LA SANTITÀ DI GENET

60 ANNI DEL "DIARIO DEL LADRO"

Juan Goytisolo

 



La prostituzione, il furto, la miseria e le umiliazioni facevano parte della quotidianità nel Barrio Chino di Barcellona, durante gli anni trenta, che Jean Genet raccontò in modo crudo nel Diario del ladro. Lo scrittore Juan Goytisolo, che conosceva bene l'autore francese, ripassa la potente influenza che ha avuto questa epoca nella sua opera posteriore.

 

1932. La Spagna a quel tempo era piena di vagabondi: i suoi mendicanti andavano di paese in paese, in Andalusia per il suo piacevole clima; in Catalogna, per la sua ricchezza, e tutta la nazione ci era favorevole. Sono stato così un pidocchio con la coscienza di esserlo. A Barcellona, frequentavamo soprattutto la strada Mediodía e quella del Carmen. A volte ci coricavamo in sei in un pagliericcio senza lenzuoli e, all'alba, andavamo a mendicare per i mercati. Uscivamo come una banda dal Barrio Chino e ci sparpagliavamo con un cestino sotto il braccio, dal momento che le donne di casa ci davano più volentieri un porro o una rapa piuttosto che dei centesimi. A mezzogiorno tornavamo e facevamo la zuppa con quello che avevamo raccattato. Quello che sto descrivendo sono le abitudini della tipica canaglia.

Caduto in basso, Genet deciderà di assumerla e convertirla in virtù suprema. La scala dei valori della società benpensante non sarà la sua ma la capovolgerà: il vile si trasformerà in nobile e il nobile in vile. Il processo di sovversione che sostiene essere iniziato nell'antico Barrio Chino barcellonese sarà lungo e pieno di avvenimenti, e si plasmerà nella seguente decada nelle sue prime opere poetiche e narrative scritte nel carcere parigino della Santé. Il giovane carcerato, misero e senza documenti si dedicherà al furto, la prostituzione e la mendicità nel suo anelare a raggiungere la durezza crudele del criminale con lo stesso compito di chi inizia un percorso di credenza mistica e un tortuoso cammino di perfezione spirituale.

I pidocchi, scrive nel Diario del ladro , erano il segno più visibile della loro mancanza di dignità, così rappresentativi della loro condizione di paria come i gioielli che adornano gli aristocratici e i borghesi del loro status di gente bella. Gli stracci e le piaghe amorosamente curati per attirare la commiserazione cambieranno la loro vergogna interiore in gloria. L'orgoglio necessario per affrontare lo sprezzo altrui, solido e resistente come la roccia che divide la corrente di un fiume, si legherà alla loro volontà di avvilimento: la loro patria sarà la massa, e lui il loro cronista e il loro cantore.

Le date di permanenza di Genet in Spagna non si possono stabilire con esattezza. Sebbene nel Diario del ladro, parli del 1932, la cosa certa è che, dopo essersi allontanato per la prima volta dall'esercito alla sua uscita dal riformatorio di Mettray ed essere destinato come "pretoriano coloniale" in Siria nel 1930, da dove fu rimpatriato l'anno seguente, firmò un nuovo contratto di allontanamento e fu inviato nel Settimo Reggimento delle truppe indigene di Meknés, nel quale rimase fino a gennaio 1933. Né la esaustiva biografia di Edmund White né la cronologia stabilita da Albert Dichy fissano chiaramente la durata della sua tappa spagnola. Probabilmente questa si estende dal novembre 1933 all'aprile 1934. L'unica prova documentata della stessa è la lettera diretta ad André Gide del 12-12- 1933 in cui, dopo aver dipinto la sua poco brillante situazione materiale ("sono senza un centesimo a Barcellona, il console è instabile, sono orfano e vagabondo di taverna in taverna"), chiede il suo aiuto e da come riferimento la Casella postale della città.

