UNA CONVIVENZA IMPOSSIBILE

– Un intervento al convegno “Rapporto tra scienza e fede”, La Jolla, California, 1996 –

Steven Weinberg





Come si vede dal fatto che in una bella giornata come quella di oggi noi siamo qui al chiuso a parlare dei rapporti tra scienza e religione, quel problema sussiste ancora. Negli Stati Uniti sono state le discussioni sulla teoria dell'evoluzione che lo hanno riportato in primo piano. Secondo un sondaggio effettuato dalla fondazione Pew1, il 62 per cento degli ame­ricani non crede che la specie umana si sia evoluta a partire da forme di vita precedenti. La cosa é venuta alla luce nel corso del gran dibattito politico che ha avuto luogo recentemente nel Kansas, nell'Ohio e in altri Stati americani.

Forse a causa del modo in cui questo problema è stato posto politicamente negli Stati Uniti, molte persone ritengono che il conflitto tra scienza e religione riguardi solo una malintesa lettura letterale della Bibbia, e pensano che si possa risolvere semplicemente riconoscendo campi d'azione diversi a scienza e religione. Anche Galileo espresse quest'idea, e la troviamo in una lettera a Cristina di Lorena in cui scrive: "l'intenzione" dello Spirito Santo è di spiegarci come si va nei cieli, non come vanno i cieli». In realtà Galileo in questo citava un cardinale della Chie­sa, il bibliotecario vaticano cardinal Borromeo.

Questa è dunque un'opinione antica: finché riconosciamo i magisteri di scienza e religione come separati, non c'è problema. Stephen J. Gould e Freeman Dyson, entrambi miei amici, hanno sostenuto proprio questo, e l'hanno espresso in modo semplice: la scienza si occupa dei fatti e la re­ligione dei valori. Fine della storia.

Molte persone religiose, specialmente nel mondo occidentale e nelle reli­gioni principali, sarebbero d'accordo. La fondazione Templeton è anzi pronta con un sacco di contanti a incoraggiare le persone che sostengono questo punto di vista2.

Ma io non penso che la cosa sia così facile. Penso che la tensione tra scienza e religione abbia radici più profonde che una discussione sul valore letterale della Bibbia. Penso che la religione e la scienza continueranno per qualche tempo ad avere effetti negativi l'una sull'altra.

È chiaro che il problema del valore letterale della Bibbia non è l'unico, anche perché è stato affrontato e risolto molte volte nel passato. C'è stato un tempo nella storia della Chiesa antica in cui alcuni Padri interpre­tavano dei versetti della Genesi e di altre parti della Bibbia come indicanti che la Terra fosse piatta e perciò respingevano la convinzione dei greci, che già esisteva, che fosse una sfera. Ma in realtà a loro non im­portava molto quale fosse la forma della Terra, e quando arrivò l'alto medioevo la forma sferica fu generalmente accettata tra i cristiani istrui­ti; infatti Dante trovò che il suo nucleo centrale fosse un posto molto conveniente per ammucchiarvi i peccatori. Questo che una volta era un problema serio oggi non lo è più, fino a divenire oggetto di scherzi. Il mio amico Adrian Melott, fisico all'Università del Kansas, ha formato una Società della Terra Piatta per esigere l'insegnamento della teoria della Terra piatta come alternativa alla teoria della Terra sferica nelle scuole pubbliche del Kansas, in modo che gli alunni abbiano l'opportunità di decidere da soli su questo problema scientifico (ovviamente come parodia del movimento del disegno intelligente).

Ma io penso che ci siano almeno quattro altre ragioni dietro il conflitto tra scienza e religione. Dovrei precisare che quando parlo di religione non mi riferisco ai comportamenti di osservanza o moralità, a una certa spiritualità rapsodica; non parlo di quella parte della religione che non ha un contenuto cognitivo, quella che Susan Sontag chiama pietà senza contenuto. Parlo invece della religione come sistema di credi, perché è lì che nasce il conflitto.

Anzitutto, storicamente la scienza ha declassato gli esseri umani facendo loro perdere il ruolo centrale che avevano nella creazione. A nessuno im­porta se la Terra è una sfera, ma a tutti sembra importare moltissimo che non sia più al centro dell'universo. Dopotutto questo è il palcoscenico del grande dramma cosmico di peccato e salvezza. Non dovrebbe essere al centro della scena? Naturalmente questo ha portato ai problemi che ebbe Galileo adottando la teoria di Copernico, problemi che sono durati fino al XIX secolo inoltrato in alcune università spagnole come quella di Salamanca. La teoria dell'evoluzione ne è un esempio del tutto ovvio: essa tratta gli esseri umani come una specie animale tra le altre, che si è svi­luppata attraverso millenni in cui si riproduceva e si nutriva fino a diven­tare ciò che è, e non come parte della realizzazione di un piano divino.

