IL CANE ALATO

Bozidar Stanisic


E andando in cielo, io riceverei, per forza di cose, le ali. Allora diventerei Pegaso. Il cavallo alato! Ci può essere qualcosa di più bello per un uomo?
Slawomir Mrozek, Voglio essere un cavallo.

"Quand'è stata l'ultima volta che hai pubblicato un libro?" mi ha chiesto mia moglie, proprio nel momento in cui, con il protagonista di un mio racconto incompiuto, stavo viaggiando sul tratto Salisburgo-Monaco. Eravamo in camion: l'autista, il suo cane e io (che nel racconto facevo l'autostop). L'autista era uno della ex Jugoslavia; un tempo, quando pensavamo che la guerra fosse un fenomeno che colpiva solo altra gente in un mondo distante dal nostro, era un professore di storia. Poi, grazie alla benedizione della storia, in un determinato tempo e un po' meno in un determinato spazio, era diventato disertore, profugo, e per di più anche traditore di un certo numero di patrie; e anche autista di camion, ciò che indubbiamente, senza quella benedizione, non sarebbe mai diventato. Stavamo proprio parlando della lunghezza e profondità del secolo più breve. Ogni volta che si nominava la parola storia, il suo cane, un apparente incrocio di tutte le razze possibili, si metteva ad abbaiare forte. (Avevo previsto che quel cane, a un certo punto, a un punto importante, avrebbe messo le ali e sarebbe volato via dalla cabina del camion! E che poi ci avrebbe spedito lettere da varie parti del mondo).
"Non… non mi ricordo", ho risposto, brontolando dentro di me per il ritorno alla realtà friulana di un piovoso pomeriggio autunnale alle finestre, al profumo del caffè che lei aveva lasciato sulla mia scrivania.
"Hmm…"
"Non mi ricordo…", ho detto seccato, perché all'improvviso avevo cominciato a perdere il paesaggio, la strada, l'autista, il cane, e me stesso. E anche perché lei aveva trasgredito al nostro accordo sui sabati senza argomenti spinosi.
"Cerca di ricordarti…"
"Mah… Penso … anni fa".
E ho detto un numero di una cifra.
"Questo non ti dice niente?"
"Cosa dovrebbe dirmi la distanza fra un certo ieri e un certo oggi?"
"Dovrebbe dirti molto!" ha ribattuto lei, con severità. "E la tiratura dei tuoi libri, in ex Jugoslavia e qui?"
Ho citato alcuni numeri di tre e di quattro cifre.
"Neanche questo ti dice niente?"
"Che cosa, perdio?", ho gridato e ho spento il computer.
"Ma tu capisci in quale tempo vivi?" mi ha detto lei, con calma, ammiccando ironicamente con un occhio.
"Perché devo capire e perché proprio adesso?"
"Allora, se lo capisci, possibilmente fin da oggi - e oggi siamo al ventotto ottobre del duemila - potremmo vivere dei tuoi libri! E allora potresti dire addio alla fabbrica, addio al tornio…" ha detto lei vivacemente, socchiudendo gli occhi, come se i sui desideri fossero già diventati realtà. "Già da tempo ormai sei un professore solo sulla carta o in qualche contesto di facciata, ma un vero scrittore potresti diventarlo… Con un po' più di intelligenza applicata, naturalmente!"
"E non sarebbe una cosa normale?" si è inserito all'improvviso nella conversazione nostro figlio, appassionandosi al tema della nostra polemica.
"Questa è un'utopia, caro mio!", ho scosso la testa poco convinto, e poi mi sono irritato con mio figlio. "E tu? Faresti meglio a sbrigarti e non far tardi al cinema! E visto che ci sei, potresti pensare ai tuoi problemi di quarta liceo!"
"Ma che utopia! Piano, piano… Si deve studiare tutto per bene… Organizzare tutto ben bene… Si deve… si deve… si deve…", si è messa a dire mia moglie, passeggiando su e giù per la stanza.
"Ma insomma! Si deve… che cosa?"
"Ssst! Adesso beviti il tuo caffè… Ssst!"
Fino a tarda notte ha riletto da cima a fondo tutti i miei racconti, le note di viaggio e le mie non poesie (così le chiamo, in barba alla poesia pura e ai poeti veri!), aggrottando le ciglia, esclamando a mezza voce, scrollando la testa, sottolineando con vari tratti di penna le pagine dei libri.
