del guan­ciale bianchissimo. Anche il braccio sinistro, pie­gato al gomito, riposava in modo che il dorso della mano capitasse quasi sotto gli occhi di Eguchi. Relativamente alla pienezza florida delle guance, le dita delle mani erano lunghe e sottili e facevano pensare che tali fossero pure le gambe. Il vec­chio cercò con un piede le gambe della ragazza. Anche le dita della mano sinistra di lei erano aperte. Sul dorso di quella mano il vecchio Egu­chi appoggiò una guancia. A quel peso, la ragazza si contrasse, ma non aveva la forza di ritrarre la mano. II vecchio rimase per un poco fermo così. Le spalle della ragazza erano lievemente sollevate e rivelavano una piena e giovanile rotondità, che Eguchi avvolse delicatamente nel palmo della mano, mentre le tirava la coperta sulle spalle. Passò le labbra dal dorso della mano al braccio, attrat­to dal profumo della spalla della ragazza e della sua nuca. La ragazza ebbe un fremito lungo le spalle e la schiena, ma ben presto si rilassò, e il vecchio non staccò da lei le labbra. Eguchi doveva compiere su quella schiava costretta al sonno la vendetta dei vecchi che venendo in quella casa avevano patito vergogna e umiliazione. Doveva infrangere la regola della casa. Sapeva che non avrebbe più potuto tornarvi. Sperava di far aprire gli occhi alla ragazza con la sua brutalità. Ma di colpo si ritrasse, turbato dal segno evidente della sua verginità.

Gemette, allontanandosi: il respiro gli si fece affannoso e il palpito crebbe. Maggiore della ra­pidità con cui si era arrestato era stata la sorpre­sa. II vecchio chiuse gli occhi, si controllò. Più che per un giovane, la cosa fu per lui facile. Mentre accarezzava pian piano i capelli della ragazza, Eguchi riaprì gli occhi. Lei stava come prima, ri­versa: una prostituta vergine, e di quell'età! Perché non era diverso dalla prostituzione! Nonostante questi pensieri, passata la tempesta, il sen­timento del vecchio verso la ragazza, il sentimento verso se stesso erano cambiati, non tornarono a essere quelli di prima. Non aveva pentimento. Qualsiasi cosa avesse fatto alla ragazza dormien­te e ignara, sarebbe stata cosa da nulla. Ma che cosa l'aveva così all'improvviso sorpreso?

Tentato dal viso di maliarda della ragazza, Egu­chi si era spinto in un comportamento assurdo, ma ora sapeva che i vecchi frequentatori di quella casa, molto più di quanto lui non avesse pensato,

recavano come pesare bagaglio una misera gioia, una fame dolorosa, una profonda tristezza. Era forse, quello, un comodo trastullo per la vecchiaia, un facile ringiovanimento, ma nel suo fondo era celato ciò che, pur rimpianto, non ritornava, ciò che, per quanto si lottasse, non poteva essere re­stituito.

Che la ragazza "esperta" di quella sera fosse ancora vergine, era segno, più che di riguardo o di fedeltà all'impegno, di uno spaventoso decadlmento. La purezza delle ragazze rispecchiava in­versamente la bruttezza dei vecchi.

La ragazza sollevò sopra il capo la mano diste­sa sotto la guancia, che forse si era intorpidita, e per due o tre volte richiuse e distese lentamente le dita. Toccò la mano di Eguchi che le arruffava i capelli. Eguchi afferrò quelle dita: dita flessuo­se e appena fredde. Il vecchio esercitò una forte pressione, come per schiacciarle. La ragazza sollevò la spalla sinistra e si voltò a metà, sollevan­do così in aria il braccio sinistro, proteso come per abbracciare il collo di Eguchi. Ma privo di forza e morbido com'era, non avvolse in un abbraccio il collo di Eguchi. Vicinissimo e volto ver­so di lui, il viso addormentato della ragazza ap­parve allo sguardo spento di Eguchi come un in-certo biancore. Ma le sopracciglia folte e le ciglia che formavano un'ombra scurissima, la pienezza delle palpebre e delle guance, il collo lungo, confermarono in lui l'impressione prima, che la ragazza fosse una maliarda. I seni erano forse un po' cascanti, ma floridi e, per una ragazza giappo­nese, i capezzoli erano grandi e pieni. Il vecchio le sfiorò con la mano la colonna vertebrale e le gambe. Lo squilibrio fra la parte superiore e quella inferiore dipendeva forse dalla verginità.

Il vecchio Eguchi, con l'animo ormai placato, stette a contemplare il collo e il viso della ragaz­za. Alla sua carnagione non si addicevano i lievi riflessi rossi delle tende di velluto. Pur essendo il suo corpo oggetto di trastullo per i vecchi al punto che la donna della casa la definiva "esper­ta", la ragazza era vergine. Dipendeva dal decadimento dei vecchi e dal sonno prolungato in cui la tenevano, ma a Eguchi nacquero pensieri quasi paterni, e si chiese a quali vicissitudini sarebbe andata incontro in seguito quella giovane maliar­da. Segno che anche lui era ormai vecchio. Non c'era dubbio che la ragazza era là soltanto per de­naro. Ma era altrettanto certo che per i vecchi che pagavano quel denaro, giacere accanto a una ragazza così rappresentava una gioia senza pari. Poiché la ragazza non apriva mai gli occhi, i vec­chi non avvertivano nessun complesso d'inferio­rità per il proprio decadimento, veniva loro concessa illimitata libertà nelle fantasie e nei ricordi sessuali. Forse per questo non rimpiangevano di pagare ancor più che per una donna sveglia. E che le ragazze addormentate ignorassero tutto dei vec­chi contribuiva alla loro serenità. Ed essi pure ignoravano tutto delle ragazze, dalle loro condi­zioni di vita al loro carattere. Non potevano co­noscerne neppure gli abiti che avrebbero costitui­to un appiglio per intuire il resto. Per i vecchi non doveva trattarsi di un motivo così semplice come quello di evitare complicazioni. Era forse una strana luce nel fondo di fitte tenebre.

 


(Tratto dal romanzo La casa delle belle addormentate, Arnoldo Mondadori editrice, Milano, 1972. Traduzione di Mario Teti.)



Yasunari Kawabata è premio Nobel per la Letteratura del 1968.

 

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