Via via che apprendiamo più cose sull'universo, la scienza vede sempre meno segni di un ruolo speciale per gli esseri umani, sia nelle leggi di na­tura in quanto tali sia nella storia dell'universo. Sparisce per l'uomo il ruolo immaginato dalla religione tradizionale. Prima c'è stata la scoper­ta che la Terra non è al centro del sistema solare, poi che il sistema solare non è al centro della creazione, ma solo uno dei tanti nella nostra ga­lassia, e poi si è dimostrato che la nostra galassia stessa non è unica. Quest'ultima scoperta risale soltanto agli anni Venti, quando divenne chiaro che l'universo ha miliardi di galassie che si estendono in tutte le direzioni, e solo in anni ancora più recenti, attraverso sviluppi nella teo­ria dei primissimi momenti dell'universo, in particolare la teoria dell'in­flazione caotica dovuta ad Andrei Linde, abbiamo raggiunto un quadro plausibile, direi, anche se non ancora ben consolidato. In questo quadro il nostro big bang, questo enorme firmamento di galassie in espansione in tutte le direzioni, sarebbe soltanto un episodio in un multiverso molto più vasto, nel quale dei big bang, o forse dovrei dire dei «bang» non così «big» stanno scoppiettando continuamente. E può darsi che in questo multiverso alcune delle cose che noi chiamiamo le costanti della natura mostrino variazioni da una parte all'altra. Ci sono state recentemente delle scoperte nella teoria delle stringhe che conferiscono una forte plausibilità a tutto ciò, anche se, devo dire, non difenderei ancora queste idee come scienza ben consolidata.

Bene, questa è dunque la prima cosa: la scienza declassa gli umani dal loro ruolo centrale. La seconda è che la scienza rende le spiegazioni reli­giose non necessarie. Una volta c'era una cosa chiamata teologia naturale, che cercava nel mondo osservabile le prove di un intervento divino, e in particolare si pensava che solo un tale intervento potesse spiegare le capacità meravigliose degli esseri umani. La formulazione classica di questa teoria è contenuta per esempio nel libro dell'arcivescovo William Paley del 1802 Teologia naturale, ossia le prove dell'esistenza e degli attributi della divinità. Mi è appena capitato di leggere una biografia del cardinale Manning3, che guidava la Chiesa cattolica romana in In­ghilterra, e che attribuiva a questa lettura la sua conversione alla fede cristiana. Bene, noi tutti sappiamo che quell'argomentazione è stata in­validata dalla teoria dell'evoluzione attraverso la selezione naturale di Darwin e Wallace. E ora, dopo il lavoro dei biologi evoluzionisti moder­ni, anche gli aspetti della vita umana che sembrano più spirituali, che più degli altri sembrano provare una creazione divina dell'anima, come il nostro amore reciproco, il senso di lealtà, onestà e carità, mostrano di avere – non so quanto largamente accettato questo sia, molti di voi ne sanno più di me a questo riguardo — ma mostrano di avere spiegazioni in termini di evoluzione, non pianificata e realizzata attraverso la selezione naturale.

Alcune persone trovano tutto questo molto difficile da digerire. Anche un eccellente scienziato come Francis Collins ha sostenuto che l'evolu­zione non potrebbe mai spiegare certi attributi umani speciali come la conoscenza della legge morale e la ricerca universale di Dio. Ma alcuni biologi evoluzionisti credono che lo farà.

Non possiamo provare che Dio non interviene mai, perché il mondo è un posto troppo complicato; ma sempre di più, col passare dei secoli, vedia­mo diminuire il bisogno di supporre un intervento divino. È la famosa opinione espressa dal marchese di Laplace a Napoleone, quando Lapla­ce spiegò il funzionamento del sistema solare secondo le leggi di Newton, e Napoleone chiese: «Qual è in tutto questo il posto di Dio?» e Laplace rispose: «Sire, non ho bisogno di quell'ipotesi».

