Ron da dove vieni, qual è la tua provenienza?
- Io sono di origine albanese e provengo da una famiglia che faceva parte della classe dirigenziale dell'Albania, pur con una storia di dissidenza politica.

- Quando e perché sei venuto in Italia?
- Sono venuto in Italia nel '91. I motivi sono tanti, in effetti non ho mai trovato una risposta veramente esauriente. Si tratta di ragioni legate alle contingenze del paese a cui se ne sono unite altre relative ad urgenti esigenze culturali: la ricerca dell'altrimenti, dell'altrove, così fondamentali per ogni giovane.

- La tua formazione culturale è avvenuta tra l'Albania e l'Italia, secondo quale percorso?
- C'è stata una continuità. Ho acquisito una grande sensibilità culturale grazie alla mia famiglia e all'ambiente che mi circondava. Ho avuto problemi di tipo politico culturale, ho affrontato il totalitarismo, mi sono confrontato con ciò che accadeva alle persone a livello di microstoria (ovviamente legata alla macrostoria) e quindi sono cresciuto sviluppando un'attenzione particolare verso la storia e la politica, ma più in generale verso la cultura. In Albania facevo matematica perché il regime non voleva che io studiassi Scienze Umaniste: provenivo da un'aria dissidente, non volevano fornirmi strumenti culturali, vere e proprie armi che avrei potuto utilizzare contro di loro, ed hanno scelto per me. Facevo parte di un movimento studentesco che ha causato il crollo del regime comunista, perché, proprio nei giorni più caotici, noi studenti mettemmo in piedi uno sciopero della fame seguiti a ruota dalla popolazione di Tirana … il regime cadde. In quei giorni ho preso la prima nave in partenza e sono sbarcato meravigliato e stupito in un "altro continente".

- Quale è stato l'impatto?
- L'impatto è stato fortissimo. La differenza era tanta anche se provenivo da una cultura sempre europea. Era diversa la gerarchia di valori, e diverso il rapporto con le persone. Non nego che inizialmente colpiscono anche le piccole cose, come i luccichii delle auto, delle vetrine, delle diverse architetture…La fase iniziale dello stupore è indescrivibile.

- Ti sei avvicinato per la prima volta alla cultura umanistica in Italia, ma per quanto riguarda la scrittura?
- Il primo volume di poesie l'ho scritto in Albania, avevo cominciato a pubblicare, avevo scritto racconti…in Italia c'è stata poi una continuazione…

- Cosa avevi pubblicato in Albania?
- Avevo pubblicato un ciclo di poesie sul principale giornale di letteratura albanese che si chiama Drita, che significa luce. Avevo preparato un volume di poesie che poi ho finito in Italia: era scritto ovviamente in Albanese e un anno più tardi uscì a Tirana. Invece in Italia, nel '91, quindi appena arrivato, ho pubblicato un saggio di prima mano. Siamo stati accolti molto male dalla stampa e dalla propaganda italiana e ci fu una campagna soprattutto dopo l'arrivo della grande nave Vlora che arrivò a Bari il 10 Agosto del 91. Questa campagna anti -albanese ci fece stare molto male e noi rispondemmo con un saggio scritto da me e mio fratello con il quale si tentava, quasi a memoria, di ricostruire la storia dell'Albania. Non si trattava di un lavoro che aveva la pretesa di rimanere a lungo nel panorama della saggistica, ma serviva per riaffermare la storia di un popolo e a rivendicarne la dignità culturale e storica.

- Arrivato in Italia ti sei iscritto all'Università…
- Sì, inizialmente è stato difficile perché non ero ancora ben orientato sul territorio…Seguendo il consiglio di alcuni conoscenti ho scelto la Facoltà di Economia, ma non mi sono mai recato all'università. In compenso ho seguito un anno di corso per programmatore elettronico: esperienza utile anche per migliorare la mia conoscenza della lingua italiana. Finiti questi periodi di confusione ho fatto una scelta discutibile, di lusso, per un immigrato, e mi sono iscritto a filosofia. Dico una scelta di lusso sia a livello linguistico (perché è una facoltà che richiede una grande padronanza della lingua), sia per motivi lavorativi.

- Parliamo del tuo percorso di scrittura…
- Dopo aver scritto il libro di poesie in albanese e il saggio in italiano ho cominciato a sentire una certa metamorfosi: scrivevo sempre più in italiano e meno in albanese, ho avvertito il bisogno di finire i miei studi. Li ho conclusi in pari e nell'ultimo anno di università, insieme alla tesi di laurea, ho scritto il mio primo romanzo Va e non torna. Dopo di che ho cercato di pubblicare...ma questo è un altro discorso….