Dopo il suo iniziale attaccamento barcellonese all'antico Distrito Quinto, la carriera di ladruncolo di Genet continuerà, inizialmente nell'Europa Centrale e poi in Francia, fino alla pubblicazione delle sue prime opere, scritte nel carcere, alla metà degli anni quaranta. Un breve ripasso alle sue sentenze di condanna, riprodotte nel libro di Albert Dichy e Pascal Fouché (Jean Genet. Essai de Chronologie- tentativo di cronologia-), rivela che la sua seduzione giovanile per il crimine e la devozione per le sue professioni non lo portarono ad emulare le loro imprese se non in forma molto modesta. Insieme ai "delitti" di vagabondaggio, l'equivalente della nostra infame Legge dei Vaghi e Malviventi, mancanza di carta di identità o l'intento di viaggiare in treno con una carta militare falsificata, leggiamo: sottrazione fraudolenta di una dozzina di fazzoletti negli scaffali de La Samaritane ; uguale per gli autografi in una libreria di Rue Bonaparte; furto di una camicia di seta negli scaffali del Louvre; di uno scampolo di lenzuolo nel Bazar del municipio; di un portafoglio e una valigia, ecc..

La sua carriera fallita come ladro lo condusse, nonostante la sua condizione di grande scrittore a trasformarsi in questa bomba letteraria scoperta da Cocteau e la cui potenza sovversiva non tarderà nel commuovere Sartre.

"Dietro a El Paralelo si estendeva un parallelo in cui i marginati giocavano a carte (El Paralelo è una strada di Barcellona parallela alle celebri Ramblas. Tra queste vie, molto ampie, un labirinto di strade strette, oscure e sudice formano il Barrio Chino)".

Con queste parole, proprie della piccola guida per turisti, Genet ci introduce in quello che per lui sarà da lì in avanti il suo "territorio morale", quello del furto, prostituzione maschile, tradimento, umiliazioni, miseria, legato per sempre alla Spagna e alla sua iniziatica esperienza barcellonese. Il suo apprendistato nel male, nella mano sinistra del suo mentore, il monco Stilitano, sarà quello di un picaro di scarsa professione ed esiguo beneficio: furto nelle cassette per elemosine delle chiese, raggiri minori, domanda al consolato del proprio paese di un buono di rimpatrio fino alla frontiera con il corrispondente biglietto del treno che venderà subito nella stazione di Francia, prostituzione con marinai stranieri per un pugno di pesetas. Il suo atto più audace consisterà nel furto della mantellina di un carabiniere sui moli del porto. Dopo aver soddisfatto i desideri di quest'ultimo nella sua guardiola, approfitterà del momento in cui va a lavarsi nella pila di una fonte vicina per appropriarsi dell'indumento e fuggire avvolto in quello verso il suo rifugio nel Barrio Chino. La modesta impresa lo mette in risalto agli occhi del suo mentore, a cui confida la vendita del suo bottino come mostra della sua devota sottomissione. (Il carabiniere burlato andrà a cercarlo a La Criolla ma, avvertito del pericolo, Genet "prende El Paralelo" e sparisce per del tempo).

Al di fuori dei riformatori dove fu internato sin dalla sua adolescenza e le caserme in cui poi si arruolò, Genet troverà nella Spagna convulsa dell'epoca il luogo in cui svolgerà la sua avventura estetica e morale. Il Barrio Chino barcellonese, l'attuale Raval, era la tana ideale per le piaghe e i detriti della società. La "livrea della povertà" di cui parlavano ironicamente i nostri classici, è tutto questo, gli stracci, lo sporco e le espadrillas consunte fino alla trama, identificavano la fratellanza tra i mendicanti e i borseggiatori che si accampavano in esso. La galleria dei personaggi genetiani, arrangiatori, ruffiani, prostitute, accattoni, disertori, travestiti, si perdevano nella densità urbana circostante come colui che prima si avvicinava al sacro e non differisce molto della malavita sivigliana che conobbe Cervantes. L'aura sacra dell'esecrato Discrito Quinto guiderà Genet, come vedremo, per le strade della sua peculiare santità.

