SCRITTORI "STRANIERI" DI LETTERATURA ITALIANA

RIFLESSIONI ED EMOZIONI INTORNO ALL'USO DELLA LINGUA

Eugenia Mazza


Quando parliamo della lingua e dei nuovi scrittori "stranieri" di letteratura italiana, ci addentriamo in un territorio accidentato, dove la "parola" confonde, classifica e ingabbia una realtà ancora in divenire. La tentazione sarebbe quella di affrontare una problematica così complessa con argomentazioni ben definite, rischiando di causare l'insorgere di un senso di disagio da parte di chi si trovi ad essere oggetto di studio. Cautamente ci disponiamo a procedere, mantenendoci in equilibrio mentre percorriamo il filo delle nostre e delle loro parole.
Un tempo le lingue viaggiavano a bordo dei velieri sul mare, sulle gobbe dei cammelli nel deserto, a piedi attraverso foreste e città. Oggi spesso accade che confini, frontiere e fili spinati permettano che le lingue si diffondano ancora prima dell'arrivo degli uomini stessi, viaggiando sulle onde della TV, internet e fili del telefono.
Coloro che arrivando da diverse parti del pianeta abitano, lavorano, amano e scrivono in Italia, sono accomunati da un simile destino: fare i conti con le proprie origini.
Se consideriamo la lingua nel suo sdoppiarsi tra un luogo in cui si nasce e uno in cui si abita, allora per i nuovi scrittori italiani provenienti da paesi diversi, la sfida è senza precedenti e la questione linguistica risulta non priva di contraddizioni.
Sandra Ammendola autrice italo-argentina, nei suoi versi ritiene che emigrare sia come: "[…] far passare un'anima da un corpo all'altro ma , l'identità, la cultura, la libertà, l'assenza, con che mezzi si possono contenere […]" (1).
Al di là dei tentativi di conciliazione alcuni scrittori lasciano trasparire un senso di perdita nella loro condizione in mezzo due o più culture. Se consideriamo la lingua un tutt'uno con l'identità e la cultura, allora anch'essa subisce un travaso da un contenitore ad un altro, lasciandone uno "vuoto". Esiste dunque in questo travaso un pericolo di perdita della propria originaria cultura, lingua e quindi identità? Il quesito non può trovare una risposta definitiva che esprima il sentimento unisono dei nuovi scrittori
Attingendo direttamente alle parole dell'autore algerino Tahar Lamri:
" […] un progetto letterario in una lingua neutra è sempre un progetto emotivo […]"(2). Suscita interesse l'accostamento del termine "neutro" ad "emotivo". Trovo stimolante il contrasto terminologico e ritengo di condividere il ruolo importante che l'emotività ha all'interno di un tale progetto di scrittura . Tahar Lamri sceglie di scrivere in Italiano piuttosto che in francese perché : "[…]scrivere in italiano significa, per chi scrive, anche se ciò non corrisponde al vero, scriversi[…]" (3).
L'autore pone l'accento sull'elemento intimo della sua scrittura, l'italiano attraverso cui cerca di realizzare il suo progetto letterario è una lingua che non si rivolge ad un ampio pubblico, al medesimo tempo questa affermazione "non corrisponde al vero", in quanto l'autore coltiva in questo progetto i semi della speranza dell' aprirsi e diffondersi della sua scrittura.
Per Gezim Hajdari, poeta albanese, il sentimento di nostalgia e perdita si fa struggente e nei suoi versi scaturisce l'impossibilità di ricostruirsi una memoria lontano dalla propria terra. Il poeta scrive in due lingue, e questa modalità per lui rappresenta il riproporsi del viaggio simbolico da una lingua ad un'altra. Nelle sue antologie poetiche i suoi versi, scritti in lingua madre si accompagnano a quelli in italiano, forse a testimoniare che il distacco dalla propria lingua e cultura non può e non deve avvenire e che infine la scrittura unisce nonostante tutto.
Alcuni tra i nuovi scrittori italiani sembrano considerare il passaggio da una lingua ad un'altra non come una perdita, al contrario un interscambio tra contenitori comunicanti che si mescolano dando vita ad esempi di ibridismo linguistico e culturale.
Secondo lo scrittore iracheno Younis Tawfik, la lingua italiana è un ponte tra le culture.