Di ritorno dal cinema, mio figlio ci ha raccontato di aver visto un film in cui il personaggio principale era uno scrittore di libri gialli.
"Non faceva altro che scrivere…"
"Ecco, vedi!", mi dicevano gli occhi di mia moglie.
La domenica è trascorsa tranquilla, stranamente tranquilla dopo i tempestosi, per me incomprensibili, dialoghi del sabato. Lunedì, quando sono tornato dal lavoro, il computer era già connesso con Internet. Martedì i dischetti con i miei lavori non ancora pubblicati erano già pronti per essere spediti per posta elettronica.
"Ecco… Guarda l'elenco degli editori … Scegline alcuni, per provare! Sarà meglio che iniziamo con un po' di editori importanti, con un po' di medi e con un po' dei più piccoli!" mi ha detto lei, con una voce che non le conoscevo, strana, da segretaria.
"Scegli tu…", ho fatto un cenno con la mano.
"Va bene …", ha detto lei con la stessa voce.
Mi hanno rattristato le nostre parole, le sfumature delle voci in quelle parole. Mi è venuta voglia di chiederle se si ricordava ancora di una canzone, a noi cara in gioventù:
Sul Danubio navigano i battelli,
forse uno si chiama Sanja?

Ma non ho detto neanche una parola.
Mercoledì sera in me si è messo di nuovo ad abbaiare quel cane. Sono ritornato al racconto incompiuto. Proprio quando stavo per continuare il dialogo con l'autista del camion, sulla serietà della letteratura e sulla profondità della sua ricezione in Europa orientale e occidentale, mia moglie ha dichiarato che voleva leggere ciò che avevo scritto.
"Ma come, non è chiaro?", ha gridato, con la fronte aggrottata. "Quello che scrivi potrebbe al massimo interessare qualche professore e qualche esaltato! La vostra conversazione sembra la trascrizione di un trattato filosofico! Fra gli altri tu citi anche Danilo Kis, convinto che la letteratura sia considerata più seriamente in Europa orientale, e ti aspetti che l'ex professore del tuo-ex-paese concordi con te!"
Mi sono arrabbiato e offeso: "E invece lui pensa che la letteratura sia considerata un modo più serio in Occidente… Io gli risponderò che l'esperienza di Kis è più profonda e più prolungata: aveva trascorso molti anni in Francia, più di quanti lui ne abbia trascorsi in Germania o io in Italia…"
"Bolle l'acqua della pasta!" risuona la voce di mio figlio dal corridoio.
"La verità brucia!", dice lei e va in cucina.
Il giorno dopo a casa ho trovato un mucchio di libri: La strada del successo, Come scrivere un romanzo interessante?, Scrivere ed essere famoso, Cento e un consigli per arrivare ai lettori, La verità del successo, Come diventare e rimanere uno scrittore letto
"Mi sembra che non ci siamo capiti", ha cominciato mia moglie. "Nessuno, as-so-lu-ta-men-te nessuno, ti impedisce di scrivere quello che vuoi… Esiste…"
"Esiste?", l'ho interrotta, con impazienza.
"Esiste la legge di mercato. Esiste l'iniziativa imprenditoriale! Occorre scrivere anche qualcos'altro… Di cui potresti vivere come autore… E anche noi, oltre a te…"
"Per esempio?"
"Qualcosa di avventuroso, qualcosa di amoroso, qualcosa di divertente, qualcosa di fantastico… Comunque, sappilo, il problema non sta nel fatto che adesso siamo in Italia. Ti direi lo stesso anche se fossimo in Bosnia. Il mondo si è rimpicciolito, si è unificato. Se conosci la strada giusta, non importa più dove ti trovi. Se sei sulla strada giusta molti ti conoscono e quello che fai può diventare una cosa molto importante. Sulla strada giusta i prodotti di un'attività ben scelta si vendono facilmente… sulla strada giusta…"
Ho sentito le prime ondate di emicrania.
"Quella strada, nel tuo racconto, da Salisburgo a Monaco, è tirata così per le lunghe che tutti i lettori si addormenteranno…", ha aggiunto lei, con una voce piena di dubbi.