Il Genet ramblero e figlio spurio di El Paralelo si addentrerà nel territorio della perdizione deciso a trasformarsi in oggetto di sdegno e di vergogna, in una ricerca di raffinamento intimo che, in altre occasioni, ho paragonato con quella dei malfamati dell'Islam, che Ibn Arabi situava nella sfera più alta dei beati. Lui e i suoi confratelli della miseria splenderanno attraverso la Spagna , ci dice, "una magnificenza segreta, umile e senza arroganza". Il suo impegno si conterà nel "dare un senso sublime all'apparenza tanto Misera". La solitudine morale a cui aspira trasformerà il suo destino in una coscienza da cui sorge un'ombra luminosa e di perturbazione singolare. L'aspirazione al crimine condannato dalla società, associato al tradimento, acquisterà una durezza e un fulgore comparabile a quelli del diamante.

L'ammirazione di Genet per le pazze spagnole che frequentò a Barcellona e a Cadice è apparsa più di una volta nelle nostre conversazioni. Erano le più audaci e provocatrice dell'Europa, diceva, come reazione naturale al rifiuto che suscitavano. Assumevano l'obbrobrio dell'opinione pubblica con un rituale di travestimenti, gesti e voci che, a partire dall'isteria, raggiungevano la sublimazione.


Quando sono entrato per la prima volta nel Barrio Chino nel 1949, grazie ad un compagno di università affezionato come me ai libri ed esperto delle zone sconsigliate della città, La Criolla e i bar in cui si ritrovava la specie maledetta già non esistevano più. Nella rete di stradine che si estendeva dal Portal de la Santa Matrona alla strada del Carmen vi albergavano solo numerosi bordelli a cinque pesetas e la miseria regnante non doveva differire molto da quella che conobbe Genet. Il celebre bordello di Madame Petite, al quale forse si ispirò per comporre Querelle de Brest ("la feria" di Madame Lysiane), era l'ombra di se stesso e la progenie di quella mostrata in pubblico ( e apprezzata da alcuni in privato) nascondevano il loro trucco, ventagli, pettini e il tipo vestito andaluso agli occhi dei cittadini "decenti".

Una foto pubblicata recentemente nel EL PAIS , in cui due travestiti gironzolano per La Rambla , di notte, alla ricerca di un turista ubriaco per svaligiarlo, mi ha riportato alla memoria un passaggio del Diario del ladro in cui due "froci" molto composti, dai begli occhi e con ciglia lunghissime passeggiano per le vicinanze di un vespasiano (così si chiamavano in Francia i bagni pubblici, di forma circolare e metallica, impietosamente demoliti dal sindaco Chirac) con una scimmia ammaestrata sulle spalle. Al segnale di uno di loro, la scimmia salta con un balzo sul seduttore di apparenza più borghese e, approfittando della sua confusione, gli rubano il portafoglio.

La processione funebre di quelle anche chiamate Caroline (valenti precursori delle "puttane" parigine del Maggio del 68) l'ampliamento di uno dei vespasiani distrutti durante le sommosse cittadine del 1933 è uno dei momenti più belli del Diario del ladro:

Ero vicino al porto e alla caserma, e la calda urina di migliaia di soldati aveva corroso la lamiera di metallo. Nel constatare la loro morte definitiva, la Caroline con scialli, mantelle, vestiti di seta e giacchette accomodate accorsero verso di loro in una solenne delegazione per depositare un mazzo di fiori rossi annodato con un fascia di voile. Il corteo partì da El Paralelo, girò nella strada San Pablo, scese per La Rambla fino alla statua di Colombo. Erano le otto della mattina, il sole illuminava la scena. Le vidi passare e le accompagnai da lontano. Sapevo che il mio posto era nella comitiva: le loro voci ferite, le loro grida di dolore, i loro gesti esagerati, si proponevano attraverso lo spesso disprezzo del mondo. Le Caroline erano grandiose: le Figlie della Vergogna.

