Sabato 20 luglio - mattina - Incontro con Davide Bregola

Interventi di Julio Monteiro Martins, Mia Lecomte, Davide Bregola (scrittore), Amor Dekhis, Eugenia Mazza, Edgar Hernandez (operatore sociale negli Stati Uniti)

Julio Monteiro Martins- Siamo arrivati all'ultimo incontro di questo nostro seminario. Speriamo che tra un anno ne potremo realizzarne un terzo per fare un nuovo bilancio sull' evoluzione di queste iniziative, di questo universo letterario. Vi presento il nostro ospite Davide Bregola, un giovane avvocato, come me insomma, come Federica, che collabora anche lui alla rivista Sagarana... Mi diceva lui prima che abbiamo creato un nugolo di avvocati prestati alla letteratura. Davide, come me, ha fatto giurisprudenza avendo sempre un grande amore segreto per la letteratura, e questo interesse è andato consolidandosi. Infatti, il libro che uscirà tra poco per le edizioni Intercultura, è proprio un atto d'amore verso la letteratura, perché è un libro che riguarda altri scrittori. È il libro più completo che riguarda gli scrittori migranti, un lavoro ampio e impegnativo. Quello che mi ha subito colpito quando ne ho lette le bozze, è stata l'intelligenza delle domande. Si evinceva una conoscenza dell'argomento e delle opere. Con queste domande molto belle e pertinenti Davide è riuscito a far tirare fuori ad ogni scrittore il meglio di sé. Ogni intervista è diventata in realtà una sorta di saggio sul percorso e l'opera di ogni scrittore intervistato.
Lui, inoltre, è anche un romanziere, e il suo primo romanzo uscirà per la Sironi, in una collana chiamata Indicativo presente, dove si pubblicano i nuovi autori italiani.

Davide Bregola - Un'apologia in diretta non l'avevo mai sentita... sei troppo buono. Il libro infatti uscirà nella collana Kuma delle edizioni Intercultura, diretta da Armando Gnisci.
Dicevi bene quando parlavi di interviste che sembrano più saggi di autori. Io ho cercato il più possibile di rendermi invisibile per dare l'opportunità all'autore di dire tutto ciò che voleva esprimere attraverso la poetica, attraverso le idee acquisite con lo studio e la lettura.
L'idea iniziale l'ho presa da suggestioni che mi hanno dato due libri di Ferdinando Camon, pubblicati dalla Garzanti negli anni settanta, che si chiamano Il mestiere di scrittore e Il mestiere di poeta. Erano due libri che aveva scritto praticamente trentenne, andando alla ricerca di poeti e scrittori che poi intervistò. I libri li ho trovati nella biblioteca di mio padre, quando avevo circa venticinque anni. Rimasi sconcertato dall'approfondimento che riusciva ad ottenere con un'intervista. Intervistò Bassani, Pasolini, Calvino, poeti come Giudici, Luzi, Ungaretti o Govoni, fece veramente un lavoro immane. Suggestionato da questa cosa, ricordo che rimasi colpito dall'intensità e dall'approfondimento che riusciva ad ottenere con le interviste. Quando ho avuto io stesso l'opportunità di fare questo, mi sono rifatto all'idea che attraverso delle interviste si potessero fare dei saggi. L'idea di fondo per intervistare scrittori stranieri che scrivono in italiano, l'ho avuta proprio leggendo gli scrittori di cui poi sono andato a scrivere.
Ricordo che nei primi anni novanta lessi i primi libri che questi autori scrivevano a quattro mani con scrittori o giornalisti italiani. Al tempo mi colpì l'idea di testimonianza riportata da questi scrittori stranieri, e mi colpì anche il fatto che erano le prime persone educate con una lingua diversa dall'italiano che cercavano in qualche modo di avvicinarsi alla lingua di acquisizione. Ero già consapevole che gli italiani avevano dato loro una mano nella stesura di questi primi testi, eppure pensai che un grande passo per lo sviluppo della lingua era stato fatto. Dopo di che, sono usciti altri libri come quello di Jarmila Ockayovà, che pubblicò per Baldini & Castoldi; ricordo che quando lessi i suoi libri andai a cercare il traduttore, cioè cercavo "traduzione a cura di", e non c'era scritto nulla, e questa cosa mi colpì perché pensai subito al fatto che lei scrivesse direttamente in italiano, ma non ne ero sicuro, perché non la conoscevo. Lo intuii leggendo la biografia e vedendo che era venuta a studiare in Italia; aveva fatto lettere a Bologna.
L'interesse è nato appunto leggendo questi libri. Dopo di che è stato facile contattare gli autori da intervistare, perché il loro nome l'ho trovato sull'elenco telefonico. Forse chi non è abbastanza smaliziato pensa che gli scrittori siano una sorta di divinità sulla terra, quasi degli intoccabili, mentre invece si scopre che gli stessi autori sono contenti quando qualcuno li contatta per discutere e parlare con loro.
I primi autori contattati sono stati Younis Tawfik, il cui nome è sull'elenco telefonico di Torino, e Jarmila Ockayova, che però riuscii a contattare ad un incontro a Ferrara. Stabilito un primo contatto per telefono o per e-mail, la cosa che più mi interessava era riuscire ad incontrare queste persone, perché la reazione che nasce quando si parla a quattro occhi è completamente diversa rispetto al telefono o via e-mail. Questi ultimi li ho adottati solo quando era inevitabile, mentre delle undici interviste, più della metà le ho fatte andando a trovare direttamente le persone a casa loro, andando a vedere la loro biblioteca: che libri avevano, oppure dove scrivevano e quali mezzi usavano per scrivere, perché già da lì nasceva una prima idea.
Le interviste sono nate sempre dopo aver letto i testi degli autori intervistati, libri oppure saggi, o cercando in Internet notizie che li riguardassero, oppure reperendo notizie su riviste tipo Kùmà o Sagarana. Le domande non erano mai preparate, nascevano quasi d'acchito a seconda di come gli autori impostavano il dialogo, però alcune domande fondamentali e comuni a tutti le ho usate, come quale fosse loro poetica, oppure i loro autori di riferimento, letterati da cui erano partiti per avere suggestioni, ecc.
Queste cose interessano proprio a me a livello personale, mi interessa aumentare il mio bagaglio di conoscenze attraverso le coordinate che mi possono dare persone che hanno letto certi libri anziché altri, e che io magari non ho letto. Per me è una ricchezza sapere un titolo o un autore che prima mi era sconosciuto e in qualche modo mi è stato donato dalla persona che ho intervistato. Tipo, ieri parlavamo di Clarice Lispector, che è un'autrice che ho letto negli anni novanta, perché un amico scrittore me l'aveva consigliata, ed è stata una scoperta abbagliante, una cosa pazzesca. Quindi in qualche modo queste interviste le ho viste anche come una crescita personale, come dicevo a Julio. Io tento di scrivere, non so con quali risultati, però sicuramente l'impegno c'è, l'onestà della scrittura e la necessità le sento. Il confronto diretto è molto formativo.
Riuscire ad avere un dialogo con le persone che scrivono e che hanno a che fare con gli stessi strumenti che uso io, è una fonte di crescita notevole, è come avere l'opportunità di crearsi una biblioteca fatta di parole che in poco tempo mi permette di acquisire delle conoscenze che altrimenti attraverso i libri riuscirei ad avere soltanto nel tempo. Una biblioteca fatta di voci è fondamentale quanto una biblioteca cartacea. Al di là di questo, ho fatto delle interviste approfondite perché ho cercato di fare delle domande che potessero fare tirare fuori agli autori il meglio di sé.
Da qui verso casa è stato scritto tra il maggio del 2000, prima del governo Berlusconi quindi, e il gennaio 2001, un arco di tempo di nove mesi dove facevo un'intervista e mezzo al mese. Alcuni autori li ho incontrati più di una volta, perché erano molto puntigliosi e precisi, come per esempio Jarmila Ockayova che ho incontrato quattro o cinque volte da lei a Reggio-Emilia, perché mi sembrava che ci tenesse particolarmente al risultato di questa intervista e in qualche modo voleva essere il più precisa possibile.
Altri autori, come Julio, li ho contattati sia telefonicamente sia per e-mail, e poi è nato quasi un sodalizio che secondo me fruttifica nel tempo.
Una cosa che mi fa dispiacere: non vedo, in generale, un interesse nella conoscenza reciproca di autori allofoni con scrittori italiani. Non so se è una questione di lontananze o se è per motivazioni che trascendono...la letteratura, però secondo me lo sviluppo culturale porterà a superare il tema delle conferenze sugli scrittori migranti, al loro posto avremo conferenze sugli scrittori e basta, dove tutti stanno nello stesso contenitore. La sfida sta nel farli incontrare e dialogare nello stesso campo e sulle stesse riviste. Non so, io vorrei vedere un numero di Nuovi argomenti in cui compare un saggio, per esempio, di Antonio Franchini e un racconto di Julio Monteiro Martins e viceversa.