"Forse!", ho gridato e ho continuato trionfante. "Ad un certo punto il cane avrà le ali e volerà via…"
"Fa lo stesso…", ha scosso la testa. "Con il cane alato o senza di lui voi due non arriverete mai al traguardo… Occorrerebbe che vi fermasse una banda di rapinatori che vi costringesse a portarli a… Fra i banditi c'è anche una ragazza, che, al primo sguardo, dovrebbe innamorarsi dell'autista del camion…"
Un'altra ondata di emicrania: sempre più forte, sempre più opaca.
"Perché non di me?", ho borbottato.
Lei ha stretto le labbra e ha sibilato: "Perché no? Se questo contribuisse all'interesse del racconto…"
"Beh, se vuoi saperlo, voglio proprio scrivere un racconto così!"
"Benissimo!" salta su lei. "Finalmente, dopo quei tuoi orsi bruni che passano le frontiere senza passaporto, quei cagnolini che abbaiano contro tutto il mondo, gli uccelli rimasti indietro dagli stormi in volo, i commenti ingenui sulla caduta del muro di Berlino, i profughi che non si separano dalla chiave di casa loro, gli strampalati che si chiedono perché esistono le guerre e a che servono gli armamenti, i missionari che, in cammino verso le Ande, accusano il ricco spensierato Occidente dell'impoverimento del Terzo Mondo, i pacifisti che vagano da un paese disgraziato all'altro, e così via - ecco un prodotto commerciale veramente utile: criminali, amore a prima vista, guida spericolata, emozioni…"
Quella notte, in sogno, un orso bruno dietro a un vero banco di tribunale, mi ha accusato di tradimento della letteratura, degli uccelli rimasti indietro in volo si sono lamentati che anch'io li avevo rifiutati, un mio personaggio mi ha gridato sul muso che ero sulla strada dell'idiozia. (Sarà meglio che non accenni a quello che mi ha detto il mio cane alato!)
Tuttavia…
Fra sabato e domenica ho finito un racconto secondo le indicazioni di mia moglie. Mi sono mosso con facilità, da Salisburgo a Monaco, e oltre, verso l'Olanda (la direzione l'avevano stabilita i rapinatori): l'autista era un cubano, per caso amico di Che Guevara; prima dell'attacco dei banditi, per caso, non parlavamo di politica ma di musica, di belle giovani cubane con un bel seno grande, e anche di belle e giovani ragazze della ex Jugoslavia con un seno non meno grande; dopo le pistole, puntate niente affatto per caso alla nostra testa, e dopo l'amore a prima vista di cui, volente o nolente, ero diventato l'oggetto, non è stato difficile svolgere il gomitolo del racconto…
Comunque, prima di spedire quel racconto ad alcuni editori, lei mi ha dato ascolto e ha aggiunto a quello uno dei miei racconti inutili, superflui, noiosi, e per di più non commerciali.
Anche se non speravamo in risposte celeri, queste hanno iniziato ad arrivare prima degli ultimi giorni del secondo millennio, inaspettatamente, nell'euforia dello stato d'animo prefestivo.
In totale: tre. Risultato: nessuna risposta positiva, ma neppure una definitivamente negativa. Le univano due elementi: l'interesse per racconti richiesti e attesi da un vasto pubblico e la cortesia nei rifiuti, unita a sinceri complimenti per il livello letterario, di quel secondo racconto.
Un editore, a proposito di quel secondo racconto, dopo i complimenti, esprimeva dubbi sulla facilità di ricezione da parte del pubblico; il secondo, dopo i complimenti, faceva un'osservazione sulla mancanza di scioltezza dell'azione; il terzo, dopo i complimenti, osservava che il mio racconto avrebbe potuto portare una certa dose di amarezza nella vita dei lettori.
"Facilità? Scioltezza? Amarezza?", ho ripetuto, come un sonnambulo.
"Vedi che avevo ragione?", è saltata su tutta trionfante mia moglie, ma ha subito sorriso con compatimento. "Tu naturalmente continua a scrivere anche quell'altro genere…"
Dato che mia moglie, nella sua offerta, aveva spiegato che il racconto d'avventura era solo un esempio di un ciclo di racconti dal tema analogo, uno degli editori, quello di mezzo, aveva chiesto, al più presto possibile, gli altri racconti, e inoltre un curriculum con la citazione dettagliata di tutti i premi letterari da me ottenuti.
