LA VIA VERSO IL BASSO


Franz Jung

 



L'autobiografia di Franz Jung è un monumento letterario rilevante sotto molti aspetti. Il critico Fritz Mierau ha definito Franz Jung "lo scrittore tedesco più complesso del ventesimo secolo". Sulla definizione si potrebbe discutere, ma è certo che Jung sia lo scrittore tedesco "più dimenticato" del suo tempo.

Tra i primi prosatori espressionisti a Monaco di Baviera, battistrada del dadaismo berlinese, rivoluzionario militante durante le sollevazioni tedesche del 1918-19, ricercato per pirateria e diseredato dal padre, anarchico in Unione sovietica e comunista nella Repubblica di Weimar, scrittore proletario (uno dei pochi a non limitarsi a scrivere dell'URSS, ma anche a lavorarvi a lungo), giornalista economico esperto di borsa e saggista visionario, attivo antifascista e condannato a morte dai nazisti a Budapest, drammaturgo nel "Proletarisches Theater" di Piscator, prigioniero di guerra a Bolzano e Livorno, pasticciere a Fregene, emigrato in America, morto a Parigi nell'indifferenza dell'opinione pubblica e sepolto a Stoccarda; la biografia di Franz Jung è unica ed esemplare per il ventesimo secolo non solo tedesco. Essa si distingue per un continuo andare a fondo e risalire, senza compatimenti e compromessi, solitario e coerente fino al naufragio. Come rilevano i suoi contemporanei, Jung statuisce un eccezionale esempio che non potrà mai assurgere a regola generale, ma nondimeno è in grado di stabilire nuove regole, inaugurare nuove possibilità. Il fascino che la sua opera emana è quello di un esistenza contro le regole, ma al medesimo tempo severamente, Karl Otten dirà francescanamente, regolata. In questo senso il titolo scelto per l'autobiografia è felice e congeniale.

Non stupisce che Jung sia praticamente sconosciuto in Italia (ma nel 1984 Karl Grübner portò sulle scene del Piccolo di Milano il dramma " Nostalgia " - tra gli interpreti, Raf Vallone) e anche in Germania, malgrado recenti riletture in ambito accademico, assolutamente trascurato: "Nessuno conosce le regole. Si sa solamente: il tipo che qui agisce non vanifica solo il suo successo, ma boicotta anche la sua gloria. Nessun successore. Nessuna scuola. Nessun ritorno. Gli accordi infranti, le attese deluse, i moventi nel buio", così Fritz Mierau apre la sua monografia " Das Verschwinden von Franz Jung " (La sparizione di Franz Jung). Al centro della poetica dello slesiano, secondo Mierau, sta la "lotta contro la paura di vivere", contro la proprietà, sia essa di natura materiale o anche solo psicologica: molti contemporanei ne ammiravano il genio e lo volevano alla loro testa, ma Jung rifiuta il ruolo con decisione, non vuole seguaci, bensì compagni; la delusione reciproca è inevitabile.

L'autobiografia viene suddivisa dal suo autore in tre sezioni: gli anni verdi, ovvero l'infanzia a Neisse e la giovinezza trascorsa principalmente tra Monaco e Berlino; in questo quadro è di particolare interesse la descrizione del circolo espressionista e del gruppo anarchico "Tat" che ruota intorno alle figure di Erich Mühsam e Gustav Landauer; gli anni rossi, ovvero la cronaca dell'impegno politico nel movimento operaio tedesco e poi in Unione sovietica con diverse mansioni organizzative nel quadro della costruzione dell'economia di stato; infine gli anni grigi, ovvero l'attività pubblicistica in ambito economico e letterario, la resistenza contro il nazismo e le peregrinazioni nell'Europa centrale e in Italia. Per inquadrare il suo tentativo autobiografico Jung cita il Nietsche di "Umano troppo umano" : così come i cattivi poeti cercano nella seconda parte della strofe una rima alla prima, così nella seconda parte della loro vita, assaliti dalla paura di vivere, gli uomini cercano una rima alla loro giovinezza. Jung non volle essere cattivo poeta: l'autore diventa nemico di se stesso.

Il senso profondo de "La via verso il basso" risiede nel tentativo dell'autore di sezionarsi. Jung non ha mai aspirato ad essere uno scrittore borghese, la sua autobiografia va oltre la riesumazione vanesia di eventi e persone trascorsi, il suo valore deriva principalmente dall'analisi impietosa delle relazioni: "io non scrivo a partire da un'idea, da una teoria o da una comunità, bensì solamente da dentro di me, per me e nel mio caso soprattutto contro di me". Non una compiaciuta e catartica rievocazione, ma una più travagliata autoaccusa. Con la comparsa dell'autore, la sua scomparsa.

Il leitmotiv dell'autobiografia potrebbe essere l'analisi del " Gemeinschaftsrausch " (l'ebbrezza comunitaria), secondo Jung il mal comune del Ventesimo secolo: nella massa, si fondi essa su un partito, un'ideologia, un movimento artistico o una setta religiosa, vengono generate forze che il singolo non può liberare da solo, e che gli consentono così di scardinare il tempo e lo spazio. La comunità si comprende sempre come avanguardia e aspira a generare un uomo nuovo, ma nel momento successivo l'ebbrezza si volatilizza, l'impotenza subentra all'onnipotenza, con effetti disastrosi che favoriscono l'ascesa delle dittature. Se si vuole, in questo senso un anti-Canetti.