Mia Lecomte- È quello che ho cercato di fare su Pagine, non so se la conosci, e con Semicerchio.

Davide Bregola- Sì, mi sembra giusto. Il problema è che tra gli organizzatori dei convegni ci sono delle persone che hanno una formazione mentale tale, per cui per questioni di solidarietà o politiche, rimangono in un campo ristretto della materia che invece può dare sviluppi impressionanti. Allora le cose teoricamente le capiscono, però, dentro di loro, non le hanno digerite.

Mia Lecomte- Perchè non partono con uno sguardo vergine. Quando tu spiegavi l'inizio del tuo lavoro, come hai messo insieme il libro, è esattamente lo stesso percorso che ho fatto io. Sia per il libro sui poeti italiani, sia nelle mie antologie, cercando i poeti per telefono, avendo letto anch'io tutto quello che avevano scritto.
Dopo sono passata alla conoscenza personale. Però è un approccio che nessuno fa.

Davide Bregola: Nessuno lo fa. Ho l'esempio di alcuni critici, che sicuramente sono in buona fede, ma hanno una preparazione data dalle proprie esperienze che rischia di lasciarli "soli a presidiare la fortezza", tanto per citare Flannery O'Connor, cioè rischia di ghettizzare delle potenzialità. I critici stessi rischiano di rimanere isolati con le loro teorie, che magari andavano bene negli anni novanta, ma adesso... Questa evoluzione secondo me potrà avvenire partecipando tutti -sia teorici sia scrittori- alla riuscita della transculturalità.

Julio Monteiro Martins - Dicevamo anche stamattina, a colazione, che secondo me per questi nuovi scrittori italiani, nati in Italia, una convivenza letteraria più stretta con questi scrittori cosiddetti migranti, dal punto di vista tecnico stilistico sarebbe un grosso vantaggio, perché la verità è che la narrativa italiana dal punto di vista tecnico e dell'utilizzo di certi punti di vista narrativi, è ancora molto manzoniana e dannunziana, in un certo senso. Per esempio, le tecniche di dialogo non sono ammesse se non c'è l'intervento del narratore assente come cornice, perchè il dialogo possa svolgersi. La battuta pura, come si fa nella letteratura americana o brasiliana, qua è ancora una cosa che comincia.

Davide Bregola- I massimi esperti di narrativa considerano ancora molto moderno il flusso di coscienza, che è degli anni venti.

Julio Monteiro Martins - Questo giornalismo in cui il giornalista, tra virgolette, è un personaggio in prima persona della narrativa, sviluppato negli Stati Uniti negli anni settanta... insomma una serie di elementi di rinnovamento tecnico e stilistico che sono stati applicati nei paesi d'origine di questi scrittori detti migranti, e che loro hanno portato con sé anche scrivendo in lingua italiana, e che non mi sembra che siano ancora adoperati con creatività dagli scrittori italiani nativi. Si creerebbe secondo me un'osmosi molto fertile.

Davide Bregola - Nello stesso tempo però dovete tenere in considerazione una cosa: che gli editor delle case editrici sono i primi critici, ed essendo i primi critici fanno già loro una selezione. Allora, quando arriva loro un testo che non ha le caratteristiche per cui si rende riconoscibile dal loro bagaglio culturale, in qualche modo non lo accettano e lo scartano a priori. Magari c'è già un autore che sta scrivendo tenendo in considerazione altre tecniche, però sembra quasi che non sia maturo il tempo per cui vengano accettate queste cose.
Adesso si vede qualche cosa in Italia, con Sandro Veronesi o Ammaniti, che praticamente raccontano un evento pubblico partendo da loro come protagonisti, fanno, cioè, il gonzo giornalism di cui si accennava, cosa che nel resto del mondo si faceva trant'anni fa. Quindi, hai ragione, ci dovrebbero essere questo incontro e scambio di esperienze.

Julio Monteriro Martins - Quando ho sentito l'urgenza di creare la scuola Sagarana questa è stata una delle due grandi ragioni. L'altra era la questione dello spessore, dell'etica, ma la seconda riguardava l'allenamento rispetto a queste nuove tecniche.