Arrivate al porto, girarono a destra in direzione della caserma, e sulla lamiera arrugginita e puzzolente del vespasiano pubblico, sulla suo rottame morto, depositarono i fiori.

Quale cineasta di genio filmerà la scena con la bella precisione di un Visconti e l'umore crudele di Fassbinder? L'eroismo tragicomico delle Caroline merita un ricordo e la sua inclusione nei breviari di una nuova forma di santità agli antipodi del monsignore Escrivá e quella del fondatore dei Legionari di Cristo Re. Genet si è sempre rimproverato, mi disse, la sua mancanza di coraggio. Rimase insieme alla moltitudine indulgente e ironica che accoglieva il proprio dolore invece di occupare il luogo onorario che gli corrispondeva.

Una delle pagine più belle del Diario del ladro è l'episodio del tubo di vasellina. Preso in una retata e condotto con altri sospettati al commissariato del distretto (immagino molto bene la scena, dal momento che il poeta Jaime Gil de Biedma ed io abbiamo passato la stessa sorte alla fine degli anni cinquanta del secolo passato, quando trascorrevamo le notti nel quartiere, all'incrocio di San Pau e Robadors), il poliziotto che perquisisce Genet gli toglie dalla tasca il lubrificante impiegato per la penetrazione anale (che anch'io ero abituato a portare dietro durante le mie prime incursioni a Barbés e alla Stazione Nord): un tubo già usato e la cui sola presenza nel luogo è prova tangibile della sua appartenenza alla banda dei "froci" (Genet impiega sempre la parola spagnola, cosciente della sua brutale carica peggiorativa):

"Nel bel mezzo degli oggetti eleganti tolti dalle tasche dei detenuti in questa retata, era il simbolo stesso dell'obbrobrio che si dissimula con la maggiore attenzione, ma anche il segno di una grazia segreta che mi avrebbe salvato subito dal disprezzo (.) Ero nella cella e sapevo che tutta la notte il mio tubo di vasellina sarebbe stato oggetto di scherzo, all'inverso di un'Adorazione Perpetua, di un gruppo di poliziotti (.). Nonostante mi animava la certezza di questo fragile e umile oggetto faceva loro resistenza e, per la sua semplice esistenza, avrebbe sconfitto tutte le polizie del mondo".

Invulnerabile all'insulto, penso al "I'm completed dead to decency" di T.E Lawrence, la comparazione della prova concreta del suo disonore con il Santissimo Sacramento permetterà a Genet di riabilitare ed elogiare la sua vita da indigente nel Barrio Chino, e poi il suo viaggio fino a Cadice e a San Fernando, mediante il ricorso ai termini più sacri e più nobili. La sua vittoria verbale lo porterà fino a benedire la miseria che gli suscita e gli ispira una nuova forma di perfezione morale:

Quanto maggiore sia la mia colpevolezza ai vostri occhi, interamente o totalmente assunta, maggiore sarà la mia libertà e più perfetta la mia solitudine e la mia unicità.

L'incontro con Stilitano, il disertore serbo della Legione Straniera Francese, segna un prima e un dopo nella vita di Genet e sarà il primo anello di una catena di seduzioni successive di criminali o gente di malavita, gli Harcamone, Bulkaen, Maurice Pilorge, ecc., da lui elevati all'altare dell'eccellenza e della gloria. I suoi primi furti nel Barrio Chino li dedicherà, ci dice, alla sua fermezza e alla mancanza di ferreo pudore, alla singolarità del suo braccio destro amputato, la cui mano si imputridisce sotto un castagno in qualche bosco dell'Europa Centrale. La forza irradiante di questo moncherino lo galvanizzerà con una calamita simile a quella che sperimenterà, quaranta anni dopo, dal sudanese Mubarak nei campi palestinesi, quando gli chiese di tenergli la sigaretta mentre si sbottonava e orinava tranquillamente accanto a lui: il timbro gutturale della sua voce in entrambi quella di un sesso in erezione.