"Di premi ce ne sono pochi… e tutti della ex Jugoslavia…", ho detto.
"E il Premio San Nicolò?", è venuto in mente a nostro figlio.
Quel premio è frutto di una trovata di certi miei amici abitanti nella frazione di San Nicolò, comune di Ruda, nel cuore della Bassa friulana. Dal novanatasei, ogni estate, nel cortile di questi amici, Rosa e Emilio, vengo insignito del premio per il racconto dell'anno scritto a Zugliano, in lingua serbo-croata. E, dato che io sono l'unico autore di racconti di Zugliano, in quella lingua…
"Anche quello è un premio", concorda subito mia moglie. "E ora al lavoro… Ecco la proposta, e tu scrivi…"
(Ah, dimenticavo: anche lei è uno dei premiati, ma per il suo caffè alla turca).
E' andata facilmente: a un racconto di spionaggio ha fatto seguito uno d'amore, e poi uno dell'orrore, e poi…
Ogni quattro, cinque ore - un racconto.
Mio figlio mi incoraggiava ricordandomi che l'intera fabula di Anna Karenina di Tolstoj si può raccontare nell'intervallo della coincidenza fra due treni, quella dell'Odissea nei dieci minuti prima della partenza del traghetto Trieste-Parenzo, i Promessi sposi manzoniani nell'attesa di un piatto di spaghetti in un ristorante di Udine dove si mangia bene e non si perde la speranza che gli spaghetti ordinati arrivino a tavola.
"Ma neppure questo dura all'infinito: venti minuti…"
Mi bastava ascoltare l'inizio del racconto, che era compito di mia moglie, e poi tutto procedeva con facilità, scioltezza, senza una briciola di amarezza: l'agente segreto Bud Bellow quel mattino moscovita si svegliò più presto del solito, ma, ad ogni buon conto, la prima cosa che fece fu di tastare il calcio del suo revolver sotto il cuscino; Melina lo aveva conosciuto per caso, alla vernice di una mostra di pittura nel Quartiere latino; era forte, alto, con folti capelli neri, un portamento elegante e un sorriso irresistibile; La pioggia incessante e il buio denso della notte costrinsero William Stone a fermarsi accanto a un motel; Mr Stone non si chiese come mai, il giorno prima, passando per quella stessa strada, nello stesso posto, non avesse notato quel motel…
Scrivevo, scrivevo, scrivevo.
Mia moglie e mio figlio rispondevano agli auguri per le Feste, accoglievano gli ospiti, spiegando a tutti che io avevo l'influenza e che non era bene che lasciassi il letto. Tutti mi compativano per l'influenza inesistente e i giorni di festa passati a letto.
E io scrivevo, scrivevo, scrivevo.
E mi stupivo di come fosse facile scrivere. Niente di più facile: basta avere un buon inizio…
"Forse mia moglie ha ragione? Lei sostiene che la maggior parte dei best-seller è un prodotto a più mani… Perché non dovrei crederle? Ha studiato per bene molti libri sulla scrittura di successo", ho pensato ad un certo punto, esaltato dalla facilità con cui realizzavo i racconti. In realtà, anche noi lavoravamo così - a sei mani: la sua idea era lo scheletro del racconto, la carne del racconto era mia, le correzioni dell'italiano era compito di nostro figlio.
Ma una cosa ha cominciato a darmi fastidio, ad avvolgermi tutto intero, lentamente ma inesorabilmente, come fin dalle prime sere invernali la nebbia comincia ad avvolgere il volto grinzoso dei campi friulani, tanto che sembra che il macinino-orologio del secolo più breve abbia rallentato i suoi meccanismi: ha cominciato a trapanarmi il pensiero che io non ero più io.
E anche un'altra cosa: che mi sentivo meglio al mio tornio, fra le limature di metallo, con il calibro nella tasca posteriore, con i tappi nelle orecchie. E ancor meglio quando, al ritorno dal lavoro, scrivevo quello che volevo, senza pensare all'effetto commerciale.
Quel cane (ancora senza ali) aveva smesso di abbaiare. Il suo padrone era ammutolito. E anch'io, l'autostoppista del racconto incompiuto. Quei silenzi, malgrado le libertà che mi venivano concesse in quanto scrittore casalingo che deve soddisfare anche le necessità commerciali per guadagnarsi il pane nostro quotidiano, mi erano caduti come piombo sugli occhi, le orecchie, le mani.