Davide Bregola - Infatti le cose che state facendo voi con queste riviste elettroniche sono veramente importantissime, cose che la critica non ha ancora tenuto in considerazione o ignora totalmente. Sono questi i nuovi zibaldoni: se Leopardi vivesse adesso e fosse all'avanguardia, scriverebbe sulla rivista elettronica. Una rivista come Sagarana è unica nel suo genere, e sarebbe unica anche nel genere cartaceo, perché tiene in considerazione tante arti...E poi c'è l'ibridazione, la saggistica, i racconti inediti, le traduzioni. Qui sono in una tantissime riviste. Dicevo a Julio che in Italia esiste una rivista di sole traduzioni che si chiama In forma di parole, a Bologna, diretta da Scalise, e poi Testo a fronte, collana diretta da Buffoni per MarcosYMarcos. Sono riviste e collane di persone che scrivevano e facevano riviste già negli anni cinquanta- per esempio, Scalise è stato uno dei fondatori della rivista L'Architrave insieme a Pasolini, a Leonetti- però sono monotematiche. Ti presentano Sagarana gratuitamente, consultabile con testi inediti di grandi autori, con traduzioni bellissime, con dei saggi che in qualche modo ti cambiano il punto di vista, però i critici non tengono in considerazione queste cose.

Mia Lecomte- È quello che dicevo anch'io. Andrea Sirotti mi ha invitata recentemente ad una convegno a Firenze sulla situazione della poesia italiana. Un convegno tradizionale, in cui era stato invitato, come direttore di Semicerchio, Francesco Stella, che non poteva andare e io l'ho sostituito, ne ho approfittato proprio per parlare di questa nuova corrente della poesia italiana. Nessuno aveva la più pallida idea che esistesse una cosa del genere in Italia, erano ancora tutti a discutere animatamente sulla linea lombarda, sull'avanguardia... Eppure c'erano critici giovani come Cortellessa, Marco Marchi. Perché poi, alla fine, c'è anche un interesse, perché i testi me li hanno chiesti.

Davide Bregola- Anche perchè se ti leggi una poesia di Gezim Haidari è fantastica, al di là dell'Italia e dell'Albania. La letteratura si divide sostanzialmente in due filoni: la bella e la brutta.

Eugenia Mazza- Volevo chiederti se durante le interviste hai notato una caratteristica comune a questi scrittori, un filo conduttore per cui oggi si possa parlare di una lettratura di migrazione.

Davide Bregola- La caratteristica principale è la lingua. Tutti gli autori intervistati hanno appreso la lingua nella quotidianità. Ovvero dandosi da fare per rendersi comprensibili agli autoctoni. Non so, Tahar Lamri mi diceva di avere imparato la lingua per strada. Parlando con Julio ieri, mi diceva che appena arrivato in Italia, voleva imparare l'italiano il più in fretta possibile, leggeva tantissimi giornali e libri, guardava molta televisione e cercava di parlare il più possibile con la gente. Anche Tawfik, che insegna letteratura araba in Italia, mi diceva che l'italiano l'ha imparato nella quotidianità. Un'altra autrice che mi diceva di avere imparato la lingua per strada, diceva proprio così, "per strada", è Helga Schneider, che ha pubblicato per Adelphi Lasciami andare o madre e Il rogo di Berlino. Lei è di origine tedesca, una signora sui sessanta anni che scrive degli ottimi romanzi. Oppure lo stesso Gangbo, un autore che ha pubblicato due libri, l'ultimo si intitola Rometta e Giulieo per Feltrinelli, diceva di aver imparato la lingua italiana in collegio insieme agli altri piccoli malviventi, che arrivavano ogni tanto.
Un'altra cosa che ho notato, è il cosmopolitismo di queste persone. Io conosco un po' di autori italiani che scrivono in italiano, sanno l'italiano e un po' d'inglese. A volte nella loro prima stesura fanno degli strafalcioni grammaticali. Andando a intervistare questi autori stranieri, invece, ho notato che sapevano quattro lingue, con una conoscenza sterminata della letteratura mondiale, un'apertura mentale in cui noi possiamo solo ascoltare con venerazione e cercare di apprendere il più possibile.
Anche ieri, sentendo parlare Jasmina Tesanovich, che scrive in inglese e in italiano, in serbo e conosce un po' di tedesco, e gira tutto il mondo, io mi sono sentito fondamentalmente un poveraccio di provincia.

Mia Lecomte- Questo io l'ho sentito soprattutto con gli autori africani, che prendiamo in giro per come parlano, e poi in realtà, tra dialetti locali, le lingue della colonizzazione ecc., sanno quattro, cinque lingue.

Davide Bregola- Queste sono le due cose che più mi hanno impressionato. Un'altra cosa è l'idea dell'uomo nuovo che mi trasmettono. Hanno vissuto e scritto così tante vite, a seconda dei luoghi in cui hanno abitato, ecc. Ieri leggevo una citazione di Dino Campana nel libro di fotografie Vite di Enzo Cei, sul concetto di uomo nuovo, uomo nascente. È un concetto bellissimo perché l'uomo nuovo siamo noi stessi, che attraverso una trasfigurazione riusciamo ad essere persone nuove. Secondo me potremmo essere persone nascenti, quindi uomini nuovi noi stessi, anche attraverso la conoscenza di questo ampio bagaglio culturale che ci possono dare gli altri, anche gli scrittori e intellettuali che vengono da altri paesi. Quindi l'uomo nuovo, trasfigurato, fondamentalmente siamo noi.

Mia Lecomte- Come è avvenuta la scelta degli scrittori?

Davide Bregola- Ci sono più donne che uomini perché effettivamente le donne hanno una marcia in più, diciamo. Oltre a questo, ho cercato di fare il giro del mondo. Alice Oxman è nordamericana, Tahar Lamri è algerino. Elena Janeczek è polacca, Gamgbo del Congo, Tawfik è iracheno, Julio Brasiliano...ho girato il mondo stando in Italia! Volendo potevo essere settoriale, tipo mediorientali o sudamericani. Però non mi interessava.

Mia Lecomte- Infatti io adesso sto curando una nuova collana di poesia per la casa editrice Zone, che è la casa editrice di Pagine, e l'idea è proprio questa: in fondo è una casa editrice che si occupa di autori italiani, e questa collana rimane abbastanza indefinita, non ha una catalogazione precisa. E anche i volumi, questa volta, sono monografici, non più antologici, e senza una ripartizione geografica.

Julio Monteiro Martins- Che idea ti sei fatto sulle cause di questo fenomeno?

Davide Bregola- Gli scrittori intervistati sono degli intellettuali cosmopoliti, non prettamente migrant writers. Potrebbero stare bene in qualsiasi paese. Altra cosa sono gli scrittori che migrano per problemi politici o a causa di guerre. Queste sono persone antologizzate da Eks & Tra, che magari fanno racconti d'occasione e poi non scrivono più, oppure scrivono racconti di testimonianze o cose del genere.