- Quali le maggiori difficoltà per la pubblicazione?
- Non sapevo a chi rivolgermi, perché la prima volta che avevo pubblicato lo avevo fatto con un editore locale, che non si trova in libreria, non era più il caso…Per altro, con i grandi editori, il problema è l'accesso. Ho bussato a molte porte ma sono arrivato a parlare solo con i portinai senza mai riuscire ad avere nemmeno un appuntamento. Nel frattempo, in Puglia, avevo conosciuto per il primo saggio e per l'attività di traduzione, l'editore Livio Muci ( BESA Editrice). Gli ho inviato il manoscritto e lo ha trovato interessante. BESA è una casa editrice di spessore che cerca di introdurre in Italia i grandi non ancora tradotti della letteratura mondiale e nuove promesse, operando nelle aree che sfuggono all'attenzione commerciale dei più noti editori. Naturalmente, però, dal punto di vista commerciale, questa casa editrice, insieme ad altri editori di qualità, trovano difficoltà a competere con la logica monopolistica dei colossi dell'editoria.

- Parlaci del tuo libro
- E' un libro venuto quasi d'istinto, nel senso che l'avevo pensato molto prima, ma solo ad un certo punto le riflessioni sono rifinite, a livello concettuale, entro la metafora ripresa dalla cultura Balcanica. C'è un motivo che ritorna anche in molte favole: talvolta i giovani si allontanano da casa, dal loro paese, fino a trovarsi di fronte a tre strade chiamate così: Va e torna facilmente, Va e torna con difficoltà, Va e non torna. Allora, nei primi due casi c'erano pochi ostacoli, ma chi le intraprendeva non mutava le proprie coordinate. Per quanto riguarda la terza, la maggior parte delle persone che la percorrevano moriva, c'era un grosso ostacolo spesso simboleggiato da un re cattivo, da un serpente, da una figura mitologica con sette teste. La favola si occupava però delle prodezze che permettevano al protagonista di aprire una nuova strada percorsa più tardi anche da altre persone. L'operazione che ho fatto è per affermare che non solo quella terza via esiste, ma che l'ostacolo è in realtà l'avviso che il prezzo dell'altrimenti è alto. Per cambiare la propria condizione il prezzo è alto e tragico, e qui ho preso in considerazione il canale d'Otranto con tanti morti e tanti affogati, finiti poi in fondo al mare…Il testo è una concreta narrazione di storie. Io avevo bisogno di esprimere la mia duplice identità, ed è venuta fuori questa storia che riprende tratti autobiografici, ma che è certamente romanzata. Raccontare la propria biografia e basta non serve a nessuno a meno che non ci siano cose importanti. Ma quando la tua microstoria entra nella macrostoria credo proprio che sia importante. Quando puoi raccontare un sistema totalitario, i lager comunisti, l'esperienza dell'attraversamento dei mari e l'immigrazione… non si tratta di un autobiografia ma di una scusa per raccontare fenomeni ben concreti. Quindi ho avuto la possibilità di scrivere felicemente dal punto di vista artistico cose interessanti a livello letterario.

- Ma il titolo, va e non torna è una risposta tua?
- E' la terza via, che è anche la mia scelta. E 'l'avviarsi verso l'altrove per ricercare l'altrimenti. E non c'è ritorno. C'è la tragicità della scelta ma anche un richiamo che porta sempre verso l'orizzonte "altro". L'"albanesità" è un punto di origine, è la partenza perché il soggetto costruisca se stesso.

- Ma in questo tuo libro si avverte ancora forte l'identità albanese?
- In un certo senso sì, soprattutto se lo confronto con il mio secondo lavoro che ancora non ho pubblicato. Però il livello di integrazione (termine antipatico) è tale che non evidenzia una frattura, non parla di qualcuno che si trova da alieno in questo territorio ma di qualcuno che condivide con i suoi coetanei tante cose. Resta il fatto che è più rilevante l'identità problematica albanese, che magari con il passare del tempo un po' diluisce.

