

- Clementina,
da dove vieni, quali sono le tue origini?
- Vengo dall'Argentina, in parte, e in parte dalla Calabria. Sono
nata in Argentina, a Buenos Aires, e ho vissuto lì per ventisei
anni, ma mio padre è italiano, calabro, immigrato e per questo
posso dire di aver fatto un'immigrazione di ritorno".
Da dodici anni abito a Vicenza, nel Veneto.
In Argentina facevo parte della classe sociale medio bassa, là
c'è una spaccatura molto forte tra la classe benestante e quella
povera, quella media è scomparsa a causa di tutte le dittature
e dei conflitti sociali ed economici. Ho però avuto la possibilità
di frequentare l'Università: la possibilità nel senso che
pur lavorando sono riuscita a laurearmi in Sociologia a Buenos Aires.
- Quando e perché
sei venuta via dall'Argentina?
- Sono venuta via dall'Argentina alla fine dell'ottantanove. Io
dico che me ne sono andata perché non avevo scelta. Ero alla fine
della mia carriera, insegnavo, ero di ruolo, ma non avevo prospettive
economiche e sociali, così come si è realmente dimostrato
in questi ultimi anni: una democrazia precaria e nella quale si è
potuto cambiare la Costituzione con un decreto del Presidente Menem. Il
Presidente dei decreti che in questi giorni è agli arresti domiciliari
per illeciti durante il suo governo.
- Il tuo interesse
per la scrittura trova le sue origini in Argentina? Avevi già pubblicato
qualcosa?
- Un certo tipo d'interesse era senz'altro presente, ma si trattava
di un lusso da mettere da parte: non avevo né il tempo né
le possibilità economiche. Avevo cercato di partecipare a laboratori
di scrittura, ma dovevo lavorare 12-14 ore al giorno e poi dovevo studiare,
aggiornarmi.
- Quando è
avvenuto il cambiamento, quando la scrittura ha assunto un ruolo di primo
piano?
- Il cambiamento c'è stato qui in Italia. Qui ho fatto
una scelta più precisa:ho cominciato a lavorare in fabbrica (poiché
il mio titolo di sociologa non fu riconosciuto) e soprattutto a scrivere,
a crearmi degli spazi, a permettermi questo lusso
- La tua è
una formazione da autodidatta?
- Non proprio. Cominciai a seguire corsi a distanza con gruppi
di scrittura della Spagna, scegliendo dunque la mia lingua. Questo per
un anno o due. Nello stesso tempo ho anche iniziato ad autotradurmi, senza
però far leggere niente a nessuno. Poi a partecipare a qualche
concorso letterario. Solo in seguito ho iniziato a frequentare corsi di
scrittura creativa, doveva essere il '98 -'99.
- E dal momento
in cui scrivevi in Argentina ad ora, quale percorso poetico hai fatto?
C'è stato qualche rilevante mutamento ?
- Direi che lo sradicamento lo sentivo già in Argentina:
il mio cognome mi faceva sentire sradicata anche là. Qua si è
fatto più marcato. E' un sentimento che nasce dall'allontanamento
nei confronti di alcune certezze. Dover lasciare ed essere lasciata, avere
più vite come i gatti: forse questa è sempre stata la mia
scrittura.
- Durante il
seminario hai parlato più volte di "clandestinità":
questo è piuttosto anomalo perché sei forse l'unica, tra
questi scrittori, ad avere avuto il passaporto italiano prima ancora di
allontanarti dal tuo paese d'origine. Quanto, questa realtà entra
nella tua opera?
- Ultimamente tanto, forse perché anche qui in Italia ho
cominciato ad interessarmi al sociale. Lavoro come educatrice presso una
comunità d'accoglienza per minori. Ho cominciato a frequentare
corsi universitari sull'immigrazione, per scelta. Da qui è partito
questo forte senso di clandestinità. Io sono entrata qui con il
passaporto italiano, non ho avuto problemi, anche se ogni volta che entro
in questura per rinnovare il mio passaporto italiano, la polizia tende
a mettermi nella fila degli stranieri, un po' per la pelle, un po' per
l'accento latino-americano. Parlando con argentini che si trovano nella
mia condizione, mi sono però resa conto che anche noi "facilitati"
abbiamo delle difficoltà, soprattutto relative agli studi già
compiuti nel paese di origine e mai riconosciuti. Io ho dovuto rifare
tutto, anche la patente.
La cosa buffa è però che noi non figuriamo nelle statistiche
come entrati o rientrati in Italia.
Dunque la clandestinità rientra nella mia scrittura come sfida,
una sfida che inizia con la domanda: "cosa siamo?" e questo
non è fiction! Siamo italo-argentini? Italiani di ritorno?
- Come e quanto
l'Italia entra nei tuoi scritti?