Stilitano riunisce nella sua persona il rigore del soldato, l'avventuriero, il sicario, il malvivente. Sebbene ammetta l'intimità fisica con Genet, entrambi dormono nello stesso giaciglio in un alberguccio del Barrio, gli nega il sesso. Disprezza i "froci" ed esercita occasionalmente da ruffiano. Nonostante, per attrarre i froci e le prostitute, stringe un grappolo con grani di cellulosa e cotone all'interno della braga, di modo che sporga e la evidenziava per pura provocazione. Genet si incarica del compito, senza poter evitare il tremore delle mani di mettere il grappolo all'inizio e alla fine della giornata di accattonaggio e malavita. Un giorno, invece di lasciarlo sulla stufa, come abitudine non potetti ritirarmi dal tenerlo in mano e portarlo alle guancie. La faccia di Stilitano, sopra di me, si indurì.

"Lascialo, cornuto!"

Mi ero piegato per aprire le braghe, ma la furia di Stilitano, come se il mio fervore abituale non gli bastasse, mi fece cadere in ginocchio, nella posizione che mentalmente desiderava. Con i suoi due piedi e il suo unico pugno mi colpì. Avrei potuto fuggire invece rimasi lì.

La sua delazione posteriore alla polizia dell'amico comune ad entrambi, Pepe el Gitano, per il suo omicidio commesso nelle vicinanze di El Paralelo, non diminuirà la devozione di Genet nei suoi confronti: la investirà al contrario, ci dice, con gli attributi luminosi del tradimento.

I numerosi riferimenti di Genet a La Criolla , il cabaret dove si prostituiva per devozione a Stilitano, non menzionano la sua ubicazione nel Barrio Chino né includono una descrizione del locale.

Nights di Barcellona, pubblicato nel 1931, è, due anni prima del suo arrivo in Spagna, opera ripubblicata da Proa, con le illustrazioni di Oleguer Junyent e il prologo di Josep M. de Segarra dell'edizione originale, un assolvere la suddetta laguna e ci procura una valente informazione. Il suo autore, Josep M. Planes, collaboratore della mitica rivista Mirador e inesorabile nottambulo, fu assassinato il 24 agosto del 1936 nella Arrabassada da dei sicari fuori controllo della FAI a cui avevano affidato un reportage poco ameno alcune settimane prima dell'ammutinamento militare contro la Repubblica. Segarra abbozza un suo suggestivo ritratto e coincide con Planes nella sua acuta percezione della città durante il periodo che va dalla dittatura di primo de Rivera al 14 aprile. "Chi trae più profitto la notte a Barcellona sono i turisti, i ladri, i poeti, le prostitute la gente che non ha un centesimo e quella che ha soldi a palate".

La Criolla , scrive Planes, si trova in piena strada del Cid. Il quartiere luminoso che si affaccia verticalmente dalla facciata abbellita il povero paesaggio urbano con uno splendore rossiccio (.) immobili e persone condividono la stessa aria di miseria e non si può mai sapere se lo sporco delle pareti deriva dagli uomini e le donne che ci si appoggiano o viceversa (.) La plebaglia agglomerata nella via maestra e le prostitute e travestiti che si espongono sui marciapiedi fluttuano su questo sfondo vermiglio decorativo e stilizzato, come le illustrazioni che deve sognare Francis Carco per i suoi libri.

La strada del Cid (che ironia quella del nome del Campeador, mantenuta fino ad oggi in quella che ne rimane, tra El Paralelo e la starda di Les Drassanes!)a quel tempo era piena di sporco, soldati, prostitute, marinai, mendicanti. Qualsiasi individuo munito di coltello poteva tirarlo fuori in ogni momento e assaltare i passanti che gli si avvicinano. Il locale La Criolla , un'antica fabbrica tessile trasformata in cabaret, nasconde l'austero spoglio delle sue colonne con un'orrenda decorazione di palme con false foglie verdi, cocchi, scimmie e negri e un fumetto di Tarzan che gli conferisce un necessario splendore tropicale. Un'orchestra di tango occupa il palco, assordisce il cliente e contagia con la sua furia le coppie che ballano sulla pista.