- Quali sono i contrasti vissuti più fortemente all'interno di questo seminario?
- Prima di tutto va sottolineato che contrasti o semplicemente diversità di vedute non mettono in discussione le amichevoli relazioni personali. E' importante che non ci siano ambiguità su questo punto. Naturalmente, però, la pluralità non va azzerata. In questo seminario la presenza delle diverse aree rimane relativa e con essa qualsiasi analisi. Io credo che ci siano diverse sfumature nella concezione di immigrazione che potrebbero avere origine dalle diverse zone di provenienza. Per esempio: quelli che come me vengono dall'Europa dell'Est hanno un approccio diverso. Per quello che ci riguarda, oltre ai problemi che abbiamo in comune con gli immigrati di qualsiasi provenienza, noi viviamo con un certo imbarazzo la questione politica, imbarazzo che nasce forse dall'aver vissuto il comunismo. L'intellettuale italiano è in generale di sinistra. Ma come essere di sinistra con un tragico passato di comunismo alle spalle? E' questo il nostro problema. E non soltanto. Pur aderendo senza riserve alla critica che l'Occidente rivolge a se stesso in quanto artefice di grandi ingiustizie storiche e non soltanto, e la nostra forte esperienza del totalitarismo, e forse la fisiologica ricerca culturale dell'altrimenti, ci spinge ad apprezzare lucidamente dei preziosi risultati conseguiti dall'Occidente stesso. Palesare queste nostre complicate coordinate critiche è molto difficile. A volte, nel caos delle posizioni (ovviamente fuori da questo seminario), ciò che conta è la semplicità.
Un'altra questione che riguarda la riflessione culturale sui problemi dell'immigrazione è relativa alla valutazione dello spazio democratico che ci viene concesso. La precarietà della condizione dell'immigrato insieme ai fantasmi che ognuno di noi si porta dal passato influenza la valutazione delle possibilità della nostra libera partecipazione alla vita pubblica all'interno del nuovo contesto che condividiamo. E qui il passato pesa parecchio. Passato, però, per noi immigrati vuol dire diversa zona di provenienza. Questi potrebbero essere gli elementi che hanno condizionato alcune diversità di vedute.

- E quanto alla problematica dello scrittore "migrante", cosa ne pensi?
- A volte è anche un problema di età. Se uno è scrittore prima dell'esperienza dell'emigrazione sfrutterà poi questa esperienza per acuire la propria sensibilità…Io non penso che l'esperienza dell'emigrazione basti di per sé a rendere scrittori. Magari c'è una predisposizione a livello di amore verso la letteratura da parte delle persone che si trovano a fare anche l'esperienza degli immigrati. Come dice Julio gli scrittori sono un po' come cristalli che hanno la possibilità e la sensibilità per esprimere fenomeni che sentono anche gli altri.

- A mio parere è anche molto convincente la metafora che tu avevi fatto sulla muscolatura, l'emigrazione costituisce un esercizio in più.
- Si tratta infatti proprio di questo. Ci può essere una predisposizione verso il linguaggio: biologica, neuronale, genetica, non so ( è un argomento che va preso con le pinze altrimenti si rischiano malintesi di natura metafisica) ma a livello emotivo uno che nel corso degli anni, o perché ha letto molto o perché predisposto naturalmente, ha sviluppato questo amore verso la letteratura si fa i muscoli con la lettura e con la scrittura. L'esperienza dell'emigrazione è un incentivo inesauribile, perché conferisce una sensibilità sociale che non scompare mai alla fine e diventa un modo per guardare la realtà in maniera singolare: una felice prospettiva letteraria.

- Hai finito l'ultimo libro: quali le più evidenti differenze con il primo? Il materiale autobiografico si è esaurito?
- L'autobiografia non scompare mai dai nostri testi, anche se scriviamo di persone che con noi non c'entrano niente. Dietro le loro riflessioni e problematiche c'è quella nostra soggettività frutto della nostra biografia. Diversamente dal primo, l'ambiente narrativo è unico e di conseguenza l'azione è più concentrata. Cambiano molto anche le problematiche trattate (non è un testo dedicato alle riflessione sulle questioni dell'immigrazione).

- E a livello di scrittura?
- Anche lì rimane lo stile, anche se mi auguro che il linguaggio si sia un po' perfezionato, spero in una maggiore capacità di maneggiare la lingua, con una forza di penetrazione maggiore, anche perché ho scritto Va e non torna molto giovane e ci sono evidenti cambiamenti anche in relazione alla mia maturazione.

- Il tuo più prossimo progetto è dunque la pubblicazione di questo romanzo…
- Sì ma è proprio fresco fresco di qualche settimana e non so ancora niente, non ho ancora contattato editori…vedremo.

L'intervista è stata rilasciata alla Dott.ssa Francesca Macchioni