I FILI SPINATI VIRTUALI


Vittorio Zambardino

 



È una sentenza molto "mainstream", quella che oggi condanna i gestori di The Pirate Bay a varie pene detentive e a un forte risarcimento verso quelle Major dell'intrattenimento che avevano fatto richieste  anche più ingenti. E' una brutta sentenza: che si "incastra" bene con le intenzioni punitive del governo francese, di quello inglese, e di quello italiano. Ed è un errore.

A pochi minuti dalla decisione del tribunale di Stoccolma, la blogosfera comincia a commentare, ma ci vorrà del tempo prima che un'opinione prenda forma. Non è difficile prevedere che sarà negativa. Intanto ecco TechDirt che sostiene che quella è "un'occasione perduta per l'industria dell'intrattenimento". Vedremo cosa significa: intanto TechDirt in questi giorni sta riproponendo un tema importante: che la capacità delle macchine digitali e della rete di riprodurre e copiare indefinitamente hanno introdotto nella rete il concetto di "zero". Hanno cioè smontato in modo irreversibile il conseguimento del profitto sulle opere dell'ingegno.

Sembra di sognare, eppure questo dato, che è chiaro, elementare, percepibile a chiunque guardi oltre l'orizzonte della propria scrivania, non viene colto dall'establishment industriale e politico.

La creatività e l'industria - Per essere chiari e onesti fino in fondo, il male che affligge la musica e il cinema, è lo stesso, anche se i sintomi sono diversi, che ha preso i giornali e in parte la tv. La riproducibilità totale del contenuto punta a distruggere il modello produttivo che finora ha presieduto all'attività di quelle industrie. Che per il momento studiano solo reazioni giudiziarie e/o politiche, invece di dedicarsi a nuove stretegie commerciali. I loro responsabili profetizzano la morte delle creatività e delle professioni che quelle industrie reggono: fare il musicista, il regista, il giornalista. Che è una bella sovrapposizione: il mondo avrà sempre bisogno di chi suona, racconta e informa. Il punto è in quali forme, canali, supporti.

Non facciamola lunga - l'argomento sarà ripreso - ma vale davvero assai poco produrre informazione terroristica, come ha fatto l'industria cinematografica italiana in un rapporto diffuso ieri: bambini che non sanno disegnare, cinema che chiudono, film che non si fanno più. O come fanno i nostri politici, di maggioranza e qualche volta di opposizione, quando parlano di social network come luoghi di abominio, magari con la consulenza degli industriali del cinema seduti accanto a loro, preoccupati perché le loro fiction finiscono su YouTube - a pezzi, niente paura.

Il rischio vero di guardare indietro - Questa cattiva informazione produce un rischio politico gravissimo. Devono saperlo tutti coloro che danno qualche importanza alla parola libertà.

Perché per difendere l'industria del contenuto, si preparano fili spinati e pene assurde: querele per i blogger, cause per chi scarica un film, sospensioni della connessione internet. In Francia, dove sono meno ipocriti, si ipotizza che gli utenti internet debbano, in un futuro non lontano, navigare solo all'interno di liste note di siti e quindi "autorizzati". Noti all'autorità. In un articolo del nostro decreto sicurezza si conferisce al governo, cioè all'autorità politica, il diritto di decidere se una pagina viola le legge e chiudere magari tutto il sito. Cioè il governo decide cos'è reato in una manifestazione della libertà d'espressione.

Un piccolo passo grave - No non siamo noi che facciamo confusione fra argomenti: è proprio così, passare dal blocco del "pirata" ai controlli di massa e alla repressione della libertà di espressione, è un passo nella direzione più catastrofica. Un piccolo passo grave.

E' il potere - che da noi è particolarmente intrecciato e confuso tra industria e politica - che fa volutamente confusione.

La ricerca creativa del nuovo   - Allora via libera al "pirata"? Sono molte le cose che si potrebbero fare. Una rilfessione sui modelli di business ha portato Steve Jobs a creare con iTunes un meccanismo virtuoso di distribuzione della musica. Miliardi di brani venduti. Venduti.

Se non si fa il passo e non si riesce a capire che il "pirata" siamo moi, i nostri figli e che pirateria è il nuovo mercato, la nuova società, si rimane fermi al palo del delirio reazionario e repressivo. Bisogna inventare nuovi business, nuovi modi di vendere, nuove professioni. Perfino la repressione va ripensata per distinguere tra repressione del contrabbando e consumi personali.

Tanto non guarirete un'industria malata. Riuscirete solo a produrre una solida, diffusa, cultura autoritaria.


(Articolo tratto dal blog Scene Digitali, del giornalista Vittorio Zambardino.)





"Quattro giovani contro le major, ma la storia non si può fermare"
Un'intervista con Luca Neri, autore de La baia dei pirati, di Benedetta Perilli

Dopo la condanna ai responsabili di Pirate Bay, parla Luca Neri, giornalista, consulente informatico e autore del libro La baia dei pirati - Assalto al copyright, un'inchiesta edita da Cooper che racconta le ragioni tecniche, sociali, politiche della condivisione online.

Neri, quali saranno le conseguenze della condanna a Pirate Bay?
"Prima di tutto, non scompare il peer to peer. La condanna è puramente simbolica e non comporterà la chiusura definitiva del sito. Siamo solo al primo appello e prima che i responsabili vadano in galera dovrà ancora passare del tempo. Il problema è comunque un altro. Pirate Bay ha avviato già dal 2006, ovvero dal primo sequesto dei suoi server in Svezia, un sistema di server distribuito in giro per il mondo che rende tecnicamente abbastanza difficile la chiusura del sito. La sentenza di oggi sposta il dibattitto sul copyright nell'era del digitale da un piano giuridico a un piano simbolico. Può avere effetti sull'opinione pubblica europea ma non cancellerà il trend della tecnologia che va verso una circolazione sempre più facile delle informazioni tra individui. Credere di poter fermare così il fenomeno della condivisione, è come credere di poter fermare la storia".

Quattro giovani contro le major. Chi vincerà?
"A differenza di altri siti di file sharing come Napster o Kazaa, Pirate Bay non è a fini commerciali. Quelle erano imprese non tradizionali con aspirazioni economiche che sono state considerate dai giudici come illegali. Qui il fenomeno è diverso: Peter Sunde e i suoi tre amici hanno creato Pirate Bay non per soldi, ma per scatenare un dibattito internazionale. Non sono degli uomini di affari, ma dei militanti che per questa causa sono anche pronti a diventare dei martiri. Quella di oggi è solo una vittoria formale che le multinazionali dell'audivisivo europee cercavano in questo momento. Bisognerebbe invece riflettere sulle differenze che ci sono tra Europa e Stati Uniti: negli States non sono i siti ad essere condannati ma i singoli utenti che ne fanno utilizzo. In Europa si è voluto colpire un simbolo, non un servizio".

Quale ruolo sta avendo la rete nella riscrittura delle regole del copyright?
"Fino ad oggi l'enorme potenziale del digitale ha impaurito le major dell'audiovisivo che, da intermediari tra contenuti e pubblico, si sono visti fortemente ridimensionati. Sono nate così leggi sempre più draconiane per soffocare la circolazione dei contenuti. Le norme riguardanti il copyright e il file sharing andrebbero cambiate. I giovani lo sanno e sono loro gli elettori di domani. Quanto tempo impiegheranno i politici a capirlo, è ancora da vedere".





Vittorio Zambardino


        Precedente       Successivo       Copertina