Malgrado sia stata scritta in pochi mesi ," La via verso il basso " riflette anche nello stile la tensione esistenziale e intellettuale che ne informa la gestazione. In particolare, la lingua conserva a tutt'oggi un'evocativa intensità, accentuata dal suggestivo accostamento di temi eterogenei e disparati nell'argomentazione, caratteristico della prosa junghiana.

L'autobiografia di Franz Jung uscì nella Germania Federale nel 1961 e dovette fare i conti con il clima reazionario del dopoguerra, in cui il radicalismo delle avanguardie intellettuali e letterarie della repubblica di Weimar venne fatto oggetto di uno strisciante boicottaggio. In aggiunta, l'edizione risentì del clamore suscitato dai contemporanei "Il tamburo di latta" di Grass e "Il dottor Živago" di Pasternak. " Der Weg nach unten " è stato tradotto a suo tempo in francese, russo e inglese. I diritti sull'opera di Franz Jung sono in possesso dell'editore Nautilus di Amburgo, che ne ha curato l'edizione completa in dodici volumi.

Antonello Piana




Gli anni verdi

(...) "Sin dai primissimi anni di vita devo essere stato poco affabile, timoroso con chi mi dimostrava affetto e - come soleva lamentarsi mia madre - devo aver avuto una faccia cattiva. Io so soltanto che venivo constantemente allontanato, messo in disparte. Con tutto ciò non erano i rimproveri, le ammonizioni o i castighi occasionali a pesarmi particolarmente; essi mi angustiavano piuttosto quando avevo l'impressione che avvenissero senza giusta ragione - peraltro ciò sembrava accadere molto di frequente". (...)

I tre anni che dovetti ancora trascorrere a Neisse dopo la morte di mia sorella rappresentano un ammasso desolato di ricordi contraddistinti da un denominatore comune: il timor panico di restare solo, un'incapacità crescente ad adattarmi e muovermi secondo le regole, come facevano gli altri ogni giorno. La riluttanza ad aprirsi al prossimo, a parlare o addirittura a vedersi rivolgere la parola. Uno dei grossi errori che si possono commettere nella valutazione di simili comportamenti consiste nel leggervi i germi di una rivolta. Io invece vi vedo l'animale sfinito che si rintana e sbuffa di rabbia se qualcuno si avvicina. Forse per offrire aiuto?... In quest'espressione vengono contemplate troppe - e troppo contraddittorie - varianti del comportamento dell'uomo verso i suoi simili. (...)

Non aveva più senso per me restare ancora a Monaco. L'avventura di un'esistenza fuori dal consorzio sociale perde presto il suo fascino. Ebbe inizio così quel che avrebbe avuto fatali conseguenze per la mia carriera letteraria presente e futura: persi ogni interesse a sormontare le difficoltà che si presentano ad un giovane scrittore, a trarne degli insegnamenti in vista delle imprese future, ovvero a sfruttare a mio vantaggio un riconoscimento letterario negato dai preconcetti intellettuali di una certa classe sociale.

Per difendermi e provocare, o piuttosto, come la vedo oggi, trasportato da un caparbio disdegno, mi sono rivolto nuovamente al giornalismo economico. Questo passaggio da una all'altra disciplina si è compiuto ripetutamente nelle diverse fasi della mia esistenza, per il medesimo motivo, il medesimo scopo e con il medesimo esito negativo: credendo di riuscire ad alleviare la mia esistenza materiale, ad acquistare una maggiore indipendenza, precipitavo invece in un'inquietudine e un'instabilità ancora più profonde, che si imprimevano nella mia coscienza sotto forma di sensi di colpa. Da allora non sono più riuscito a liberarmi dal marchio d'infamia del letterato, sono ritornato sempre puntualmente alla letteratura, in condizioni sempre più precarie e con esiti sempre meno disciplinati e rifiniti. (...)

Se oggi la storia della letteratura definisce quegli anni e quella cerchia di sodali come l'Espressionismo tedesco, occorre subito aggiungere che quell'Espressionismo era una protesta contro la ristrettezza di vedute del Naturalismo e una sorta di antidoto all'avvento di un Neoromanticismo e di un epigonesco Neoclassicismo.

L'aspetto originale e caratteristico in quella combinazione di fattori così diversi fra loro era l'impulso a porre al centro l'Io contro le influenze ambientali, ovvero come difesa e assalto contro le forme sociali vigenti. Solo molto più tardi la storia della letteratura ha scoperto una linea comune nella lingua, vale a dire nelle forme di espressione e nel tono. Anche la lingua era ormai diventata troppo angusta, rigida, paralizzata, non più flessibile all'occorrenza. Nemmeno i poeti a quell'epoca ne erano consapevoli. È curioso come la lingua dell'Espressionismo abbia mantenuto intatta tutta la sua freschezza. Malgrado sia rimasta sepolta sotto le due guerre e le loro conseguenze, essa è rimasta così vivida - sia nell'espressione che nel tono -, che si potrebbe ricominciare in ogni momento a costruirvi sopra. Non si dovrebbe considerare quell'evoluzione dalla prospettiva ristretta nella quale si compiacciono oggi alcuni degli antichi fautori. La prospettiva è più ampia: l'Espressionismo era già parte di un movimento rivoluzionario di spiccato carattere politico e critico-sociale. (...)

(Traduzione di Antonello Piana)







Franz Jung


        Successivo       Copertina