

Intervento
guidato da Sandra
Clementina Ammendola
Migrazione
e scrittura femminile.
Parto da un verso di
Pessoa che afferma che "il poeta è un fingitore". Leggendo
le scrittrici latino- americane mi rendo conto che certi libri si fingono
romanzi o racconti essendo, in realtà, storie narrabili contenute
in un corpo, in un vissuto e in una voce (e dunque solo in seguito diventano
narrazione). Dove ci porta questo vissuto? Lontano, tra le orme di una
storia che non è nuova ma è diversa: una storia fatta di
memorie, di valige e di ritorni che meritano di essere raccontati.
Ancora Pessoa affermava che "fingere è conoscersi". Scrivere
storie permette dunque di conoscere realtà nuove, vissuti che sono
personali. Si tratta di realtà in cui l'emigrato, come soggetto,
si trova in un repentino e improvviso mutamento di posizioni, si trova
davanti ad un punto di arrivo che è allo stesso tempo un nuovo
punto di partenza. Questo distacco dal luogo di origine è un brusco
allontanamento dal vissuto quotidiano necessario per rimpiazzare le proprie
conoscenze con nuovi codici di riferimento. Lo sappiamo tutti però
mi sembrava utile rinfrescare queste idee.
Questi nuovi codici di riferimento sono funzionali all'inserimento nel
contesto di arrivo, spesso ridotto al contesto lavorativo. Ripercorrendo
una breve e superficiale traccia del profilo storico dell'immigrazione,
possiamo notare che alla seconda metà degli anni '70 i flussi migratori
sono stati impersonati soprattutto da donne provenienti dalle Filippine,
da Capo Verde, o dall'Eritrea, che si sono inserite nell'ambito del lavoro
domestico o nel settore dell'assistenza: uno spazio chiuso, con poche
possibilità di incontro e di scambio. Ed è uno spazio del
dolore
Dall'America Latina arrivano prima le esuli politiche poi
anche le esuli economiche. Vorrei soffermarmi sul fatto che negli ultimi
anni, le politiche di emigrazione e i progetti di intervento sono spesso
limitati alle urgenze: lo spazio e il tempo dedicati allo straniero sono
quasi sempre di emergenza: pensiamo agli alloggi in cui spesso dormono
di inverno
un problema che viene preso in considerazione solo verso
Novembre
e poi anche i tempi giuridici si misurano con una normativa
di emergenza e si fanno delle sanatorie in tempo record. Lunedì
quando ho sentito che sarebbe partito in Calabria un progetto per "La
dimora del migrante" mi sono quasi commossa perché si tratta
finalmente di uno spazio voluto, progettato, pubblico e riconosciuto.
In maniera invisibile e silenziosa le donne immigrate hanno intrapreso
giorno dopo giorno un percorso che credo ambiguo, ma di una ambiguità
"aspettata". Perché? Perché se parte un progetto
fragile, che deve fare i conti con l'incessante nostalgia e il pensiero
del ritorno (così presente soprattutto in noi latino americani),
e ancora con il "qui" , con l' "ora" è tutto
veramente difficile
Bisogna ricominciare tutto a partire solo da
una valigia
e ogni donna viene con il suo mondo e comincia a moltiplicarsi
a partire dai numerosi volti che questa migrazione può presentare:
il volto delle donne che sono arrivate per fare le domestiche e per prendersi
cura di anziani, bambini, malati, il volto delle mogli dei migranti, venute
per lo più in un secondo momento, quello delle donne in fuga per
motivi politici o umanitari e poi quello delle donne schiave della tratta:
tutti percorsi e storie di vita diverse. E nonostante tutto sono proprio
le donne, sole o coniugate, che fanno degli immigrati una comunità
all'estero, perché sono loro che pensano alle relazioni tra i singoli
individui e la comunità: sono loro ad andare a scuola, sono loro
ad avere più tempo per socializzare (almeno finché non lavorano),
sono loro che curano le relazioni sociali e si sforzano di legare la loro
storia passata con quella presente mettendo in atto "strategie meticce"
con una voce sommessamente misteriosa.
Mi sono soffermata e riporto qui un dialogo scritto da Garcia Marquez,
tra un uomo e una donna. Mi ha colpito perché in due righe coglie
la concretezza di quest'ultima nel quotidiano:
" - L'illusione non si mangia - disse la donna .
- Non si mangia ma alimenta - ribatté il colonnello."
Quello che ho cercato di fare è stato di illustrare un po' il vissuto
delle donne in questa condizione, donne che, in molti casi, come il mio,
diventano anche clandestine e non figurano nemmeno nelle statistiche perché
entrano con documenti italiani. Certo in questi casi non c'è lo
svantaggio delle avventure in questura, però è un tratto
che influenza, e voglio sottolineare che influenza molto, la nostra identità.
Un'ultima nota osservazione. Non dimentichiamo che l'Italia è stata
terra di emigrazione: ho letto recentemente che il centro interculturale
della città di Torino segnala che, nel secolo tra il 1876 e il
1976 sono partiti quasi 26 milioni di italiani, e quasi 4 milioni solo
dal Veneto (regione in cui attualmente risiedo). Tutto questo fa sì
che oggi ci siano 58milioni di italiani all'estero, di cui 5 milioni hanno
il passaporto
scusate questi numeri ma sono significativi del fatto
che c'è quasi un altro paese all'estero
Tutto questo vissuto
è un vissuto che va contenuto nei libri , nei racconti , nelle
poesie, è un vissuto che restituisce il senso della terra e delle
radici, che tutti conosciamo , ma anche quel profondo senso di sradicamento
che invece pochi hanno vissuto . Finirei con una domanda: è un
vissuto da clandestina, da fingitrice, da scrittrice..?

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