In questo modo, attraverso i metodi ordinari delle scienze possiamo arri­vare a spiegare cose come il fatto che la Terra sia un posto così conforte­vole per l'uomo. Un mio collega dell'Università del Texas, una specie di consigliere spirituale, o comunque un consigliere di George Bush, Martin Alaskey, ha scritto un editoriale sul nostro giornale locale, nel quale spiegava che la meravigliosa convenienza del nostro pianeta per la vita era in qualche modo una prova di benevolenza divina. Naturalmente quella sarebbe una buona argomentazione se la Terra fosse l'unico pianeta nell'universo; ma con i miliardi di pianeti che ci sono è naturale che al­cuni si prestino a ospitare la vita, ed è soltanto su quel tipo di pianeti che vi sono persone che pongono domande al proposito. Allo stesso modo, se è proprio vero che le costanti di natura variano da un luogo all'altro nelle diverse parti del multiverso, questo quadro offre una spiegazione naturale del fatto che le leggi di natura si prestino all'apparizione della vita; in molte altre parti del multiverso è possibile che non lo siano. Il potere di questo tipo di ragionamento è stato riconosciuto in un articolo – tristemente famoso – del cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vien­na, apparso sul New York Times nel luglio 2005. L'articolo si conclude come segue: «Ora, all'inizio del XXI secolo, di fronte a posizioni scientifiche come il neodarwinismo e l'ipotesi del multiverso in cosmologia, inventate per evitare le travolgenti prove di finalità e progetto che si trovano nella scienza moderna, la Chiesa cattolica difenderà ancora la natura umana proclamando che il progetto interno evidente nella natura è reale. Le teorie scientifiche che cercano di eliminare la presenza visibile di un progetto spiegandola come il risultato di caso e necessità non sono per niente scientifiche, ma, come disse Giovanni Paolo Il, un'abdicazio­ne dell'intelligenza umana». Devo dire che ho trovato tutto ciò gratificante in una certa misura, perché noi fisici pensiamo che voi, biologi evoluzionisti, vi prendete tutto il divertimento in queste discussioni poli­tiche sul ruolo della scienza. Almeno adesso il cardinal Schönborn ha ammesso che anche il lavoro dei cosmologi può essere interessante.

Direi che, malgrado si sia all'interno della cristianità occidentale, c'è dell'avversità ad alcune idee scientifiche particolari, come mostra questa dichiarazione, tuttavia l'avversità non è contro l'idea della scienza in sé, ma solo contro alcune delle sue conclusioni. Penso che le cose siano invece diverse nel mondo dell'islam. E ciò è veramente tragico perché, come sappiamo, nel IX secolo l'islam guidava il mondo della scienza.

Vi è una famosa dichiarazione di Philip Hitti nel suo libro sugli arabi, in cui dice che i califfi al-Mamun e al-Rachid si occupavano di filosofia greca e di scienza al tempo in cui Carlo Magno e i suoi nobili faticavano a imparare l'arte di scrivere il proprio nome. Molti degli scienziati di questo grande periodo della storia della scienza islamica erano piuttosto non-religiosi; alcuni di loro, come al-Razi, erano anzi ostili alla religione; anche se altri, come al-Tusi e Avicenna le erano invece molto favorevoli. Ma si trattava di un quadro composito.

Poi, nel XII secolo, vi fu nel mondo islamico una reazione contro la scien­za; e non tanto contro qualche particolare conclusione scientifica quanto piuttosto contro l'idea stessa delle leggi di natura, perché si pensava che fossero altrettante catene imposte alle mani di Dio. Questa fu in particolare l'idea di un filosofo di grande influenza, Abu Hamid al-Ghazali, che scrisse un libro intitolato L'incoerenza dei filosofi nel quale Al-Ghazali respingeva l'idea stessa di leggi di natura. Spiegava, per esempio, che se voi mettete un pezzo di cotone sul fuoco e quello diventa nero e si trasforma in cenere, ciò non accade a causa del calore, ma perché Dio vuole che diventi nero e s'incenerisca. Ogni cosa è un'occasione speciale per il volere di Dio.

Che sia stato a causa dell'influenza di al-Ghazali o di qualunque altra cosa, come la depressione dovuta alle sconfitte militari in Spagna, la scienza islamica si fermò proprio verso la fine del XII secolo, e oggi ab­biamo i Fratelli musulmani in Egitto che chiedono la fine dell'insegnamento delle materie scientifiche. Io avevo un caro amico, oggi non più con noi, Abdus Salam4, un pachistano, anche se, come tutti gli scien­ziati di origine musulmana di mia conoscenza che compiono lavori signi­ficativi, era stato educato e lavorava in Occidente. Per molti anni tentò di spingere gli Stati ricchi del Golfo Persico a investire nelle università, e scoprì che erano molto aperti all'idea della tecnologia, ma cercavano di tenerla separata dalla scienza fondamentale, perché pensavano che quest'ultima avrebbe posto dei problemi alla loro fede religiosa. La mia im­pressione è che su questo probabilmente avevano ragione.