"[…] Il mio italiano è una lingua a distanza, che uso come chiave per riappropriarmi della mia cultura, per ritornare con occhi più attenti nella mia terra di origine. Ma è anche l'opportunità di uno sguardo plurimo e ibrido, non locale, non tutto italiano, che può forse meglio illuminare le zone d'ombra che vorremmo rimuovere, ma che non conosciamo bene, e non possiamo capire. E' un aiutare a capire. In più, a livello personale, è lo stimolo ad un continuo confronto interiore: questo bilinguismo con cui convivo è lo spazio della mia crescita, dove reagiscono culture e mondi diversi […]" (4).
Lo spazio linguistico nella citazione di Tawfik, diventa teatro della conciliazione e dell'arricchimento delle culture. L'italiano sembra essere una lingua a "distanza" dunque non propria, questa estraneità è un valore e fonte di arricchimento che ha il potere di conferire una prospettiva distaccata con cui vedere se stessi e gli altri.
Tra coloro che dichiarano di non vivere il rapporto tra "prima lingua" e "lingua di adozione" su piani diversi, vi è lo scrittore brasiliano Julio Monteiro Martinis. Secondo lui esiste solo "una lingua viva, che ti ferisce e ti guarisce, ti colpisce, ti lenisce e ti fa sognare tutti i giorni. E' quella la tua lingua. La lingua che hai, in cui la tua vita interna ed esterna si svolge. Se si deve proprio numerare gerarchicamente le lingue di un uomo, allora quella sarebbe senz'altro la "prima". […] Io scrivo nella mia lingua, quella che ho" (5).
La lingua italiana o di "adozione" è la sua lingua perché è quella del suo presente, e appartiene alla realtà psicologica del momento in cui vive. In Monteiro sembra prevalere il desiderio di essere considerato uno scrittore che ha già fatto i conti con la propria memoria. La prima lingua non è per lui un concetto astratto ma rappresenta il canale su cui è sintonizzata la sua vita interna ed esterna.
Da questo breve viaggio sui pensieri e le opinioni di una piccola rappresentanza dei nuovi scrittori, mi sembra di poter azzardare l'ipotesi che lo spazio linguistico sia legato al sentimento psicologico che accompagna l'inserimento di uno scrittore straniero all'interno della cultura di adozione. Quanto più il processo di adattamento può dirsi riuscito, tanto più non troveremo scissione tra realtà interna ed esterna e tra lingua "prima" e di adozione.
A conclusione di questi spunti di riflessione si potrebbe dire che la questione linguistica in quanto così legata alla realtà emotiva, esistenziale e psicologica dei nuovi scrittori "stranieri" di letteratura italiana, sia una realtà in divenire aperta al cambiamento E' sul piano della scrittura che avviene a mio parere l'unione linguistica, quando fortificata dalle differenze e arricchita dalle contraddizioni, la lingua diviene semplicemente un codice che traduce l'anima.


NOTE

(1) Clementina Sandra Ammendola, "Per Fare Teoria", Mosaici d'Inchiostro, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 1996. 30-31)
(2) Tahar Lamri dal saggio "E della mia presenza; solo il mio silenzio. Una riflessione lunga cinque antologie." Parole oltre i Confini, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 1999, 22-28.
(3) idem
(4) Da un articolo di Eller Franca "Il debito di Tawfik con Dante, Intervista allo scrittore iracheno che scrive in Italiano, Bilinguismo come spazio dove convivono più mondi" L'Adige, http//www.provincia.tn.it7immigrazione7notizie7ladige
(5) Julio Monteiro Martins da un e-mail del 23/05/2002




Eugenia Mazza si è laureata in Lingue presso l'Università di Palermo. Ha conseguito un master in Letteratura Italiana presso l'Università americana di Madison nel Wisconsin. Attualmente è studentessa di dottorato ed assistente di lingua italiana presso la medesima Università americana . Il suo interesse di ricerca oltre la letteratura italiana contemporanea si orienta verso l'area degli studi africani e la nuova letteratura italiana dell'immigrazione.


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