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Intervento
guidato da Julio Monteiro Martins:
Le prospettive di ritorno - persona ed opera - nel paese di origine
I rapporti col paese
d'origine mutano, ovviamente, da persona a persona.
Io vorrei partire da una frase semplice ma significativa di Ortega y Gasset
che ha detto : "L'uomo è l'uomo e le sue circostanze."
Allora, quando una persona emigra e si sposta da una circostanza ad un'altra,
c'è sempre un processo di scambio alchemico fra l'ambiente e l'essere,
in modo tale che entrambi finiscono per cambiare. Dopo ventiquattro ore
dall'arrivo nella nuova realtà, è già cominciata
una trasformazione interna del soggetto e questo mutamento prosegue dall'essere
alla scrittura, perché, ricordiamoci, che la parola è l'espressione
che più si avvicina allo spirito.
Lacan diceva che l'inconscio è strutturato in maniera verbale
Noi
non usiamo parole, noi siamo parole, è la materia che ci costituisce
Allora lo scrivere riflette i nostri cambiamenti e dunque la scrittura
stessa di chi vive in una dimensione nuova cambia, tanto nel caso di coloro
che spostandosi desiderano tagliare tutti i rapporti con la terra di origine,
quanto nei casi di coloro che vogliono mantenere tutti i legami possibili
con la città natale. Faccio un esempio per chiarire questa distinzione:
i brasiliani non riescono, con pochissime eccezioni, a migrare fino in
fondo. Di solito vogliono restare nel paese nuovo mantenendo un legame
psicologico forte, di dipendenza, con la patria antica, e le bollette
telefoniche, i collegamenti via internet, ne sono una conferma
ma
anche in questi casi il fatto di vivere in una nuova circostanza apporta
inevitabili cambiamenti.
Io credo che l'emigrazione sia l'esperienza umana più vicina alla
morte. Se l'uomo è se stesso e le sue circostanze, significa che
il soggetto, fino al momento della partenza, è effettivamente fuso
con quel mondo che si ritrova a lasciare. Tutte le persone hanno nel proprio
luogo di origine, le basi, le fondamenta della loro identità. Nel
momento in cui si abbandona quel posto in modo definitivo, ciascuno si
lascia dietro una identità arrivando, nel nuovo contesto, "nudo
di essere": non si ha più un nome, un soprannome affettuoso,
una storia personale.
Tra i grandi miti dell'umanità c'è il mito dell'uomo che
ritorna dalla morte, è l'eroe completo, è quello che dopo
averla vissuta, la trapassa e rimane vivo
Questo è ciò
che accade al migrante. Arriva nella nuova realtà come una tabula
rasa, ma la parola giusta non è "arriva", quanto piuttosto
"nasce". Ognuno di noi emigrati ha preso la sua barca di Caronte...
Ho fatto questa introduzione per far capire la gravità di un simile
evento e per indagare quale rapporto si possa creare col paese di origine.
Io ho un po' questa idea: se muoio in un posto e nasco in un altro divento
una specie di fantasma per le persone che ho lasciato. Ho vissuto questa
esperienza una volta che sono tornato in Brasile. Ho trovato negli sguardi
dei vecchi conoscenti un misto di incredulità, paura e ammirazione,
come di fronte a un fenomeno sovrannaturale: dopo che tu sei partito le
persone cambiano il tuo personaggio e quello nuovo è una sorta
di mito che può esistere solo per chi, pur inconsciamente, ha già
sepolto il personaggio precedente. Come la morte, questa circostanza è
irrecuperabile. Nessuno ritorna dall'emigrazione. Tutt'al più si
può rinascere una terza volta riscegliendo, definitivamente, il
paese di origine. [
]
Parliamo della scrittura:
voglio fare un piccolo accenno alle modificazioni che l'opera stessa di
un autore subisce in questo processo di migrazione. Accade molto spesso
che l'opera di un autore non torni più nella terra natale dell'autore
stesso (per quanto possa aver avuto successo), ma capita anche che i suoi
scritti ritornino, spesso secondo lunghi percorsi, al proprio luogo di
origine. Mi interessa sottolineare che anche in questo secondo caso, i
cambiamenti sono enormi. Quando l'opera ritorna non solo è nuova
perché l'essere è diverso e gli argomenti sono impregnati
del nuovo paese, dalle nuove circostanze, c'è di più
.Poniamo
anche l'ipotesi che un autore conservi la lingua di origine, è
pur vero che dopo dieci anni che vive in un altro paese le strutture sintattiche
e il lessico della nuova lingua non possono non condizionare, per effetto
di rimbalzo, le sue categorie, le sue strutture e quindi il modo di scrivere
e narrare.
Qui concludo per aprire un dibattito, ma è molto interessante vedere
che lo scrittore, fino ad oggi considerato all'interno di circostanze
stabili (tanto che lo si è spesso categorizzato secondo canoni
nazionali: gli scrittori francesi, quelli italiani
) si trova a
vivere e ad essere concepito in una nuova e più mobile situazione.
Conoscere oggi la condizione dello scrittore, condizione limite, estrema,
traumatica e vedere che cosa accade quando noi, abituati a seguire la
costruzione dell'opera dello scrittore come fosse un filo, vediamo che
il filo si trasforma in realtà in una sorta di puzzle o di mosaico
i cui tasselli sono tutti sparpagliati
- Che essere è questo,
così frammentario e che tipo di opera frammentaria produce ?
Concludo dicendo che nonostante ogni vissuto individuale sia inimitabile,
è pur certo che ciascuna di queste esperienze è fondamentale
perché la soggettività dello scrittore è profonda
e in questi casi viene immessa in un gioco di montagne russe esistenziali.
La struttura della vita e della sorte è mescolata in continuazione
e leggere l'opera di questi autori significa allora poter guardare dentro
da una finestra e vedere l'uomo in circostanze mai viste prima. Un'opportunità
senza confronti per la letteratura.
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