IL PROFESSORE DI DANZA

Augusto Boal

All'inizio dello scorso marzo sono andato a lavorare in un villaggio di dieci mila abitanti, Hebden Bridge, vicino a Manchester, nel centro dell'Inghilterra. Avevo già fatto "teatro dell'oppresso" con i ciechi a Rio de Janeiro, con sordomuti in Francia e con portatori di altri handicap in altre città del mondo. A Hebden Bridge ho lavorato con sordomuti, ciechi, malati di paralisi celebrale, sindromi di down, sclerosi multipla e depressione profonda, tutti facevano parte dello stesso gruppo formato da venti pazienti.
Come si sono riuniti e perché sono venuti da tutto il paese a lavorare con me? Ho conosciuto Susan Quick in un laboratorio teatrale che ho diretto a Nottingham, dodici anni fa. A lei sono piaciute tanto le mie tecniche teatrali che ha cominciato a diffonderle nei paesi dell'Africa in guerra, dove ha lavorato per sette anni. Ritornando al suo paese, lei, che tanti pericoli aveva affrontato, ha avuto un incidente con la sua macchina, facendo un testa coda a soltanto trenta metri dal cancello di casa sua; è caduta in un burrone, proprio in uno di quei giorni più bui dell'inverno dove la neve diventa facilmente ghiaccio. È rimasta semiparalitica.
Non ha desistito però dal teatro e ha cominciato a dirigere dei laboratori teatrali per persone che, come lei, erano portatrici di qualche infermità fisica o mentale. Non occorre dire che quello è stato uno dei lavori più difficili della mia vita; mai prima tutta la mia tensione e le mie cure sono state così concentrate in tutti e in ognuno dei miei allievi.
Tra di loro, due hanno attirato la mia attenzione con affetto particolare: lei si chiamava Lilian, una ragazza esile con meno di quarant'anni e di quaranta chili, aveva bisogno che il suo accompagnatore le amplificasse la voce, tanto debole era il suo corpo; seduta su una sedia a rotelle due o tre volte per sezione di lavoro si sdraiava su un materassino per riposare. Aveva perso i genitori a Johannesburg, quando una granata esplose dentro la sua casa, durante le guerre dell'Appartheid.
Lui si chiamava Alvin, viaggiava per due ore in treno tutti i giorni per lavorare insieme a noi; aveva una paralisi celebrale, non coordinava né le braccia né le gambe, non riusciva a dire nessuna parola, nemmeno una sillaba, produceva soltanto suoni che la sua accompagnatrice ci traduceva. Grazie al miracolo elettronico, comunicava con noi anche attraverso una sorta di computer magico, pieno di disegni generici che si aprivano in altri più specifici, e con una tastiera nella quale Alvin, con difficoltà riusciva a premere qualche tasto. Una volta formata la frase, il computer pronunciava quello che era scritto, con una voce metallica, impersonale. Quando il computer non bastava, l'accompagnatrice interpretava le espressioni fisionomiche di Alvin, i suoi occhi, le sue pupille.
Lilian e Alvin hanno partecipato a delle brevi piéce teatrali che ritrattavano il loro senso di oppressione e, senza timore entravano in scena sempre con l'intenzione di teatralizzare le proprie opinioni e i propri desideri. Ognuno nel suo ritmo, e non sempre riuscivamo a rispettare il ritmo di ciascuno.
Nell'ultimo giorno, nel momento dei saluti, ho domandato ad Alvin cosa faceva nelle sue giornate quotidiane senza i treni e le officine teatrali. Mi ha risposto che gli piaceva la musica, e che era un professore. Alvin sapeva leggere il mio volto, e ha letto la mia sorpresa: Professore di cosa?
- Sono professore di danza.
Sorpresa ancor più grande. La sua accompagnatrice è venuta in mio soccorso e ha tradotto i suoi pensieri: prima della sua malattia, Alvin era professore di danza e, come Susan, si era dedicato a quelli che, come lui, soffrivano per lo stesso male. Nelle sue lezioni, spiegava ai suoi allievi l'origine e le caratteristiche del tango, della rumba, del bolero e del samba. Poi ascoltavano il CD e, ognuno nella sua sedia, muovendo le braccia, la faccia, gli occhi, ballava in quel ritmo, e ognuno inventava la sua danza. Dopo tutto che cos'é la danza, se non il corpo che, innamorato, si
sposa con il ritmo? Chi nasce Fred Astaire può anche fare dei salti acrobatici; chi meno elastico è, balla nella sua sedia a rotelle. Tutto è danza. Siamo tutti ballerini anche la grassona della porta accanto.
Ancora emozionato, ho salutato Lilian. Lei disse che aveva imparato molto nel nostro laboratorio che, dal mio punto di vista, era stato anche troppo corporale per le circostanze. Le ho chiesto se ne aveva tratto vantaggio. Lei rispose che si sentiva felice e attraverso il suo accompagnatore, mi ringraziò:
- Ne ho avvantaggiato molto: tutti i giorni almeno due volte ho sorriso.
Lei sorrise. Ed io quasi piansi. Il sorriso, più che il riso e il pianto, è la forma più soave per dare ragione alla vita.




Augusto Boal, autore e regista teatrale brasiliano, creatore negli anni '60 del "Teatro dell'oppresso" oggi presente in tutto il mondo, compreso in diverse città italiane, è stato eletto rappresentante comunale per il "Partito dei Lavoratori", il PT, a Rio de Janeiro.


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