Ho menzionato tre aree di ostilità: le leggi di natura mettono catene alle mani di Dio, la scienza deruba gli uomini del loro ruolo centrale, e ancora offre spiegazioni alternative alle domande sul mondo. Ma ce n’è un'altra, forse l' area di conflitto più profonda tra scienza e religione, anche se non se ne parla molto spesso. Si tratta del metodo usato per avvicinarsi alla verità. La religione si affida fortemente all'autorità. Può essere quella di testi sacri, come nell'islam sunnita e nel cristianesimo protestante, o di testi assieme a leader religiosi ispirati divinamente a interpretarli, come nell'islam sciita e nel cattolicesimo romano. Noi non abbiamo niente di simile nel mondo della scienza. E voglio fare una distinzione chiara. Noi abbiamo degli eroi, e come scienziati abbiamo un enorme rispetto per loro; ma non sono autorità a cui ci rivolgiamo per la soluzione di problemi scientifici. Per esempio, nel mio campo Einstein è certamente il più grande eroe del XX secolo; ma nessuno oggi, nel discutere la teoria della gravità, risolverebbe la questione riferendosi agli articoli di Einstein del 1915 o 1916. Oggi è sottinteso che qualsiasi dottorando di ragionevole valore capisce la relatività generale meglio di quanto la capisse Einstein. Abbiamo appreso, abbiamo fatto progressi, ma nella scienza non abbia­mo profeti, abbiamo eroi ma non profeti. E io penso che ci sia un'altra differenza nell'approccio verso la verità: che noi nella scienza cerchiamo in ogni modo di respingere la tentazione di vedere le cose come ci piace­rebbe che fossero, mentre una grande parte del pensiero religioso sembra non fare nient'altro che quello: devo credere in un aldilà, per non far fronte all'idea che la mia vita debba terminare con la morte.

Una cosa però che la scienza non può fare, come non può farla la religio­ne, è giustificare se stessa. Come David Hume ha capito molto tempo fa, non si possono usare argomenti scientifici come giustificazione per la scienza stessa, perché si entrerebbe in un discorso circolare. Siamo di fronte a una scelta morale, tra i metodi per avvicinare la verità offerti dalla religione (riverenza per l'autorità, ricerca di cose o credi che ren­dano felici) e l'atteggiamento più austero, autonomo, teso verso la verità, proprio della scienza. Per me la scelta morale è chiara, ma è una scelta morale e non si può, mi sembra, discuterla razionalmente.

Allora come comportarci di fronte a questo conflitto? Ci sono quelli le cui idee sulla religione non sono molto diverse dalle mie, ma che comun­que pensano che noi dovremmo cercare di attutire il conflitto, fare dei compromessi. Per esempio, Stephen J. Gould e Larry Krauss5, pensano che sia importantissimo, mantenendo l'integrità dell'insegnamento scientifico, che noi cerchiamo di allearci con le religioni principali, le quali spesso non sono ostili di fronte, per esempio, all'insegnamento del darwinismo nelle scuole, e non inimicarcele parlando di scontri tra scienza e religione. Una volta un altro mio caro amico, Ed Wilson, ha proposto di arruolare le principali chiese religiose come alleate nella difesa dell'ambiente. Io rispetto i loro punti di vista, capisco le loro moti­vazioni e non le condanno, ma la cosa non mi va a genio. Per me il con­flitto tra scienza e religione è più importante di questi problemi di istru­zione scolastica o anche di ambientalismo.

Io credo che il mondo abbia bisogno di svegliarsi dal suo lungo incubo di fedi religiose. E qualsiasi cosa noi scienziati possiamo fare per indebolire la presa delle religioni dovremmo farlo e potrebbe alla fine rivelarsi come il nostro maggiore contributo alla civiltà.

 

Note:

1 – Nata nel 1948 e dotata di fondi cospicui, la Pew Foundation si propone lo scopo di “migliorare il governo del paese, informare il pubblico e stimolare la vita civica”. Ha sede a Philadelphia e a Washington.

2 – Nata nel 1987 allo scopo di difendere la conoscenza relativa alle “grandi domande” filosofiche, la fondazione Templeton è nota specialmente per il ricchissimo premio (1,5 milioni di dollari che offre ogni anno a studiosi che hanno saputo “espandere la percezione umana del divino” anche attraverso la scienza).

3- Henry Edward Manning, 1808-1892, pastore anglicano convertito al cattolicesimo nel 1851, fu arcivescovo di Westminster dal 1865.

4 – Fisico teorico nel 1926, insegnò a Latore, a Londra e, dal 1964 al 1993, al Centro internazionale di Fisica teorica di Trieste. Nel 1979 condivise il Nobel con Steven Weinberg e Sheldon Glashow.

5 – Lawrence M. Krauss, professore di Fisica e astronomia alla Case Western Riserve University di Cleveland, Ohio.



(Tratto da Micromega . Almanacco di scienze – Supplemento a Micromega n°3, 2008, Roma.)


Steven Weinberg:
Premio Nobel per la Fisica nel 1979, insegna Fisica alla Università del Texas a Austin. Noto anche per i suoi ottimi libri di divulgazione scientifica, è dichiaratamente ateo e sostenitore della pericolosità delle religioni. Tradotti in italiano I primi tre minuti (Mondadori, 1986), La scoperta delle particelle subatomiche (Zanichelli, 1986), La teoria quantistica dei campi (Zanichelli, 1998).

 

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