VAI A CASA TUA


Karim Metref

 



Tadmait è una piccola località della Cabilia (1), una volta c'era un piccolo villaggio berbero in quel luogo, poi intorno alla metà del 1800 i francesi cacciarono i Cabili, si impossessarono delle bellissime terre della valle del Sebaou e costruirono una bella borgata coloniale battezzata Camp du Marechal (in onore del Marechal Randon, vincitore dell'ultimissima battaglia contro i Cabili). Mentre gli abitanti originari di Tadmait crepavano di fame sulle montagne attorno, i coloni di Camp-Du-Marechal se la spassavano. Le terre molto fertili della valle, l'acqua abbondante del fiume Sebaou e il sole d'Algeria facevano crescere quantità enormi di uva, buona per produrre il famoso vin d'Algerie, di grano, di agrumi e di frutta e verdura di tutti i generi. Si viveva bene a Camp-Du-Marechal. Gli abitanti erano tutti coloni francesi, spagnoli, italiani, svizzeri. fuggiti dall'estrema povertà in Europa alla ricerca di una vita migliore. E bisogna dire che l'avevano trovata.

Una domenica, la famiglia Benoit, come ogni domenica di sole, era seduta nel suo bellissimo giardino a pranzare. Erano appena tornati dalla messa tutti vestiti a festa e Fatma, la serva indigena, che in realtà si chiamava Tamaazuzt ma che i coloni avevano ribattezzato Fatma (così infatti chiamavano tutte le indigene per non dover ricordarsi di tutti questi nomi bizzarri), Fatma dunque, aveva preparato uno squisito pranzo: antipasti vari, arrosto di vitello con patate al forno, insalata, formaggi vari e torta alla frutta per dessert. Il tutto innaffiato da abbondante "Rouge de Kabylie", il vino prodotto dalla cantina sociale della valle.

Tutto andava per il meglio quella mattina, tranne una cosa: c'era un poveraccio, uno straccio d'uomo, uno di quegli affamati che popolano le colline vicine, che aveva osato inquinare la quieta domenica della tranquilla borgata. Non solo vagava per le strade chiedendo l'elemosina, ma all'ora di pranzo, quando non c'era più nessuno in giro per le strade, egli si avvicinò al recinto del giardino dei Benoit e rimase lì a guardare con occhi spalancati tutto quel ben di dio che si ritrovava sul tavolo. Loro fecero finta di niente e continuarono a chiacchierare allegramente, a brindare e a mangiare con buon appetito. Ma alla lunga non ce la fecero più. Infatti quel poveraccio insisteva proprio. Ora fissava ogni boccone che prendeva uno dei commensali e lo seguiva con lo sguardo finché non scompariva nella bocca. Poi tornava a fissare i piatti con una luce di avidità che gli accendeva gli occhi come fossero torce.

Alla fine il capo famiglia, esasperato: «Enfin! Ce n'est pas possible!!» si alzò e si avvicinò a quella specie di umanoide, chiedendo: "cosa vuoi? Cosa fai lì a guardarci in quel modo?" Il poveraccio non rispose e si accontentò di abbassare gli occhi in segno di inoffensività. "Vuoi fare come noi?" chiese Mr. Benoit, sempre più nervoso. L'uomo alzò gli occhi come per interrogarlo. "Vuoi mangiare arrosto, patate, torta e tutto quanto?" Allora lo sguardo del poveraccio si illuminò subito, uno splendido sorriso gli animò la faccia. Scosse la testa varie volte dall'alto in basso, come per dire "Sì, sì, sì. lo voglio!"

"E allora", gridò Mr. Benoit, alzando il braccio in direzione delle colline, "vai a casa tua!!"



(1)
Centro Nord dell'Algeria


(Tratto dalla raccolta "Tagliatto per l'esilio".)








Karim Metref



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