LA MANNA

- Tratto dal libro Almeno cinque -

Erri De Luca





(.) Da nessuna parte è scritto che la divinità gusta o assaggia. Si manifesta esplicita nei quattro altri sensi, ma non risulta scritto il suo sapore. E' il più interno dei sensi e il più privato. Però è scritto: "Bocca verso bocca parlerò in lui (Numeri/Bemidbàr 12,8). Questo è il rapporto tra Iod e Mosè, così ravvicinato da farsi percepire fino al dettaglio di labbra che fanno rumore mentre pronunciano parole.

La bocca di Iod agisce più di venti volte in questo modo e con questa espressione. "Sopra tutto ciò che fa uscire bocca di Iod, vivrà l'Adàm" (Deuteronomio/Devarìm 8,3). Qui l'esperienza non è solo l'ascolto della voce divina, ma quella di una bocca che scandisce sillabe.

Però il sapore non è stato scritto. Bisogna ricavarlo estraendolo dalla scrittura. Bisogna prenderlo dalla manna, "frumento di cieli", "pane dei valorosi". Nell'atto di offrirlo in dote al popolo avviato nel deserto, il donatore precisa: "per mangiare". "E fece piovere sopra di loro manna per mangiare" (Salmi 78,24). E per cos'altro, se no? Era cibo e serviva per quello. Il donatore la sapeva più lunga: il cibo si può anche accaparrare, farne incetta, rivenderlo poi. Insomma se ne può fare mercato. Il donatore dice di no, serve solo per mangiare, e fa in modo che così sia.

La manna, maschile in ebraico, era fornita di un dispositivo di autodistruzione: se non consumata in giornata, marciva. Idea grandiosa del dispensatore: toglierla dal mercato, darle il solo valore di sostegno. Serviva a quell'uso quotidiano e a nessuno scambio.

L'indispensabile non è merce, questo insegna il dono della manna. In seconda battuta il donatore si preoccupa della quantità pro capite. La distribuzione è punto nevralgico del dono: a ciascuno secondo sua porzione fissa, niente di più o di meno. La distribuzione dev'essere stabilita su rigida uguaglianza. Nessuno può fondarci sopra un privilegio o un torto. Nessuno aveva motivo di guardare nel piatto del vicino stabilire una comparazione.

Ultimo accorgimento, strano: ne avanzava. Dopo la raccolta ne rimaneva al suolo un'eccedenza che si scioglieva al sole. Come mai? Si sbagliava sulle quote? No, faceva in modo che a nessuno capitasse di andare a raccogliere l'ultima porzione, che sempre somiglia a quella scartata dagli altri. Anche l'ultimo raccoglitore aveva diritto di scelta. Si impediva così la corsa per accaparrarsi la prima scelta, per scansare l'ultima. Quest'accortezza era bella quanto l'intero dono.

Alcuni botanici hanno voluto individuare l'origine vegetale della manna. Ma è opera buffa ridurre a fenomeno naturale le manifestazioni della divinità nel libro Esodo/Shmot. Le dieci piaghe inflitte all'Egitto, il roveto ardente, il guado a piede asciutto del Mar Rosso e tutto l'apparato grandioso di prodigi ammucchiati in quell'avventura: non si può andare col misurino del compatibile e del verificabile sui libri della scrittura sacra. Sono storie da accogliere come sono o da lasciare stare.

Più di ogni altro prodigio del libro Esodo/Shmot, la manna si distingue e sfugge alla classificazione. Gli altri potenti segni sono unici e singoli, invece quel nutrimento è provvista quotidiana che sfama le migliaia di centinaia, tutti i giorni, sabato escluso, per quaranta anni di seguito. Qui la supplenza razionale per ridurre a fenomeno di natura la manna, è opera buffa. Fu esperienza unica e di una generazione sola. La manna va assegnata al suo mittente.

Che gusto aveva? Di sfoglia o di focaccia in miele, dice il libro. Ma in un racconto del Talmud (Yoma, 75a) è scritto che aveva tutti i sapori che ognuno desiderava. Chi ne cercava il latte lo trovava, e chi preferiva il gusto di carne o di pesce, lo otteneva.

Così si comporta la manifestazione fisica di Iod, cambia ogni volta forme, dal dito al terremoto, perché in ogni porzione di creato c'è la sua intenzione. Ogni dettaglio del mondo porta la sua firma molteplice e illeggibile. Firmò i primi vestiti, l'abbigliamento in pelle della coppia nel giardino di Eden.

La manna è la pietanza più abbondante e gratuita servita a domicilio. Non smette di cadere intorno all'accampamento in viaggio, senza saltare nessuno dei giorni feriali. Neanche davanti al vitello d'oro, oltraggio insuperabile, la manna smette. Quel popolo esiste alle strette dipendenza del cielo. Va nel deserto sotto la guida di una nuvola incolonnata innanzi, che stende la sua ombra come un tappeto in terra. Di notte il viaggio si orienta grazie a una colonna di fuoco. Beve e abbevera il bestiame da fonti scaturite dai colpi sulla roccia di Mosè, riceve la proteina delle quaglie nel vento che le abbatte sopra l'accampamento.

La manna resta il più speciale scambio tra l'alto e il basso. Di sicuro il donatore l'avrà assaggiata, prima di servirla. Si può saperlo da un passo citato all'inizio. La sua stesura più ampia dice: "E ti ha afflitto e ti ha fatto avere fame e ti ha fatto mangiare la manna che non conoscevi e non conobbero i tuoi padri: per farti conoscere che non sopra il pane soltanto vivrà l'Adàm. Sopra tutto ciò che fa uscire bocca di Iod, vivrà l' Adàm" (Deuteronomio/Devarìm 8,3). La manna è uscita dalla bocca di Iod, anche quella.

Una preghiera ebraica di fine pasto ringrazia: "Perché abbiamo mangiato da ciò che è suo". La manna è più di questo è impastata del suo sapore.

Davide, sempre concreto, canta nel salmo (34,9): "Gustate e vedete che buono è Iod". Il verbo ebraico "taàm" presiede al sapore. Davide dice che buono è il gusto per chi mette in bocca la pietanza di Iod. Non si riferisce alla manna, che non ha conosciuto, ma alla scrittura e alla parola rivelata. La scrittura sacra è la manna per chi se la rigira in bocca. Non va letta solo con gli occhi, ma pronunciata e fatta uscire dalla bocca. Dunque chi la dice anche l'assaggia.

Le generazioni senza manna possono gustarla lo stesso rigirandosi nella bocca le sillabe sacre: "perché buono è Iod", buono di gusto.

Ai giorni nostri il cibo indispensabile è alla portata dell'umanità. Si può sfamare chi è senza. Ma il soccorso deve seguire le buone misure dell'antica fornitura della manna:

  1. estirpare dalla provvista l'accaparramento, il valore usuraio dello scambio. Il necessario va fornito tutti i giorni;
  2. suddividere in parti scrupolosamente uguali;
  3. che nessuno si senta l'ultimo della lista, col rischio di ricevere di meno o di scarto, evitando così resse allo sportello.

La manna ovvero il cibo indispensabile deve dare e non levare dignità al bisognoso. Il suo valore nutritivo deve bastare al giorno, ma il suo sapore, vario e appetitoso, sta nell'amor proprio illeso dei beneficati.



(Brano tratto dal libro Almeno cinque Erri De Luca e Gennaro Matino - Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano - Prima edizione in "Varia" Settembre 2008.)







Erri De Luca
(Napoli, 20 maggio 1950) è uno scrittore e traduttore italiano.





        Precedente            Copertina