- L'Italia entra nelle storie del mio quotidiano, rievocando storie
vissute, raccontate, di cui spesso sono protagonista. Faccio solo un esempio.
Mi è successo una volta che il mio vicino di casa vedesse dei corni
di mucca. Li voleva. Un pomeriggio mi suona il campanello e mi chiede
dei corni di mucca, di mucca argentina. Perché la carne migliore
del mondo è la carne argentina!. Quest'immaginario, l'idea che
uno si fa dell'altro, mi colpisce ancora molto ed è ricco materiale
di scrittura che poi è svelato o distrutto nelle storie: io non
ho mai vissuto in campagna! E non so nemmeno ballare il tango.
Una spinta molto forte alla scrittura, soprattutto inizialmente, me l'hanno
data le lettere ricevute dal mio paese: le considero un vero e proprio
patrimonio, materiale prezioso in cui c'entra l'Italia e tutte le persone
che mi hanno sostenuto.
- Nel racconto
che ci hai letto tornano vive queste lettere.
- Sì. Io ho sentito di aver tanto materiale e questo mi
ha ispirato. Sentivo che era parte della mia storia e di quella delle
altre persone.
- Definisci
la tua scrittura autobiografica?
- No. Sicuramente è una definizione troppo generale. Le
mie storie parlano della quotidianità dei vissuti e delle finzioni.
- Hai pubblicato
qualcosa in Italia, su riviste, o volumi?
- Sì. In occasione di un concorso della Eks&Tra, Fara
Editore sono apparse le mie poesie. E' stato il primo concorso a cui ho
partecipato e che ho vinto con delle poesie. Ho poi pubblicato qualche
racconto su riviste on line, tra cui la Rivista Sagarana e collaboro
da Luglio del 2000 al un bollettino telematico Vibrisse. Il Curatore
è lo scrittore Giulio Mozzi e lì ho cominciato a scrivere
recensioni e presentazioni di autori latino-americani o spagnoli non tanto
conosciuti. Scrivo in italiano, però anche in questo caso, la mia
voce è sommessa, e il mio vissuto riaffiora anche nella presentazione
di questi scrittori che sono i miei maestri. Ho avuto la possibilità
di leggerli e di conoscerli.
- Hai parlato
di esordi legati alla poesia. Continui a coltivare questo genere?
Sì, però le poesie le scrivo quando succede qualcosa.
Non sono padrona di questo genere. Costituiscono, per me, l'espressione
di un sentimento molto forte.
Un esempio: quando l'anno scorso ho letto di quel ragazzo a Mestre che
si è tolto la vita perché è stato trovato con una
prostituta mi è stato necessario scrivere una poesia.
- In questo
seminario vi siete trovati a confronto su tanti argomenti, quali sono
i contrasti che hai vissuto più profondamente?
- Il tema che uno scrittore sia tale prima o dopo l'emigrazione
è un'argomentazione che lascerei stare. Io credo che la qualità
di ciò che uno scrive sia l'unica cosa degna di nota. Il resto
non so, a me non piacciono le etichette, limitano e vincolano l'opera
e l'autore.
- Per quanto
riguarda il problema dell'editoria, cosa ne pensi anche in prospettiva
di prossime pubblicazioni?
- E' un problema, credo, mondiale. Troppe Case Editrici, un concetto
della lettura e scrittura un po' commerciale. Bisogna fare delle scelte,
e a volte sono scelte molto personali.
- Ieri lo scrittore
Julio Monteiro Martins affermava che adesso la sua lingua è l'italiano,
perché sta e vive in Italia. Ma ha anche aggiunto che insieme ad
altre condizioni la sua lingua potrebbe cambiare ancora una volta. Tu
in che modo pensi all'italiano?
Non
so. Ho fatto molta resistenza per riconoscere l'italiano come la mia lingua.
Credevo di non essere pronta o preparata ad esprimermi in un'altra lingua.
Poi mi sono accorta che la mia lingua non è più l'argentino,
ormai evidentemente contaminato. Beh, scrivo anche in un italiano contaminato.
Forse la contaminazione è la mia lingua, una lingua clandestina.
- Conoscendo
la lingua ti sei avvicinata in questi anni agli scrittori italiani. Quali
tra questi hai amato di più?
Calvino, ma anche Marco Lodoli. Sono stata contenta di leggere Fenoglio,
Pavese e di conoscere Mozzi, Nove, Tiziano Scarpa.
A cosa stai
lavorando e quali sono i tuoi progetti più prossimi?
Sto scrivendo racconti brevi a partire dalla quotidianità, non
senza spunti sulla mia dimensione d'immigrata. E ancora poesie. Mi piacerebbe
pubblicare un libro di racconti con poesie che presentino o chiudano ogni
brano in prosa. Per ora raccolgo un bel po' di materiale e scrivo, ovvio.
L'intervista è
stata rilasciata alla Dott.ssa Francesca Macchioni

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