

"Sono un bugiardo
creativo"
Da dove viene
Amara Lakhous?
Sono
nato ad Algeri nel 1970 e lì ho vissuto fino alla mia partenza,
alla fine del 1995. Oltre ad essere la capitale è anche un luogo
d'incontro di tante persone: Algeri era una città costruita dai
francesi, ma quando nel '62 questi se ne sono andati, gli algerini che
stavano nelle campagne si sono spostati nel capoluogo, come del resto
ha fatto la mia famiglia nel '63. Io sono nato in questo contesto interculturale.
Quando e perché
sei venuto via dalla tua città natale?
Sono
andato via per motivi non solo politici, perché è facile
fare l'eroe. Non mi riconoscevo in quella cultura e in quel progetto sociale.
Gli anni dell'università sono stati fondamentali per mettere in
discussione alcuni valori: non ero d'accordo ad esempio sulla situazione
della donna. Trovavo assurda questa divisione: superiorità maschile,
inferiorità femminile che poi viene esplicitamente istituzionalizzata
dal codice della famiglia del 1984. A scuola avevo insegnanti donne migliori
quasi sempre degli uomini, e, a casa, mia madre lavorava forse più
di mio padre. Non riuscivo a capire questa gerarchia. All'Università
ho partecipato a incontri e dibattiti e ho avuto vari problemi con le
ragazze. Convinte di questa loro inferiorità non capivano infatti
questa mia presa di coscienza sociale e politica. Dopo il '91 ho lavorato
alla radio e poi me ne sono andato convinto di non poter concretizzare
lì il mio progetto.
Qual è
stato il tuo percorso di studi ad Algeri?
Mi sono
laureato in filosofia all'Università di Algeri nel 1994.
E il tuo rapporto
con la scrittura quando è nato?
Ho iniziato
a scrivere verso i quindici anni, anche se la passione per le storie e
per il modo di raccontarle è iniziato tanto prima quando nell'infanzia,
non avendo la televisione nelle lunghe serate invernali io e i miei fratelli
ci raccoglievamo intorno alla nostra sorella maggiore che ci leggeva i
classici francesi, da Hugo a Zola a Balzac
E hai pubblicato
qualcosa?
Ho pubblicato sul giornale alcune cose, ma niente di notevole.
Il tuo primo
impatto con l'Italia?
Era il '92, inizialmente si è trattato di un breve viaggio
durato qualche mese. Poi sono tornato a finire l'Università in
Algeria.
Quando la scrittura
ha assunto un ruolo fondamentale nella tua vita?
Da sempre la scrittura mi ha offerto la possibilità di
immaginare. Per me non esiste la realtà, esiste un mondo da creare
continuamente ed ho difficoltà ad essere realista. Io sono un "bugiardo",
proprio perché non accetto il realismo: io sono un "bugiardo
creativo".
E' per questo
che anche durante il seminario le tue posizioni nei confronti della scrittura
autobiografica sono state particolarmente rigide? Si avvicina troppo ad
un'idea di reale?
Scrivere
è un diritto e io non nego a nessuno la possibilità di scrivere
ciò che vuole. Ma credo che per uno scrittore l'autobiografia sia
pericolosa perché rischia di incartarsi e di esaurirsi
e
poi rischia di mettersi al centro del mondo " sono nato", "ho
vissuto", " a me è successo"
Io sono per l'auto
ironia, anche se a volte mi ha creato dei problemi: la mia poetica consiste
prevalentemente nel prendermi in giro e prendere in giro gli altri.
E in Italia
qual è stato il tuo percorso letterario?
Ci sono ovviamente dei lavori in corso, io li chiamo cantieri.
Ci sono tante storie, ma ci vuole tempo per metterle insieme e per crearle
di nuovo.
Tu hai scritto
un romanzo e anche dei racconti
.
Le
cimici e il pirata è del '93 l'ho scritto ad Algeri e l'ho
pubblicato nel 1999 in Italia, ho scritto alcuni racconti
ma io mi
sento vicino al romanzo. Per me è un po' quel luogo in cui si incontrano
la poesia, la saggistica, il teatro il cinema la canzone
per me il
romanzo è il mondo che unisce queste varie arti.
Per quanto riguarda
il rapporto con la lingua italiana e con la lingua d'origine
quali
sono le tue scelte?
La mia
scelta è discutibile, ma ha le sue ragioni d'essere. Io scrivo
e continuo a scrivere in arabo. Non è un rifiuto della lingua italiana.