Mia Lecomte- Questa è una cosa che ho notato anch'io. Mi sono chiesta se c'era una differenza, appunto, tra la produzione letteraria dell'intellettuale migrante che ha un percorso esistenziale di un certo tipo, diciamo di libere scelte, e la letteratura che nasce dalla necessità di lasciare il proprio paese, com'è il caso di Anilda, ad esempio, dove anche la lingua è adottata per necessità, non è una lingua scelta come uno strumento sonoro confacente in quel momento per esprimere certe cose, ma è l'unica lingua a disposizione per esprimersi.

Davide Bregola- Certamente, in qualche modo le persone che vengono in Italia per motivi di sopravvivenza hanno un approccio senz'altro diverso. Julio diceva che il fenomeno negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente, forse perché è più facile raggiungere certi luoghi adesso rispetto a anni fa. Anche le opportunità per migrare sono aumentate.

Julio Monteiro Martins- Non è il nostro caso ma, comunque, anche se non a causa di guerre o epidemie, qualcosa li ha spinti a cambiare il loro paese d'origine. Che cosa ?

Davide Bregola- Questa è proprio una bella domanda, andrebbe chiesto agli autori...

Mia Lecomte- Questo discorso è venuto fuori anche al convegno di Roma. Chiellino diceva che non tutti partono. In fondo potrebbe essere una scelta comune, e invece ad andarsene sono soltanto alcuni. E parlava, quindi, della necessità di un traditore, di qualcuno che oltrepassi il confine, perché alla fine possa esserci un incontro, e uno sviluppo.

Julio Monteiro Martins- Vorrei che tu mi dicessi come vedi questo processo di trasformazione degli scrittori migranti.

Davide Bregola- Sono venuto a conoscenza del dibattito "scrittori migranti Vs. scrittori e basta" perché mi mandavate le e-mail e gli aggiornamenti. Seguivo la cosa, ma non ho fatto in tempo a partecipare al dibattito perché è arrivata questa mail cumulativa di Armando Gnisci, in cui in pratica cercava di dare dei punti fermi secondo i suoi pareri e le sue motivazioni. Io posso dire questo: era interessante come dicevo prima, la continuazione del dialogo, perché comunque rappresentava una novità. Alcune persone che si dedicano a questo tipo di letteratura, vuoi perché la scrivono o la studiano o l'organizzano, hanno deciso di mettersi a discutere autonomamente di queste cose, senza magari un interlocutore che potesse essere un critico, o un professore universitario o altro... Il prof. Gnisci ha un bagaglio di esperienza e di cultura tale per cui si è sentito in dovere di dire la sua. Lui ha scritto questa lettera dove dice: "Scrittori migranti o immigrati che scrivono, facciamo chiarezza davvero perbene. Per me e per tanti scrittori e studiosi in tutto il mondo gli scrittori migranti che nella lingua dell'impero vengono denominati migrant writers, sono quelli che cambiano vita e lingua, che girano il tempo e lo spazio, che trapassano i mondi, essi accrescono la presenza dello scrittore nel mondo e creolizzano le contrade dove si fermano. Gli scrittori migranti oggi sono i migliori della nostra epoca, come sostengo dal '92 nel libro Il rovescio del gioco...".

Julio Monteiro Martins - In questo testo che hai appena letto, per esempio, c'è la conferma dell'apprezzamento dell'uso di questa espressione, migrante, ma si sorvola sul fatto che gli scrittori stessi non la vogliono più. Lì ho visto solo la conferma di quanto sarebbe appropriato l'uso di questa terminologia...

Mia Lecomte - Ma è stato Gnisci che ha messo le basi. Io ho già detto tante volte che se siamo arrivati a questo punto della discussione, lo si deve a lui. Tutto il percorso iniziale è suo. E forse per lui è più difficile accettare certi recenti punti di vista di quanto non lo sia per chi è arrivato strada facendo.

Davide Bregola - Allo stesso tempo però bisogna tenere in considerazione una cosa: i critici, i saggisti e gli studiosi, di solito arrivano a storicizzare dopo che gli scrittori hanno creato le opere. Gli scrittori in un certo senso rappresentano un po' l'avanguardia, vanno avanti per necessità proprie e cose del genere, e la cosa poi viene acquisita in un secondo momento dai teorici. Questo è vero in tutta la storia della letteratura. Secondo me i critici più illuminati arriveranno al punto in cui voi siete arrivati nel febbraio 2002. Quindi, prima di tirare in ballo ristrettezze mentali o cose del genere, secondo me gli scrittori devono continuare per la loro strada ed avere l'umiltà di dare il tempo agli altri di arrivare. La stessa cosa vale per i lettori. Il lettore è sempre indietro rispetto allo scrittore, perché la sua opera arriva sempre quando lo scrittore è già in un altro luogo. Il rischio è quello di andare troppo avanti e lasciare il lettore così indietro che alla fine si perde…

Mia Lecomte - Infatti, proprio per evitare che ci fossero tutte queste fasi intermedie e successive, ho sempre cercato di mettere in contatto i due estremi, perchè penso sia più facile per il lettore aggiornarsi allo scrittore di quanto non lo sia per il critico. Se si mettono in contatto scrittore e lettore l'alchimia funziona. L'editoria on-line mi sembra la strada giusta, perchè salti gli editori, che poi dipendono dai critici.

Davide Bregola - Bisogna vedere fino a che punto internet viene consultato da un ampio pubblico. Io credo che internet in Italia sia al di sotto delle potenzialità che ha. Ho degli amici che non sanno nemmeno usarlo, e sono della generazione degli anni settanta, i cosiddetti giovani. Bisogna fare degli esperimenti, siamo in un periodo di sperimentazione.
Nello stesso tempo, come dicevamo con Julio, le case editrici che hanno più visibilità pubblicano certi tipi di romanzi di autori stranieri che scrivono in italiano. Ossia pubblicano ciò che è appetibile per un pubblico occidentale. Faccio l'esempio di Tawfik o Gangbo, che rappresentano due tipi di scrittori ben distinti. Tawfik scrive d'amore sulla scia di Ben Jalloun, con prefazione di Volterrani che è anche traduttore di Ben Jalloun, e con presentazione a Torino dello stesso Volterrani e Cesare Segre, i quali affermano: da questo libro in poi la letteratura cambierà. Tawfik, pur essendo un bravo scrittore, rappresenta un tipo di scrittore appetibile per un pubblico occidentale. Gangbo rappresenta il giovane scrittore che fa il romanzo di formazione, e al contempo c'è questo aspetto esotico della persona nera che potrebbe rendere appetibile il suo libro ad un potenziale pubblico. Come dicevo prima, la casa editrice è la prima critica e tiene a freno della potenzialità che ci sono già.