"Quando il mio libro sarà finito, posso almeno contare che sia pubblicato con uno pseudonimo?", è uscito da me quasi come un gemito, una sera, davanti a mia moglie. Naturalmente alle parole mio libro volevo aggiungere anche traditore, ma …
"Non te l'avevo detto?", si è stupita lei. "L'editore ha già scelto per te uno pseudonimo…"
"Già?"
"Ma sai… Il libro sarà tradotto anche in varie lingue dei paesi dell'Europa orientale… Probabilmente anche in tutti i nuovi paesi della ex Jugoslavia… Un nome anglosassone, dicono, là, a Est, fa una buona impressione…"
"Anglosassone?", mi sono stupito.
"Ma non è tutto… Leggi il suo messaggio in e-mail. Chiede se abbiamo delle proposte per aumentare le vendite…"
"Oh no! Non posso e non voglio!", sono esploso. "P., il mio amico di Verona, ha proprio ragione: molti editori, e con loro anche molti librai, sarebbero molto più onesti se invece dei libri producessero e vendessero mortadella!"
"Sei davvero impossibile! Parli così! Adesso, dopo questo brillante risultato? Dopo ore e ore di impegno da parte mia per studiare la problematica del successo d'autore! Dopo che ti è nota l'esperienza di molti scrittori oggi famosi, soprattutto in America, che si sono mantenuti grazie alla letteratura commerciale!", ha ribattuto lei, con una nota di rimprovero.
"Sciocchezze! Nient'altro!"
"Vuoi tornare indietro, sulla vecchia strada? Scrivere per un anno o due un libro di racconti, per poi offrirlo a vari editori, come hai fatto con Bon voyage, Il giardino australiano… A chi interessa il viaggio di un tale che in treno ascolta le risposte di un questionario? A chi importa l'immigrazione di un nostro compaesano in Australia? A chi interessa il fatto che lui cambia nome e vuole diventare un altro?", ha insistito cercando di convincermi.
"Non lo so, davvero non so a chi interessa… A qualcuno, di sicuro!", ho risposto, con una strana rassegnazione.
"Parli così? Adesso che il successo ci ha sorriso? Non puoi neppure immaginare che tiratura avrà la prima edizione!", mi rimprovera lei, aspramente. "Guardati le mani! Come sono diventate ruvide! E non fai altro che tossire! Vuoi mettere in pericolo la tua salute e tutto il nostro futuro?"
Mi sono guardato le mani: diceva la verità. E davvero non facevo altro che tossire. Ed era vera anche l'ultima affermazione, che ha aggiunto alla fine, che fra cinque anni ne avrò cinquanta sul groppone.
Non ho fatto in tempo a risponderle: ha suonato il telefono.
"Evaristo, sei tu! Che fortuna!", mi sono rallegrato alla voce dell'amico.
Ho sfogato nella cornetta tutta questa storia.
"Hm… Così…", interpolava lui, ogni tanto, imbarazzato da ciò che sentiva.
"E sai, amico mio, mentre scrivo mi sembra di avere su una spalla un angelo, sull'altra un diavoletto, come quelli che vede un personaggio di un dramma che ho visto molti anni fa in Bosnia. L'angelo tace e mi osserva, con biasimo, mentre il diavoletto mi sprona: Continua, non fermarti! Il tempo è denaro!", ho detto, alla fine del mio lamento e ho aggiunto, a mezza voce, il messaggio del mio cane alato.
"Hm…", ha detto ancora una volta. "E… Dici che, oltre a tutto il resto, ti chiedono anche come migliorare le vendite? Hm! Posso venire da te, stasera?"
No, non ho spedito nessuna proposta per aumentare le vendite dei miei racconti commerciali!
Evaristo! Lui porta sempre con sé una carica di ottimismo, non si arrende neppure davanti ai problemi più difficili. Gli dico talvolta che ha sbagliato professione: invece che il geometra, avrebbe dovuto fare lo psicologo o lo psichiatra. Ho anche una sua opera pittorica, il mio ritratto: sorrido, anche se il mio corpo è trafitto da una grande penna stilografica. Evaristo sostiene che l'artista è libero solo se segue la sua voce. Mentre dice così, la sua voce si fa seria, scende di un paio di ottave; i suoi capelli, folti, ricciuti come quelli di Hendrix - e ne ha, anche se è più vecchio di me, a sufficienza per entrambi - sembra che inizino ad avvolgersi in un gomitolo arruffato; gli occhi gli si colmano di sciami di faville; con le mani, come un direttore d'orchestra, dà il tempo a ogni parola e alle pause del discorso.
