Il seguente racconto è stato scritto durante un'esercitazione di narrativa tenutasi nel corso del seminario, a cui hanno partecipato tutti gli scrittori.


LE SCARPE DI SKENDER


Prima Skender ha dovuto attraversare il formicaio. Le signore bionde e false bionde sgomitolavano di fronte al negozio di moda con la scritta "saldi" in grosse lettere rosse su entrambe le vetrine. A ogni passo doveva ripetere "permesso" o "scusi", e anche se consapevole della presenza di qualche bella ragazza - alcune di quelle signore avevano portato le loro figlie per scegliere un maglione o un paio di pantaloni - Skender non osava guardarle in faccia. Sapeva soltanto di essersi avvicinato a qualche mano curata aggrappata alla plastica dalla borsa, o a qualche appetitosa caviglia lattiginosa.
Uscito da quella folla profumata, Skender si è trovato di fronte al negozio di scarpe che gli avevano segnalato. Lo ha guardato dentro: i venditori in attesa, le cravatte ben allacciate, le scatole organizzate una accanto all'altra come un cimitero in miniatura. Skender si è trovato alle porte di un tempio di una religione diversa dalla sua - che nemmeno sapeva quale fosse - e lo prende un senso di sacrilegio. Per esorcizzarlo, tasta le sue due banconote preziose nella tasca della giacca, e prendendo fiato entra in quello splendente salone.
- Buona sera.
- Buona sera - risponde il commesso, guardandolo da sopra gli occhiali.
- Vorrei comprare delle scarpe.
- Mi sembra logico, no? Se volessi un gelato o un ventilatore, non saresti venuto qua - e gli altri commessi si scambiano degli sguardi divertiti di complicità.
- Le scarpe sono per il matrimonio di mio fratello. Si sposa domenica. Con una ragazza italiana.
- Davvero? Furbo questo tuo fratello...
- Sarà una grande festa, e io vorrei comprare un bel paio di scarpe.
- Scarpe vere costano, lo sai, no?
- Sì, lo so.
- Allora, siediti pure. Ti porterò qualcosa di bello.
Due minuti più tardi torna con in una mano una di quelle piccole bare, e dentro quei due gemellini defunti.
- Cuoio legittimo, molto eleganti, stile inglese, sai?
- Queste non le voglio.
- Ci sono anche marroni...
- No. Queste non le voglio.
- Come mai? - chiede il commesso già irritato.
- Perché dopo una settimana la suola si stacca. Qua, vedi? Qua, vicino alla punta...
- La suola si stacca... E come mai?
- Come mai che non ci sono i chiodini, c'è solo la colla. E è una colla da poco, che non regge...
- Ah, sì? - e l'irritazione del commesso è visibilmente cresciuta - Ah, sì? E come fai tu a sapere tutte queste cose sulle nostre scarpe?
- Perché le ho fatte io.
- Ah... Hum... Allora, lavori in una fabbrica di scarpe?
- Sì, lavoro proprio in questa fabbrica di scarpe.
- E perché non hai comprato le tue scarpe nella fabbrica con un bello scontino?
- L'ho già detto. Perché dopo una settimana la suola si stacca. Io voglio scarpe buone, di qualità. Come quelle in vetrina, quelle con i forini...
- Ma quelle sono scarpe della Spinelli! Sono le più care. Costano una cifra che certamente...
E già dalla tasca della giacca di Skender saltavano quelle due banconote gialle, quasi dorate, tagliando a metà, come delle forbici, le avvertenze precipitose del commesso.
Con la piccola bara in mano, ora trasformata in culla per le neonate scarpe, Skender ha attraversato coraggiosamente quell'alveare di matrone in finti modelli Armani, Jean Vuitton, Yves Saint-Laurent, cipolla, varechina, menta, sudore, peperone, dolce e gabbana, e, un tanto sgualcito, nell'arrivare sul viale, all'aria aperta, si è concesso un sorriso che non si spegneva, e allora ha riaperto la scatola solo per vedere come si rifletteva sulla superficie pulita e lucida il sole di maggio, suo vecchio conoscente di altri tempi.