Julio Monteiro Martins -Un determinato tipo di letteratura più evoluta finisce per intervenire in qualche modo nel panorama della letteratura italiana e diventa ingombrante, scomoda, potrebbe dar fastidio a qualcuno.

Davide Bregola - Stiamo facendo delle supposizioni, però credo che il dialogo tra vari scrittori sia utile per far venire fuori queste incomprensioni, chiarire le ambiguità... Per vedere se ci sono degli osteggiamenti, degli attriti, delle piccole fortezze costruite per salvare il proprio piccolo appezzamento. Non ho mai sentito dire da uno scrittore italiano: questo lo boicottiamo perché rischia di farci tornare a fare i turni in fonderia, per dire...

Julio Monteiro Martins - Partecipo spesso a convegni ed incontri tra scrittori come quello organizzato da Carla Benedetti alla Normale di Pisa, ma non sento mai parlare di questi nuovi autori stranieri che scrivono in italiano.

Mia Lecomte - Ricordo, quando uscirono i primi tre quaderni della mia collana ci fu un bell'articolo di Pietro Pedace su Linea d'ombra. Raboni, sul Corriere, scrisse in proposito che questi autori parlavano ancora una sorta di pig italian, e che quindi non andavano presi in considerazione, e diceva: per adesso sono soltanto spine e se sono rose fioriranno. Tuttavia, si è ben guardato dal verificare se nel frattempo le rose fossero fiorite. E il discorso poi ,alla fine, si è concluso lì.

Davide Bregola - Ricordo un altro articolo importante sul Corriere, di Cinzia Fiori, in cui parlò della letteratura migrante in occasione dell'uscita del libro di Tawfik e Muin Madih Masri. Figurava anche un'intervista ai critici che avevano avuto a che fare con la letteratura americana della migrazione, oppure traduttori. Intervistando Sanguineti, lui disse che questa poteva essere la letteratura del futuro. Però era tutto ancora in fase embrionale.

Mia Lecomte - Poi ce ne fu uno anche di Mirella Serri su La Stampa, dal titolo Il nuovo Dante sarà migrante, o qualcosa del genere. Però poi l'interesse si è perso.

Davide Bregola- La particolarità dei migrant writers italiani è davvero interessante perché è veramente unica nel suo genere. Scrittori francofoni o anglofoni sono sempre esistiti. L'italiano è per antonomasia la lingua letteraria, anche se fondamentalmente è una lingua molto giovane. Prima dell'avvento della radio e della televisione si parlavano tanti dialetti, la lingua italiana era veramente per pochi. Ecco allora l'importanza di essere consapevoli che la lingua italiana la stiamo facendo insieme, scrittori allofoni in italiano e persone o scrittori italiani. Io credo che la lingua italiana abbia una certa unitarietà a partire dagli anni cinquanta, quando la tv obbligava lo spettatore ad ascoltare una lingua che non era il suo dialetto e allo stesso tempo uniformava un modo di parlare.

Mia Lecomte- Come dicevo al convegno di Roma, in realtà l'italiano è la lingua adatta per accogliere questa nuova letteratura, perché non è una lingua unitaria, lo è da poco, ed è dunque il contenitore ideale per ricevere queste lingue. Nonostante si citi Dante, non esiste questa unità. C'è sempre stata una controspinta all'interno della lingua italiana, un tentativo di teorizzazione per costruire una lingua unitaria, che falliva in continuazione perchè questa lingua attica non si è mai riuscita a costruire in quanto le forze centrifughe all'interno erano troppe. Questa è un'ulteriore conferma che si tratta della lingua adatta ad accogliere questo fenomeno.

Julio Monteiro Martins- Tu hai scritto per la rivista Sagarana un articolo specifico sull'editing. Ci dai una tua impressione?

Davide Bregola- Tenevo particolarmente al tema dell'editing, infatti la domanda sull'editing ricorre in vari autori, perché il mondo degli editor è davvero particolare, il rischio di travisamento è sempre alle porte e questo rischio avviene anche per gli autori italiani.
Mi sono chiesto allora: se questi editor non possiedono una forte preparazione letteraria, rischiano di travisare l'autore straniero e magari scambiano un contributo alla lingua per un errore. Dopo tutte le domande sull'editing che ho fatto, sono arrivato ad avere una mia soluzione che potrebbe essere quella di instaurare tra chi scrive e l'editor della casa editrice un rapporto di empatia, per cui uno si fida dell'altro, lo stima, e viceversa, e quindi ogni contributo dell'autore o dell'editor è fatto solo per rendere al meglio lo scritto e nulla più. Questo solo per il bene della letteratura, non per riuscire ad accattivare un pubblico anziché un altro.
Quando nasce un rapporto del genere, di vicinanza e stretta collaborazione, magari una forma grammaticale che in italiano potrebbe essere errata ma giusta nel portoghese, potrebbe essere adottata come ulteriore possibilità e sviluppo della grammatica italiana, per dire. Però una cosa del genere può nascere solo da questa sorta di metempsicosi tra editor e autore.

Julio Monteiro Martins - Ci vuole anche equilibrio, per non fare l'errore opposto, e cioè attribuire a dei semplici sbagli qualcosa di innovativo.

Davide Bregola - Anche questo è vero.

Mia Lecomte - Se lavori per il bene del testo è difficile che tu faccia questo errore. Mi trovo a lavorare costantemente con lingue che non conosco, e riusciamo ad arrivare a qualcosa, come con Anilda, proprio con un rapporto umano molto stretto.Il resto poi si costruisce.

Davide Bregola - Su questo tema ho fatto una domanda precisa a Tawfik. Adesso ve la leggo insieme alla risposta: "Al tempo della Divina Commedia l'italiano era giovane, in via di definizione, le regole non erano state ancora codificate in una grammatica. Dante usa quell'italiano, anzi quel volgare di Firenze, come strumento potente di conoscenza e di poesia. È una lingua letteraria avanzata, molteplice, che ingloba allegorie, stili, strumenti retorici, aperta al passato vicino e lontano. Venendo a noi, luglio 2001, l'italiano è una lingua in continua evoluzione che si va arricchendo di contaminazioni. - Lei ritiene che la vitalità di questa lingua si nutra anche della presenza di voi scrittori allofoni?". Risponde: "Ho usato intenzionalmente alcune parole nella mia lingua nel romanzo. Qualcuno mi hanno chiesto perché non ho messo la traduzione, ho risposto che si doveva capire il tutto dal significato della frase. Nella quotidianità succede che sentendo parlare stranieri in italiano venga fuori una parola, quella sola parola, nella loro lingua d'origine, che fa effetto proprio perché non si traduce. Un giorno non lontano quella parola rimarrà e sarà usata comunemente. In Francia, ad esempio, ci sono parole che si usano normalmente nel linguaggio e vengono usate da tutti, nel genovese si usa una parola mendilo che vuol dire fazzoletto e deriva dall'arabo. Quando si dice darsena si è di fronte ad una parola araba, che vuol dire casa dell'industria, laboratorio. Ora si dice, magari: ieri mia madre mi ha fatto il cous cous, quindi si evince che le contaminazioni arabe, albanesi ecc. sono inevitabili. L'Italia è un paese ancora giovane per quanto riguarda l'immigrazione, ma il fenomeno sarà destinato a crescere. Si arriverà dunque a giocare con la lingua, a modellarla come fanno gli scrittori in Francia, nascerà un nuovo lessico, costruzioni grammaticali nuove per l'italiano. Ricordiamo che il volgare, nei confronti del latino classico, era tutto sbagliato, ma poi è diventato la regola dominante. Io, per esempio, uso la parola disperduto, unione tra due parole, ossia disperso e perduto, mi piace il suono, onomatopeicamente funziona meglio, per me è bello dare più forza e emozione al vocabolo."