Io cerco di trattare con questa cultura facendo i conti con la mia cultura
d'origine. Parto dalla storia dell'Algeria, del colonialismo francese,
delle lingua francese
.io sto facendo i conti con queste realtà
linguistiche e con l'italiano vorrei arrivare ad un accordo cercando di
capire cosa posso dare e cosa prendere da questa lingua, cercando di essere
originale e di non ripetere ciò che gli altri hanno fatto. Le mie
riserve sono queste
.io credo che il mio maggiore contributo possa
avvenire attraverso una traduzione collettiva. Ho parlato ad esempio delle
metafore che fanno parte della mia poetica. La metafora non è realtà,
è immaginazione: se uno non ha immaginazione dove può collocare
la metafora? La metafora ricrea la lingua, e ci allontana un po' dalla
retorica, perché la realtà ci insegna ad essere retorici,
mentre noi abbiamo bisogno di inventare e di giocare
non dobbiamo
prenderci sul serio. Quando sento anche nei vari dibattiti che si parla
di intellettuale, io non mi riconosco. Se vai a vedere la letteratura
che viene scritta oggi, se vai a leggere, la maggior parte degli scrittori
ha al centro delle proprie opere il personaggio dell'intellettuale (giornalista,
scrittore, avvocato, chiunque svolga un ruolo di guida). Io penso ad altri
personaggi: un cameriere o un barbiere che nei paesi era effettivamente
al centro della comunicazione: era un punto fondamentale di scambio perché
da loro andavano i politici, ascoltavano e parlavano, formando una cultura
comune di riferimento. La mia politica non è dogmatica, possiedo
una chiave di lettura anti-colonialista ma la mia indagine è più
vasta: non solo indagine dei rapporti padrone-operaio, vado fino ai rapporti
tra lingue, come una lingua può dominarne altre
.Questa è
la mia critica anche a Julio Monteiro Martins. Lui scrive nelle lingue
maggiori, e forse ha ragione perché così raggiunge un pubblico
quanto più vasto; io ho scritto un libro bilingue, arabo e italiano,
sapendo che in arabo non lo leggerà nessuno. Capisco anche la sua
scelta di lingue maggiori, ma non la condivido.
Nella tua scelta
bilingue ti chiedi per chi scrivi?
Scrivo innanzitutto per me stesso, senza narcisismo. Creo e mi
sento un piccolo Dio; riesco ad inventare e mi diverto. Anche scrivendo
cose tristi: dovrei essere un personaggio tragico vista anche la storia
del mio paese, però quando scrivo cerco di ridere e mi capita di
leggere alcuni brani del mio romanzo e mi faccio un po' di risate
Prendo
in giro me, il mondo,
.ma ovviamente non basta avere ironia, bisogna
anche saper scrivere.
Quali sono i
contrasti vissuti più profondamente nel corso del seminario?
A livello
ideologico non ho problemi, ho un'impostazione aperta e non dogmatica,
alcune tematiche le ho già elaborate. Non ho difficoltà
ad ascoltare, anche se non sono d'accordo .Già l'esperienza dell'anno
passato con Portofranco mi ha insegnato ad ascoltare. Ciò che mi
fa paura è a volte la ricerca della complicità: a volte
vogliamo che l'altro sia una fotocopia di noi stessi. Le autostrade sono
così noiose
.Il rischio è il dogmatismo: io amo gli
incroci, gli scontri. Non dobbiamo temere la diversità. Temo invece
la sorda complicità, frutto dei regimi totalitari
.
La presenza di un Julio, la cui poetica è diversa dalla mia, mi
mette in imbarazzo, e questa è una ricchezza perché io dovrò
sempre fare i conti con le sue scelte.
A cosa stai
lavorando?
Ho tanti
cantieri aperti, sono un imprenditore (naturalmente virtuale), diventerò
sicuramente miliardario nel futuro (sempre virtuale)
Ho in serbo un romanzo che scrivo da dieci anni, parla dell'immigrazione,
ma non nel senso dell'incontro traumatico con l'altro. Ricostruisco invece
l'idea dell'occidente, cosa ha rappresentato per noi .Un altro romanzo,
intitolato La consolazione delle città, viste come essere umani,
non luoghi fermi ma aperti . Poi altre cose
ma ne parleremo
fra un po' di tempo
L'intervista è
stata rilasciata alla Dott.ssa Francesca Macchioni

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