ROMA

(FRAMMENTO)

Nikolaj Gogol'


Provate a guardare il fulmine allorché, squarciando nuvole nere come tizzi, erompe in insostenibile brivido, vera alluvione di luce. Tali son gli occhi d'Annunziata l'Albana. Tutto in lei rammenta i tempi antichi, quando il marmo s'animava e lo scalpello menava scintille. La spessa pece dei suoi capelli le si avvolge in duplice, pesante treccia intorno al capo, e in quattro lunghi boccoli le si spande sul collo. Comunque atteggi ella la splendente neve del suo viso, la sua immagine vi si imprime nel cuore. Si ponga di profilo, di portentosa alterezza sarà improntato quel profilo, puro di linea quale il pennello non ne creò mai. Vi volga la nuca, con sopra l'acconciatura di quei meravigliosi capelli, rivelando il collo abbagliante e le spalle che di simili non si videro mai sulla terra, anche così ella appare un miracolo. Ma la cosa più portentosa è quando ella guardi diritto nei vostri occhi coi suoi, ghiacciando e facendo mancare il cuore. La sua voce piena risuona come bronzo. Nessuna flessuosa pantera potrebbe a lei paragonarsi per prestezza, forza e fierezza di movimenti. Tutto è in lei un capolavoro della creazione, dalle spalle fino al classico piede fremente di vita, fino all'ultimo dituzzo di questo piede. Dovunque ella si mostri, è un quadro bell'e pronto: quando verso il crepuscolo s'affretta alla fonte colla sua anfora di rame sul capo, penetra tutto ciò che la circonda d'una meravigliosa armonia: più mollemente sfumano all'orizzonte i monti Albani, più profondo si fa l'azzurro del cielo di Roma, più diritti si slanciano nell'aria i cipressi, e i pini romani, queste piante regine delle campagne del Sud, più precisi e più puri si disegnano contro il cielo colla loro chioma ad ombrello che par quasi librarsi sull'aria. E ogni cosa: la fontana medesima, attorno a cui già s'affollano in mucchio, sui gradini di marmo, le paesane d'Albano, ciascuna più in alto di quella che a lei sta dietro, e chiacchierano colle loro voci acute e argentine, mentre l'acqua picchia a turno il suo getto diamantino e sonoro nelle sottoposte anfore di rame; la fontana medesima e la folla, tutto pare esserle votato, per mettere meglio in rilievo quella trionfante bellezza, perché si veda come essa regni su tutto sovrana, simile a una regina che si trae dietro la propria corte. Nei giorni di festa, quando l'ombrosa galleria boschiva che unisce Albano a Castel Gandolfo è tutta piena di gente vestita a festa, quando sotto le sue volte di verzura passano lampeggiando i minenti, i bellimbusti parati di velluti, colle loro cinture dai vivaci colori e il fiore dorato sul copricapo di piuma; e vagano o si buttano gli asini dagli occhi socchiusi, pittorescamente recanti sul dorso le formose e forti figlie d'Albano e di Frascati, le cui bianche acconciature si vedono splendere in lontananza, o trascinanti, punto pittorescamente, anzi con fatica e riluttanza, qualche allampanato, impresciuttito inglese col suo mackintosh impermeabile color pisello, colle gambe ripiegate ad angolo acuto per non impuntare il suolo, o un pittore in blusa colla cassetta di legno a tracolla e il debito pizzo alla Van Dick; mentre il sole e l'ombra s'avvicendano sull'intero gruppo; anche allora, anche in simili giorni di festa, dove ella è, tutto è di gran lunga più bello che dove non è. La profondità della galleria la fa risaltare, sul suo cupo sfondo, tutta fresca e splendente. Il panno purpureo della sua acconciatura locale avvampa come una lucertola battuta dal sole. Una portentosa aria di festa spira dal volto di lei incontro a tutti; e incontrandola, ciascuno si ferma come inchiodato al suolo: il minente bellimbusto col fiore sul cappello, che lascia sfuggire un'involontaria esclamazione; l'inglese dal mackintosh color pisello, con una espressione interrogativa sul viso immobile: il pittore col pizzo alla Van Dick, che più a lungo di tutti resta in tronco, pensando: questo sì sarebbe un meraviglioso modello per una Diana, per un'altera Giunone, per le Grazie tentatrici, e infine per tutte le creature femminile che mai furon fissate sulla tela! E presuntuosamente aggiunge fra sé, il pittore, che sarebbe il paradiso se un simile portento acconsentisse a ornare per sempre della propria presenza il suo umile studio!

 

(Tradotto da Tommaso Landolfi, in Racconti di Pietroburgo, Rizzoli editrice, Milano, 1941)






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