Mia Lecomte - Che tipo di editor si vorrebbe si è capito. Ma come è realizzabile?

Davide Bregola - Gli editor nelle case editrici sono quasi tutti freelance, persone che danno un servizio con un certo contratto. Il rapporto di vicinanza stretta è nato tra l'editor del Saggiatore, che si chiama Fontana, e Smari Abdel Malek che ha pubblicato Fiamme in paradiso. Lui mi diceva che l'editing apportato al suo libro è stato fatto in questo modo, con la vicinanza stretta tra scrittore e editor e il rispetto reciproco, l'alta considerazione che avevano l'uno per l'altro. Quindi, paradossalmente, le medie case editrici fanno ancora un lavoro artigianale, che magari è precluso alla Mondadori.

Mia Lecomte - È proprio un'alchimia umana, più che una questione professionale, come un matrimonio, non è che funzioni sempre, non è che sia così scontato, per questo è una questione delicata.

Julio Monteiro Martins- Mentre parlavamo continuavo a riflettere sul perché queste persone hanno cambiato paese e lingua. Mi è venuta in mente una possibilità: per tante persone, tanti scrittori o intellettuali, la circostanza di essere straniero si addice di più al loro carattere, che quella di essere "connazionali". È come se già dalla nascita si fossero visti in un certo senso stranieri. Io ho avuto un po' questa sensazione, mi sento più me stesso nella condizione di straniero nei paesi dove vivo, che nel mio paese d'origine. Sono un nativo così atipico, e magari mi aspetto una comunione con la mia cultura, che tutti i giorni ho un gusto amaro di tradimento del mio popolo riguardo me stesso. Mentre dagli stranieri, dai quali al contrario non mi aspetto niente, mi sento sempre gratificato, felice per quello che mi danno. Come dice la saggezza popolare: "Nessuno è profeta in patria", e in portoghese si dice "Santo de casa não faz milagre", cioè il "Santo in casa propria non fa miracoli". Tutte le lingue hanno un'espressione per dire la stessa cosa. Si dovrebbe riflettere un po' sul suo significato. Che miracoli sono questi che non sono fatti a casa ma possono essere fatti altrove? Essere scrittore è in un certo senso essere straniero. Se mi sento già straniero, allora arriviamo fino in fondo, facciamo lo straniero fino in fondo.

Davide Bregola - Secondo me sono motivazioni anche soggettive. Adesso, ripensandoci, ognuno degli intervistati mi ha dato una motivazione personale. Ad esempio Helga Schneider, mi ha detto che lei se ne è andata dalla Germania perché sentiva troppo forte la responsabilità di essere figlia di una SS, e quindi ha voluto fuggire da un paese che le ricordava troppe cose spiacevoli, e andare in Italia perché in qualche modo aveva visto delle belle immagini che l'avevano colpita particolarmente. Un altro, Ron Kubati, un albanese, mi diceva che il concetto di "vai e non torna", è un concetto del folklore balcano. "Vai e non torna", vuol dire andare via dal proprio paese per indigenza e cercare di costruire altrove un qualche sogno. Tawfik mi diceva che è andato via dal suo paese per motivi di studio, di amore della letteratura italiana. Amava Dante, tradotto, e lo voleva leggere in originale; quindi, da ragazzino, dopo le superiori, è voluto andare nel luogo dove era nato il suo poeta preferito. Lamri è andato via dall'Algeria per amore, perché si era innamorato di una ragazza italiana. Non so se siano ragioni vere o meno, magari sono ragioni pratiche che celano cose più profonde.

Julio Monteiro Martins - Forse entrambe le cose. C'è una ragione di fondo, e una circonstanziale, pratica, che ha dato la spinta. Il leitmotiv è nel profondo.

Davide Bregola- Magari non sono arrivato ad una confidenza tale da farmi dire il vero motivo...

Julio Monteiro Martins - Non credo si tratti di questo, forse loro stessi non lo hanno chiaro, forse è più nell'inconscio. Lo scrittore, in questa sua avversione alla banalità, in questa sua ricerca intensa di originalità e creatività, si sente a suo agio nella sua condizione di straniero dove lui è un originale, una sorta di extraterrestre, di alieno. Mentre essere nazionale è una banalità. Allora c'è già una certa logica dietro, l'originalità dello straniero.

Davide Bregola- Allora tu dici che c'è chi arriva a conoscere le vere motivazioni che possono essere psicologiche e chi invece rimane in superficie e da delle motivazioni astratte?...

Julio Monteiro Martins - Anche per autodifesa può anche rimuovere la vera motivazione. Non esiste la persona che non abbia creato un personaggio. Tutti sono scrittori almeno di un grande e complesso personaggio che è l'autoimmagine. E l'autoimmagine è proprio un personaggio narrativo, di finzione, non c'entra niente con la verità di quella persona. E le motivazioni che hai menzionato qua mi sembrano tutte elementi costitutivi del loro personaggio: io sono uno che in Libia ho conosciuto una ragazza italiana, io invece sono uno che amava talmente Dante da venire in Italia ecc... Ma questa è letteratura pura! Mentre, secondo me, la realtà che li accomuna, il leitmotiv profondo, è una spinta inconscia legata più alle cose che dicevo.

Davide Bregola - Sarebbe bello fare delle interviste specifiche su questa cosa, tipo Patrie immaginarie, alla Rushdie, oppure con il titolo Io sono uno che...

Mia Lecomte - Diventerebbero deludenti...Molti lo sono. Sono così presi dalla costruzione continua di se stessi che poi la realtà non regge, fa acqua da tutte le parti.

