PER LA REINTRODUZIONE DELLA SCHIAVITÚ

Un esercizio di ironia


Franz Jung

 

Dal momento in cui, in seguito alla loro sconfitta nella guerra civile americana, gli Stati del Sud dovettero concedere ai puritani Stati del Nord l'abolizione della schiavitú, la discussione sulla necessità economica e sociale della medesima è scivolata su un piano piú che emozionale. Dopo La capanna dello zio Tom nessuno si azzarda piú ad occuparsi del problema della schiavitú, a parte qualche lettera di protesta della cosiddetta "Lega dei popoli", che si prefigge di sottrarre agli sceicchi arabi un po' dello spasso erotico con le loro rispettive schiave domestiche. (...)
A tutt'oggi la letteratura propagandistica per il mantenimento della schiavitú diffusa durante la guerra civile da parte degli Stati del Sud viene a torto dimenticata. L'uomo considerato come merce o come strumento di lavoro necessita di gran lunga di maggiori riguardi e premure dell'individuo libero ed emancipato, il quale è costretto a usare i gomiti nei confronti dei suoi simili in lotta per la sopravvivenza. Da quando per l'umanità non si pone piú la questione, o almeno non in modo incontestabile, di un dio personale in qualità di grosso imprenditore, il dovere del sostentamento dello schiavo viene slegato dal sopravvissuto senso di divinità dell'imprenditore privato, il quale ai tempi della schiavitú era ben lungi dall'essere cosí disumano come si tende a pensare oggi. Per contro, con la crescente depersonalizzazione dell'imprenditore scompare inevitabilmente anche la responsabilità derivante dalla proprietà. L'impersonale è nel senso piú lato anche l'immorale.
Appare perció piú che mai necessario analizzare se una tale impersonale dipendenza delle condizioni di lavoro e di esistenza non abbia effettivamente contribuito all'indegno stato di oppressione e sfruttamento dell'umanità, che diventa umanamente ancor piú indegno proprio perché non piú associabile alla responsabilità individuale della classe privilegiata.
A questa realtà sarebbe probabilmente preferibile la ormai mitica condizione della schiavitú. Gli uomini che sono invischiati oggi nelle piú diverse forme di lotta per la sopravvivenza, e la cui esistenza risulta completamente alienata, soccombono principalmente perché il loro valore viene misconosciuto e di conseguenza messo in dubbio, e soprattutto perché nessuno si assume piú l'iniziativa, sotto personale responsabilità, di valorizzare tali qualità. Anche le guerre non vengono piú dichiarate e praticate sotto la privata responsabilità del singolo.


Per il bellicismo

In virtú di ciò è di vitale importanza che la propaganda del pacifismo venga sostituita dall'istanza del bellicismo.
Per bellicismo non è da intendersi la guerra ad ogni costo, la guerra in se, sebbene sia fuor di dubbio che una simile pretesa potrebbe trovare anche oggi dei sostenitori, quanto piuttosto la preparazione della pace, ovvero quindi nemmeno la pace in se. Tra i preparativi per la pace appartiene la guerra poiché, se si deve credere ai professori tedeschi, la guerra deriva dalle conseguenze della pace. Il compito fondamentale del bellicismo consiste quindi nella fusione a sistema unitario, generalizzato e ideologico dei preparativi per la pace e delle conseguenze della guerra.
I tempi sono mutati. Per come si tramanda la storia viene insegnato a scuola che a dichiarare guerra generalmente sono i piú forti, ovvero che la guerra è espressione di una forza debordante, incanalata negli strumenti del vicendevole annientamento. La verità però è che solo i forti si augurano la pace, perché sono i soli in grado di mantenerla.
In guerra viene elevata a sistema la debolezza dell'organismo umano e dell'ordine sociale.
In termini bellicistici, se i deboli si distruggono a vicenda, allora la macchina da guerra funziona a favore della pace. Sarebbe quindi forse di qualche vantaggio in questo momento non occuparsi troppo del concetto di pace.


Per brioches e caviale.

Le parole d'ordine pacifiste partorite dagli umori delle rivolte per annebbiare le rivoluzioni rivendicano Libertà e Pane, le istanze belliciste per contro Brioches e Caviale. Non bisognerebbe proprio oggi dimenticare che queste ultime rivendicazioni rispecchiano fedelmente l'ideale socialista: benessere per tutti. Perché improvvisamente non si vuol piú tener conto che l'arricchimento dell'esistenza e la giusta suddivisione dei beni ha per conseguenza una crescita del benessere e della generale felicità, per i quali finora è valsa la pena di vivere, o, in senso bellicistico, di combattere e morire?
Lo sfruttamento della materia per soddisfare il benessere generale produce quel determinato grado di cultura e forma di vita umana, che consentirebbero nuovamente a singole persone o gruppi il lusso di assumersi la responsabilità personale per quegli individui da loro dipendenti. Il tempo si è un po' voltato indietro e diviene comprensibile solo se le cosiddette premesse sociali gli vanno dietro. La guerra pacifista crea le differenze di classe, nozione base del bellicismo, mentre la guerra bellicista, la guerra senza obbiettivi o tendenze, la guerra a qualunque prezzo riedifica gli uomini.


(1932)

(traduzione di Antonello Piana)






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