"Può e deve, in realtà, ascoltare gli altri intorno a sé, ma, quando crea, tutto è chiaro", dice lui.
Chiaro? Per lui, sì. Ma per me?
Evaristo. Solo un'ora prima del suo arrivo il campo davanti alla casa in cui abitiamo era sprofondato in una nebbia pesante e fangosa. Ma quando gli ho aperto la porta, le mie pupille sono state colpite dall'ondata di azzurro di un cielo chiaro, pervaso dello splendore sulfureo di una falce di luna e di una grande stella ammiccante. Dalle montagne in lontananza giungeva il profumo della neve, dolcemente umido.
Gli ho mostrato, malgrado la muta protesta di mia moglie, le lettere degli editori e gli ho dato da leggere uno dei miei racconti commerciali.
Su quel racconto, neppure una parola. Il mio buon Evaristo, pieno di riguardo! Ho colto solamente un suo sguardo, pieno di dubbio.
E le lettere? Non ha risparmiato le parole, tanto che poco di quanto ha detto potrebbe entrare in questo racconto.
"Dobbiamo pensare a una risposta per quegli editori che non lesinano i complimenti per i tuoi racconti non commerciali! Qualcosa di originale, mai sperimentato…", sussurra con voce misteriosa, degna del suo nome che, come lui stesso sostiene, sarebbe più adatta per qualche mago o stregone.
"Immagino già che questa sarà un'attività assolutamente inutile e non commerciale!", si ribella mia moglie. "Dopo tutto quello che abbiamo fatto, non permetto che spediate una lettera o un messaggio del genere a un editore con cui siamo in rapporti d'affari… Se non vuoi proporre niente per migliorare le vendite, va bene! E…"
"E?", Evaristo solleva le sopracciglia.
"E… Questo è tutto…", ribatte lei, e evidentemente arrabbiata ci lascia da soli.
"Così…", comincia Evaristo, si china sul tavolo, socchiude un occhio. "Così… La strategia si basa…"
Il mio ritratto con la penna stilografica che mi attraversa da parte a parte mi ha sorriso, alcune volte, furbescamente, chiaramente, come quella stella sopra il nostro Pianeta.
Eravamo già entrati nel terzo millennio quando ci è arrivata una risposta, l'unica.
"Eccoci!", fa Evaristo. "Senti questo: Ci dispiace…"
E fa una faccia seria: "Hai capito? Di nuovo gli dispiace!"
Poi continua a leggere: "…di non essere riusciti a capire del tutto la Sua proposta: per le parti ruvide, pesanti e amare dei Suoi racconti, Lei offre qualcosa di molto inconsueto! Cioè, per le parti ruvide, Lei propone, come supplemento ad ogni libro, un mini pacchetto di burro che il lettore dovrebbe spalmare sul pane o la fetta biscottata, e così facendo otterrebbe l'effetto opposto; per le parti pesanti, Lei propone che il lettore prenda in mano un peso da mezzo chilo o più, e poi lo posi subito, in modo da ottenere un'impressione di leggerezza; per l'amarezza lei ritiene che potrebbe essere utile un vasetto di miele. Pensiamo che la Sua proposta sia molto originale, anzi, anche molto simpatica, ma ci dispiace molto che, per problemi tecnici, non siamo in grado di accettarla. Speriamo di ricevere presto da lei delle nuove proposte, naturalmente di natura letteraria, ecc. ecc."
Evaristo ha smesso di leggere e mi ha guardato, con fare furbesco.
"Questo è tutto…", ho detto.
"Questo è tutto!", ha ripetuto, come un'eco, mia moglie. Intanto era rimasta all'improvviso senza idee per i miei racconti commerciali. Alcuni giorni prima, con mia grande sorpresa, mi aveva perfino detto di aver sottovalutato l'esperienza di Kis. E di non sapere proprio che cosa l'avesse spinta a mettere in moto il progetto di commercializzazione dei racconti. Mi ha stretto la mano, come un tempo, e mi ha guardato in modo assolutamente diverso da quel periodo.