Julio Monteiro Martins - Bisogna vedere che cosa ti aspetti. Comunque, in questo caso, mi sembra che se sono vere queste motivazioni profonde di cui parlavo, sono molto più interessanti di quelle dei personaggi di ognuno. Allora, in verità, forse invece che delundenti diventerebbero sorprendenti, in senso positivo.

Amor Dekhis- Le motivazioni per venire in Italia sono abbastanza oggettive, facili da definire. Perchè si scrive in italiano, mi sembra più complesso. A volte mi chiedo perchè scrivo in italiano, ed ogni volta trovo una motivazione diversa.

Davide Bregola- Ho fatto domande specifiche sul perché scrivono in italiano. Ed ognuno mi ha dato una motivazione diversa. C'è chi l'ha fatto per comunicare con gli autoctoni: l'esercizio della scrittura faceva parte di un esercizio più ampio e complesso che era quello di imparare una lingua. Oppure altri mi hanno detto che essendo venuti per studiare, hanno dovuto imparare una lingua per lo studio. Le vere motivazioni si riescono a conoscere solo approfondendo e stando vicino a queste persone.

Julio Monteiro Martins - Per chi vuole analizzare le loro opere, conoscere la vera motivazione che li ha spinti a lasciare il proprio paese forse non ha importanza, l'importante è ciò che fanno. Però credo che possa gettare un fascio di luce sulla condizione umana, su un determinato volto dello spirito umano, riguardo all'inserimento nel mondo, nella contemporaneità, riguardo all'autoimmagine. Siccome gli scrittori sono individui complessi, che magari portano all'estremo certe situazioni che esistono in un modo o nell'altro in tutte le altre persone, forse comprendendo bene le sfumature dell'inconscio, si capirà qualcosa anche dell'uomo nel senso più ampio, del nostro periodo storico.

Davide Bregola- Quando ieri parlavamo, dicevi che lo status di scrittore è molto appetibile per alcuni tipi di persone, che alcuni tipi di immigrati vi vedono una sorta di dignità acquisita con la pubblicazione.

Julio Monteiro Martins- È un argomento un po' diverso, ma è vero anche questo. Dicevo che tra i migranti c'è una percentuale sempre più alta di scrittori o di persone che cercano di farsi scrittori in qualche maniera. Questo perché la condizione dell'immigrato nella società italiana è così svuotata di dignità, che passare ad avere l'identità di scrittore, anche se si hanno due racconti pubblicati in antologie, poter dire di essere uno scrittore, conferisce un salto di qualità gigantesco, sia riguardo alla percezione della società, sia riguardo la propria autostima. E ci sono anche tutti questi concorsi, alcuni onesti, altri meno, per canalizzare questa richiesta.

Davide Bregola - Questi concorsi stanno avendo un grande successo, i mass media li pubblicizzano molto. Per esempio il concorso Eks & Tra ha avuto anche nella sua ultima edizione un battage pubblicitario enorme, un'eccezionale visibilità.

Julio Monteiro Martins - Perché corrisponde simultaneamente a due domande, entrambe politicamente pressanti: quella dei migranti e quella della società italiana. E ci sarà sempre il politico italiano che vuole privilegiare questo tipo di narrativa, che si identifica di più con il loro stereotipo di migrante, le loro storie, e allora soddisfa allo stesso tempo il mittente e il destinatario, e così cresce un consenso positivo attorno, e appoggi, sponsorizzazioni, stampa... tutto questo.

Davide Bregola - Sì, infatti ho notato questo incremento sia di partecipazione che di interesse da parte dei mass media, ma anche dei finanziamenti pubblici che magari scoprono adesso una cosa che sta andando avanti da dieci anni, ma che presentano sempre come una novità. Allora il problema è che se prende piede solo questo tipo di punto di vista è molto limitativo, perché non dà spazio alle frange più all'avanguardia, quegli scrittori che hanno superato già tutta questa concezione, e in qualche modo, se diventa quella la linea predominante, è più un impoverimento che una crescita. Il tema è sempre quello della letteratura testimoniale che conosciamo. Una sorta di biografia resa narrativa che rischia di essere la "poetica del piagnisteo" e nulla più.

Julio Monteiro Martins - Questo appunto è un consenso che abbiamo trovato in questi giorni.

Davide Bregola - Per l'Occidente è una cosa appagante, nel senso che lo si presenta come un servizio che si fa allo straniero o comunque appare come una sorta di apertura mentale, e invece nasconde delle cose più terra terra e che non portano certo allo sviluppo della letteratura, questo è vero. Ma come si può evitare tutto ciò?

Julio Monteiro Martins - Magari si creeranno due mondi letterari entrambi interessanti, forti uno letterariamente e l'altro sociologicamente, facendo ognuno il suo percorso. Può darsi.

Davide Bregola - Però, paradossalmente, potrebbe avere più visibilità la parte che vende di più. Quindi, se dovesse capitare che per l'editoria quello della "poetica del piagnisteo" è un filone d'oro, l'altro tipo di letteratura verrebbe dimenticato o quanto meno lasciato in disparte. Bisogna tenere in considerazione che non sono tutti addetti ai lavori. Adesso qui stiamo parlando tra persone un po' smaliziate sul tema, ma io faccio l'esempio dei miei incontri con le bibliotecarie, che dovrebbero essere tra gli addetti ai lavori ma che non sanno nulla di queste cose, mi chiedono le bibliografie perché non conoscono niente su questi temi. Figuriamoci se sanno la differenza tra un'antologia Eks & Tra o un libro di un autore di altra caratura.

Mia Lecomte - Si costruisce un luogo dove tutto è spiegabile e verificabile, la cui conoscenza man mano si diffonde, parlo di un luogo virtuale. Questo permette anche di fare discriminazioni in maniera più chiara, perché non si può andare sempre in giro per biblioteche a spiegare. Un luogo dove puoi mettere insieme le cose, per esempio il tipo di letteratura che propone Eks & Tra va bene per le scuole, può essere interessante per insegnare certi valori a livello di manualistica scolastica, inculcare una coscienza civile, e quindi ha un pubblico editoriale di un certo genere.

Davide Bregola - Io credo che nella scuola sia educativa fino a un certo punto, perché nelle scuole, dove gli insegnanti dovrebbero essere preparati, si parla ancora di multiculturalità mentre invece questa è già superata dai fatti, così come l'interculturalità.
Adesso i critici più preparati dibattono sulla transculturalità, ma a scuola siamo ancora ai dibattiti che si facevano agli inizi degli anni ottanta. I ragazzi sono persone che apprendono molto, sono delle spugne e il rischio è che rimangano con questa idea: quella del migrante che arriva con il motoscafo, ecc., il rischio è quello. È una bella sfida.

Mia Lecomte - Armiamoci e partiamo.