(Genet evoca in Diario del ladro le musiche di "Ramona" ma non la voce di Irusta, in realtà del trio formato da quest'ultimo, Fugazot e Demane, menzionato da Planes, la cui musica da quartiere imperava gli anni prima della Guerra Civile. In un vecchio grammofono con la manovella con megafono esterno, ascoltai, durante la mia infanzia, la canzone citata da Genet, le cui parole mi tornano a mente, e i dischi a quel tempo di moda, del gruppo argentino, non so se epigono o antecessore di Gardel. La mia familiarità retrospettiva con La Criolla ne esce così rafforzata. Il suo repertorio musicale cullò le mie orecchie nella Barcellona "decente" dei Barrios Altos).

Nel tracciare la sua immagine del cabaret, Planes segnala l'esistenza, nel marciapiede davanti, del bar de Cal Sagristá, famoso, dice per i suoi "invertidos (travestiti)", la gente bene del periodo impiegava tale parolaccia: era assai lontana l'era dell'identità gay!, dove andavano ragazzi con labbra truccate e capelli lisciati con gel. Curiosamente, Genet non ne parla.

Attualmente, il rinnovato Carrer del Cid non evoca neppure lontanamente il sudiciume e la confusione di settanta anni fa. Quando il municipio di Barcellona dette il nome dello scrittore alla piazzetta o giardino dell'altro lato della strada di Les Dressanes, fui invitato a pronunciare un discorso nella cerimonia di intitolazione. Inutile dire che non accettai: temevo che Genet, arrabbiato, sarebbe resuscitato dalla sua tomba a Larache e mi avrebbe messo in imbarazzo con il peso dei suoi scherzi e dei suoi insulti. La sua percezione invertita dei termini dell'onore e del disonore è uguale alla mia. Preferisco tornare alla descrizione crudele con cui Planes chiude il capitolo del suo libro: la strada deserta all'alba dopo la chiusura de La Criolla , la luce livida, la visione goyesca di due vecchie orrende e dei cappelli di una due vigili.

I furti e le malvivenze di cui vivevano Genet e Stilitano non bastano a toglierli dalla miseria. Sebbene il futuro autore de Diario del ladro consegni al suo "protettore" le poche pesetas che guadagna o ruba nei pisciatoi pubblici, questo decide che deve prostituirsi a La Criolla. Lì il vestiario femminile viene imposto. Qualche amico spagnolo di Genet lo accompagnano o gli danno il nome di venditrici di indumenti femminili di seconda mano. Anche se "risulta molto difficile", scrive, "accedere alla luce attraverso il pus e le piaghe della vergogna", il padrone del cabaret esige che si esibisca "a signora". Togliendosi il rossore e trasformandolo in una specie di dardo diretto contro chi lo provoca, Genet, va a la Criolla è invitato, con un altro travestito, al tavolo di un gruppo di ufficiali francesi. La donna che li accompagna gli chiede con simulata indulgenza se gli piacciono gli uomini. Genet resiste all'impulso di schiaffeggiarla e, per vendicarsi, sottrae il portafoglio ad uno dei militari.

Una delle pagine più belle del Diario si svolge durante il Carnevale, periodo in cui è più facile travestirsi senza richiamare l'attenzione. Dopo aver rubato un vestito da andalusa e una camicetta, a cui aggiungerà il suo ventaglio e mantella, Genet attraversa il Barrio Chino per andare alla strada del Cid. Come ultima trincea di difesa, conserva il pantalone sotto la gonna. Ma appena arrivato al banco, la coda del suo vestito si scuce. Un giovane ha inciampato nel suo pizzo, per quanto gli chieda scusa e gli mostri che zoppica, la tragica attrice occulta nel suo interno ulula "Non si inciampa nella mia gonna!" con tale isteria che irrompe con la forza geyser la dura corteccia del mondo.