E il libro di racconti non commerciali, i miei? Sarà pubblicato, naturalmente. Con il mio pseudonimo anglosassone, naturalmente. Con i contratti firmati non si può scherzare. Naturalmente.
"Dimenticheremo quel libro, come se non esistesse!", ha detto serenamente mia moglie.
Più o meno nello stesso periodo ha detto qualcosa di simile anche mio figlio. Anzi, non sapeva neppure lui perché lo avesse colto quell'euforia commerciale. "Strana, da non crederci!", ha detto, scrollando la testa. E' tornato di nuovo disponibile ai nostri esercizi stilistici: nei reparti di libri dei grandi magazzini apre i best seller, legge e confronta fra loro le prime frasi di alcuni titoli.
"Dov'è la differenza?"
"Nel prezzo di copertina!", dico io.
"No, non è tutto…", ha detto Evaristo, misteriosamente. Ha preso la sua borsa e ne ha estratto una cartella, a me già nota, di schizzi e disegni. Per alcuni minuti abbiamo osservato i suoi schizzi per uno dei miei libri, si sa, di racconti inediti.
"In qualche modo lo pubblicheremo, no?", ha detto Evaristo. "Se non altro almeno come samizdat per il Premio San Nicolò! L'estate tornerà, piena e matura… Non è stato Pavese a dire che la maturità è tutto?"
"L'estate… L'estate…", abbiamo ripetuto entrambi, all'unisono, dietro a lui.
A me e a mia moglie più di tutti è piaciuto lo schizzo in cui c'era un libro in confezione regalo, e attraverso il cellofan si vedevano i supplementi: un mini pacchetto di burro, un piccolo peso e un vasetto di miele. Naturalmente anche il titolo: Bon voyage. Il libro era sospeso fra l'azzurro del cielo e il verde trasparente di una pianura infinita. Un treno, appartenente ai tempi lontani delle locomotive a vapore, passava per la pianura, mentre un altro, la sua copia, al di sopra dei boccoli di nuvole biancastre. Fra i due treni volava un cane alato, l'incrocio di quel mio racconto incompiuto.
"Questo è tutto…", ha detto Evaristo.
"Questo è tutto…", abbiamo ripetuto dietro a lui, di nuovo all'unisono.
"E alla fine?", ci ha chiesto mia moglie.
"Alla fine…", comincia Evaristo, e poi ci chiede: "E vostro figlio?"
"Arrivo!"
"Alla fine… Mettiamoci a ridere, forte!", dice Evaristo e ci abbraccia.

Zugliano, gennaio 2001.

 




Bozidar Stanisic è nato a Visoko (Bosnia) nel 1956. Già professore di lettere a Maglaj, località a nord di Sarajevo, dal 1992 vive con la sua famiglia a Zugliano, in Friuli. Oltre ad offrire il suo attivo contributo letterario, pubblicistico ed educativo a diverse iniziative di pace e non violenza per i diritti civili dei rifugiati e degli stranieri, Bozidar Stanisic ha sempre collaborato alle inizative culturali dell'Associazione - Centro di accoglienza "E. Balducci", con cui ha pubblicato le raccolte poetiche Primavera a Zugliano ( 1994), Non-poesie (1995) e Metamorfosi di finestre(1998). Diverse di queste liriche sono state incluse nel Quaderno Balcanico I della collana Cittadini della poesia, diretta da Mia Lecomte (Loggia de' Lanzi, Firenze 1998) e in Conflitti - Poesie delle molte guerre, a cura di Idolina Landolfi, (Avagliano ed., 2001). In prosa, oltre a numerosi contributi letterari e saggistici in riviste e quotidiani, ha pubblicato la raccolta di racconti I buchi neri di Sarajevo (Trieste 1993), uno dei quali è stato inserito nel Dizionario di un paese che scompare, a cura di Nicole Janigro (Roma 1994); ed è presente con un racconto in Provincia pagana, Storie dell'estremo Nord-Est - un'antologia di fine millenio, a cura di Gianni Spizzo (Trieste 1999). Nel 2002 Associazione "E. Balducci" ha pubblicato i suoi Tre racconti. Oltre l'italiano alcuni dei suoi lavori sono tradotti in sloveno, francese e albanese.


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