Davide Bregola - Armiamoci e partite!

Julio Monteiro Martins -Parlaci un po' del tuo nuovo romanzo. Come si intitola?

Davide Bregola - L'ho scritto in portoghese!!!...me lo stanno traducendo... no... scherzo!
Scrivo da una vita, e a metà degli anni novanta ho pubblicato in antologie dei racconti, in particolare in un'antologia che curava ancora Piervittorio Tondelli per Mondadori. Era un'antologia "under venticinque", cioè per persone che avevano meno di venticinque anni, e questi racconti venivano pubblicati periodicamente in antologie che si chiamavano in vari modi. Anche quella è una forma di ghettizzazione, perché comunque l'etichetta di giovane autore ti rimane appiccicata, finché non hai il bastone e il morbo di Alzhaimer o cose del genere. Però il dato di fatto è oggettivo, se hai meno di venticinque anni...Sì, io nel 1996 avevo pubblicato tre racconti in questa antologia, per Transeuropa, curata da Silvio Ballestra e Giulio Mozzi, un'antologia uscita nel periodo in cui la narrativa giovane andava per la maggiore. Quando io andavo alla Transeuropa, ad Ancona, c'era Enrico Brizzi che aveva appena pubblicato Jack Frusciante è uscito dal gruppo, c'era Ferracuti, c'erano Giuseppe Culicchia, tutti questi autori che adesso vendono e sono considerati dalla critica. I primi contatti con il mondo della narrativa li ho avuti lì in quegli anni, e poi ho continuato a scrivere senza essere preso in considerazione, ma non mi interessava, ero molto preso dal dibattito dei cosiddetti nuovi narratori: scrivevo racconti per riviste come la Fernandel di Ravenna, oppure interventi su Versodove, o riviste per addetti ai lavori, ma che sono tenute in considerazione dagli editori. Giulio Mozzi era uno dei curatori di questa antologia, eravamo rimasti in contatto, io poi al mio paese organizzavo sempre incontri con gli autori, quindi negli anni novanta feci un circolo culturale insieme ai miei compagni di liceo che si chiamava "Gioventù sonica", nel quale facevamo una rivistina e periodicamente invitavamo degli autori in biblioteca per parlare con le persone. Tenete in considerazione che il mio paese ha seimila abitanti, e venivano persone quali Claudio Magris, Pontiggia, la Spaziani, Enrico Brizzi, Silvia Ballestra, insomma, mi tenevo in contatto con queste persone. Quando è nata questa Sironi editore, la cui collana è curata da Giulio Mozzi, mi ha fatto la proposta di mandargli le cose che avevo scritto. La redazione l'ha accettata e adesso sembra che la pubblichino all'inizio del 2003. Sono nove racconti: otto racconti più un racconto lungo, che io considero un romanzo breve, intitolato La lenta sinfonia del male. E' già bello come titolo, no? Il libro comunque si intitolerà Racconti felici e Sironi ne sarà l'editore.

Julio Monteiro Martins - Sì, poetico...

Davide Bregola - Questo è stato il mio percorso. Una serie di coincidenze. Non ho mai spedito manoscritti a destra e sinistra o cose del genere, è venuto tutto molto naturalmente.

Julio Monteiro Martins - Mi hai parlato di quei due personaggi del libro...

Davide Bregola - Sì, nel racconto La lenta sinfonia del male, sono essenzialmente due i personaggi: una ballerina di danza classica e l'amico che la ama. Lui è un appassionato di astronomia, quindi un astrofilo che in qualche modo attende l'eclissi di sole per una svolta personale, e quindi questo racconto lungo è ambientato nel giorno dell'eclissi di sole della fine del millennio, con relativi flashback e cose del genere. Il racconto è in terza persona, il narratore è onnisciente, però c'è una particolarità, una lettera introduttiva di una persona che dice di aver comprato un computer portatile usato e di aver trovato questo file all'interno casualmente, quindi all'inizio si presenta alle persone e offre questo manoscritto ritrovato perché lo reputa interessante. L'escamotage è quello di manzoniana memoria, riaggiornato all'oggi, non c'è più un manoscritto ma un file lanciato lì come un messaggio in una bottiglia.

Edgar Hernandez - Sentendovi parlare ho sentito che avete usato molte parole straniere, soprattutto in inglese, parole che magari non esistono in italiano oppure che esistono anche in italiano ma non le usate...come under venticinque o editor. Non avete paura di perdere la vostra lingua?

Davide Bregola - Io cerco di essere meno esterofilo possibile, però hai ragione, il dominio è talmente forte per cui diventa naturale la commistione.

Julio Monteiro Martins - Io ho una mia idea personale, credo che chi lavora con la letteratura o la psicologia, e più in generale con argomenti complessi, abbia un universo concettuale molto sottile, e allora l'arsenale del lessico a disposizione nella propria lingua non basta, e così comincia automaticamente a fare ricorso ad altre lingue. Come per esempio la saudade portoghese è diversa da quella che è la "nostalgia" in italiano; ma anche, per esempio, se pensiamo ad una donna che è stata sposata due anni con un miliardario e dopo va a vivere sei mesi con un altro, insomma non è una prostituta perché si sposa, però non è nemmeno una casalinga, una sposa tradizionale, i francesi usano l'espressione demi-mondaine, e allora la prendo da lì perchè in italiano non c'è un corrispondente per esprimere quel tipo di concetto. Anche in Brasile, per esempio, quando un nuovo capo entra in una ditta e licenzia tutti per mettere i suoi uomini, noi utilizziamo una parola italiana diciamo "Quello è entrato e ha fatto una razzia". E gli italiani sono chiamati carcamano. È una parola un po' peggiorativa, significa arricchito, ma di bassa estrazione sociale. E da dove viene? Perché nel momento di pesare le verdure carca la mano, cioè carica il peso della mano per aumentare il prezzo... Anche il brasiliano ha dato molte parole all'italiano, come goleada, favela, oppure quelle aberrazioni che sono meniños de rua, che è mezzo spagnolo, niños e mezzo portoghese, meninos.

Amor Dekhis- Anche da noi in Algeria ci sono degli usi della lingua che non capisco. Per esempio in certi ambienti, quando si parla del bar o della birra, si dice brasserie o bière, utilizzando il francese mentre tra la gente comune per la strada il bar lo chiamiamo "taverna" e la bière diventa "birra"! Io non so come siano entrate queste parole italiane nell'arabo!!

Julio Monteiro Martins - Le lingue dentro le altre lingue sono qualcosa di affascinante.
Beh, chi fosse interessato a questi argomenti può intervenire nella Sagarana-list. Io vi ringrazio per aver partecipato a questi incontri in un clima così amichevole, informale e cordiale.