Umiliato, Genet esce dal locale in mezzo alle risate dei clienti e delle Caroline. Anche se nel rileggere il testo, il suo autore rettifica in una nota a piè di pagina che il fatto accadde a Cadice, dove si prostituì con vestiti da andalusa, il prestigio de La Criolla esce indenne dal lapsus. La teatralità della scena raggiunge questo punto in cui la viltà e l'orgoglio si confondono. La gonna, la camicetta, il ventaglio e la mantella buttati al mare compongono un cerimoniale purificatore dal quale il vagabondo ricoperto di obbrobrio tirerà fuori la forza necessaria per affrontare la crudeltà e l'ipocrisia della società benpensante: quella di ieri, quella di oggi e forse anche quella che verrà nei prossimi giorni.

Poco dopo questo avvenimento, Genet e Stilitano abbandonarono il loro alloggio barcellonese con un treno merci e cercarono un nuovo rifugio a Cadice.

"Sono nato a Parigi il 19 dicembre 1910. Pupillo dell'Assistenza Pubblica, non sono riuscito a conoscere niente di più del mio stato civile. Quando ho compiuto ventuno anni, ottenni un estratto di nascita. Mia madre si chiamava Gabrielle Genet. Mio padre è sconosciuto. Sono nato al numero 22 di Rue D'Assas".

Sebbene della maternità gli negarono ogni informazione sulle sue origini, l'immagine della madre nascosta appare di forma intermittente durante tutta la sua opera. Genet si attacca al suo cognome, quello di Genêt d'Espagne (ginestra) o riprende quello con cui salutò Cocteau la sua irruzione nella letteratura, per identificarsi con il mondo vegetale e considerare, dirà, che tutti i fiori sono della sua famiglia. Attraverso di questi, si paragonerà con le felci arborescenti delle paludi e sognerà con tali specie vegetali del pianeta Urano, che lo convertirà in un essere strisciante, come la marmaglia di El Paralelo, senza altra compagnia che quella dei detenuti della sua razza.

Ma questa dannazione letteraria non corrisponde in alcun modo con la sua futura ribellione contro l'ordine stabilito, tanto nel campo sociale e politico come quello artistico e morale. La madre assente sarà il punto di partenza del suo andare in una cartografia letteraria che culminerà nella sua opera maestra, Un prigioniero innamorato.

Nel Diario del ladro, Genet evoca l'immagine di una mendicante anziana, dalla faccia emaciata; smunta e rotonda come la luna, che le chiede una moneta. La sua figura umile e ipocrita lo induce a credere che sia appena uscita dal carcere. Una svampita, pensa, e immediatamente la associa, in un delirio effimero, con la donna che lo ha abbandonato nella culla:

E se fosse lei? Mi dissi mentre mi allontanavo dalla barbona. Se lo fosse la ricoprirei di fiori e di baci. Piangerei di tenerezza sui suoi occhi a pesce lesso, sulla sua faccia ottusa e sciocca.

La visione della madre del fedai Hamza, di cui fu ospite nel campo dei rifugiati palestinesi di Ibrid nel 1970, è molto più elaborata e complessa. La donna, più giovane di Genet, che lo accoglie nel letto del figlio, partito in missione nei Territori Occupati da Israele, e gli porta nell'oscurità, in punta di piedi, credendolo addormentato, una tazza di caffè, si trasforma come la Mater Dolorosa delle statue, nella madre simbolica dello scrittore, che lo veglia, come quella notte sacra, lungo la sua vita: una fantasia, ci dice, accarezzata sin dall'infanzia, quando lo scrittore aveva cinque anni.

La stampa di Hamza e sua madre, la sua e quella del guerrigliero palestinese, sovrapposta ricalcandola a quella della Pietà e del Crocifisso, si legherà successivamente con quella della Vergine portata in processione dalle Falangi maronite libanesi e con la Vergine Negra del monastero di Montserrat. "Dio, creatore del cielo e della terra, si dovette divertire molto a scolpire queste rocce rossastre e falliche", ci dice Genet, che assistette durante la sua vecchiaia, nell'abbazia , alla commemorazione religiosa della Pentecoste, con musica palestinese evocatrice della Palestina nella sua mente. L'abate, riferisce in Un prigioniero innamorato , bacia i fedeli e accetta il suo doppio osculo, ma non lo passa al suo vicino, come norma, per rompere la catena della confraternita.

Nella sua corrispondenza con me di quel periodo, sottratta da un cleptomane compulsivo, che ebbe comunque la delicatezza di lasciarne una fotocopia, durante la sua esibizione nella Giunta di Almería, descrive il suo viaggio nella Spagna del tardo franchismo, si burla dell'imborghesimento di Barcellona e riferisce un flirt con un gay che si definisce studente di sociologia, nelle gonne del Tibidabo. In questo periodo non è il delinquente che sognava essere quaranta anni prima ma lo scrittore volontariamente marginale che prima cerca nella Pantera Nera e poi nei fedayín la causa che lo allontana da una Francia e da un'Europa da cui ha preso le distanze per sempre.

Alla fine del Diario del ladro , Genet annuncia una seconda parte che non ha mai scritto. Si propone di farlo, dice, "raccontare, descrivere, commentare, i fasti del presidio intimo che ho ritrovato in me dopo aver attraversato questo spazio interiore che ho chiamato Spagna". Il suo desiderio giovanile di riempire il mondo con la sua progenie abominale cederà il passo, dopo la sua permanenza nei campi dei rifugiati palestinesi in Libano e in Giordania, ad un ritorno alla sua origine sconosciuta. "Questa ultima pagina del mio libro, scrive nel prigioniero innamorato , è trasparente". Trasparenza che lascia filtrare la luce: il suo cammino di perfezione morale attraverso luoghi impervi imprevedibili e per strade diverse da quelle di Juan de la Cruz e del derviche Sufì Mawlana, lo ha condotto ad una sovversiva e pagana forma di santità.



(Tratto da El País on-line, del 03 gennaio 2009. Traduzione di Samanta Catastini.)





Juan Goytisolo
(Barcellona, 6 gennaio 1931) è uno scrittore spagnolo.
L'autore più rappresentativo della nuova olà, cioè della corrente di romanzieri spagnoli di punta della nuova generazione, quella che ha preso coscienza di sé, del proprio mondo e della società spagnola negli anni Sessanta.
Nato a Barcellona, ha pubblicato il primo libro a 25 anni, a Parigi, dove ha risieduto per lunghi anni. La messa al bando dei suoi scritti, durante il regime franchista, lo ha indotto ad espatriare in Francia, dove ha approfondito il tema dell'immigrazione. Attualmente risiede tra Parigi e Marrakech.È considerato un profondo conoscitore della cultura musulmana. È stato anche corrispondente di guerra per El País in Cecenia e Bosnia. Il suo interesse per la varietà delle culture , alimentato anche dalla sua esperienza di scrittore itinerante, lo ha portato a sostenere la prospettiva di un'unità di valori tra le civiltà in conflitto.
Le opere di Goytisolo, centrate generalmente sul tema dell'infanzia e dell'adolescenza, sono state un duro atto di accusa al regime di Francisco Franco e alla classe dirigente spagnola.
Tra le opere più note sono da ricordare Juegos de manos, che mette in risalto il motivo della ribellione di un gruppo di giovani borghesi al conformismo della società che li circonda; Duelo en Paraìso, che descrive la guerra civile.
Tra i suoi titoli tradotti in italiano: Oltre il sipario (l'ancora del mediterraneo, 2004), un riesame, da parte del protagonista, della propria esistenza e un'amara riflessione sulle vicende umane, segnate da guerre e genocidi; Karl Marx Show (Cargo, 2005), una denuncia, in chiave ironica, degli orrori televisivi e una presa d'atto del fallimento del marxismo; "La Spagna e gli spagnoli" (Mesogea, 2005) graffiante e lucidissimo saggio che attacca le fondamenta su cui è stato costruito il mito di una nazione granitica lontana dai suoi ideali di diversità e convivenza pacifica.



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