Martedi 1° luglio - pomeriggio

Sessione di apertura - Interventi di Julio Monteiro Martins, Davide Bregola, Dario Voltolini, Amor Dekhis

Julio Monteiro Martins - Ringrazio tutti gli ospiti e il pubblico presente per aver sfidato questo caldo africano. L'incontro di oggi rappresenta un evento speciale, unico direi, poiché per la prima volta abbiamo riunito scrittori italiani stanziali di successo come Voltolini e Bregola e due scrittori cosiddetti migranti o dell'ibridazione, le definizioni sono diverse, scrittori interculturali, transculturali, della mondializzazione. Poiché si tratta di un fenomeno nuovo, ci sono i relativi tentativi di darne una definizione o un'etichetta. Dicevo quindi, che questi scrittori si sono riuniti insieme per riflettere sul presente della narrativa italiana. Soprattutto perché il fenomeno della letteratura migrante è cresciuto enormemente negli ultimi anni, sia in modo verticale che orizzontale: voglio dire che è cresciuto il numero degli autori. E' importante ricordare che la letteratura della migrazione si è sviluppata nei paesi con un passato coloniale, come la Francia e l'Inghilterra nelle cui colonie esistevano già delle élite che parlavano e scrivevano nelle lingue dell'occupazione, mentre l' Italia che non ha avuto una storia coloniale ha, invece, una letteratura migrante molto più ricca e variegata di molti altri paesi, perché non sono gli scrittori delle ex colonie che vengono ma scrittori di tutto il mondo, di tutti i continenti che hanno scelto la lingua italiana come lingua letteraria, la lingua del loro quotidiano e la lingua della loro scrittura. Questo fa sì che le caratteristiche di questi scrittori migranti siano diverse rispetto agli altri paesi europei. Come dicevo questo fenomeno è cresciuto sia in senso orizzontale che verticale, gli scrittori sono già al loro secondo o terzo libro pubblicato, hanno approfondito le loro esperienze creative e letterarie, sono anche nate riviste specifiche di queste aree come "El Ghibli", riviste soprattutto on-line per superare i problemi cronici di distribuzione delle riviste cartacee. Anche la Sagarana ha continuato a seguire e pubblicare gli scrittori della migrazione, ad aumentare sia il numero di visitatori che la dimensione della rivista in sè.

Da un anno a questa parte le maggiori case editrici hanno cominciato ad interessarsi al fenomento e noi siamo arrivati alla terza edizione di questo Seminario per capire proprio lo sviluppo di questa letteratura e della narrativa italiana in generale.

Vorrei fare una riflessione insieme a voi sul perché di questo fatto, sulla curiosità e l'interesse che suscita. Vorrei cercare delle risposte un po' più profonde, non mi interessano le statistiche, ovvero che cosa rappresentano nell'immaginario simbolico dell'Italia gli stranieri che si stabiliscono qui e scrivono in italiano.

Una cosa è certa, questo non è un fenomeno fabbricato dai mediain quanto molto semplicemente i media non si sono mai dimostrati interessati a questi autori. Allora se non è un fenomeno artificiale fabbricato dai media significa che è un fenomeno vero, autentico con le radici ben piantate nella realtà.

L'interesse dei media deriva dalla crescita dell'interesse da parte dei lettori, del pubblico. Un esempio può essere la rivista Sagarana che ha una media di ottocento visitatori al giorno, e da una edizione all'altra aumentano del 30%, senza che vi sia nessun tipo di pubblicità, ma è proprio il passaparola, lo scambio di articoli fra amici, e mi sembra che anche la letteratura migrante segua questo tipo di standard, di crescita spontanea dal basso verso l'alto. Questo è raro perché oggigiorno, sempre più i fenomeni culturali e non solo in questa area sono fenomeni fortemente stimolati dalle campagne dei media, ciò non significa che certi prodotti culturali non abbiamo il loro valore, alcuni ne hanno più di altri, ma in entrambi i casi essi compaiono sullo scenario culturale attraverso campagne prestabilite, mentre alcuni rari fenomeni attuali, come a me sembra quello della scrittura della migrazione, sono quelli che hanno una loro forza di propulzione e contaminazione intrinseca.

Come mai esiste questa, oserei dire, improbabile fioritura, proprio nel seno di una letteratura di grande tradizione storica come quella italiana?

Già lo scorso anno abbiamo accennato alle ritrosie di certi studiosi e italianisti che non vedono di buon occhio le contaminazioni nella lingua di Dante e di Boccaccio, da parte di certe persone che compiono errori grammaticali, etc.

Le mie risposte alle cause più profonde del fenomeno sono che, in primo luogo, gli scrittori migranti riportano alla letteratura il senso dell'epico, ma soprattutto l'epico della loro avventura di vita, questo cambiamento collettivo di patria e di lingua contiene secondo me un elemento tragico, una sorta di morte e di resurrezione. Inoltre, soprattutto quando sono dei popoli che emigrano, ci riportano alla mente alcune icone della cultura ebraico-cristiana come l'esodo. La cronaca riporta spesso i casi di navi che affondano piene di clandestini che possono ricordare anche la fuga dall'Egitto, l'attraversamento del Mar Rosso, miti molto radicati nelle nostra cultura, archetipi molto profondi.

La letteratura migrante è fatta da sopravvissuti, non sono persone normali, ma persone che in modo più o meno drammatico sono tutte sopravvissute ad una traversata di questo genere. Questa morte amministrata che io chiamo esilio, impregna i testi di questi autori, anche quando scrivono di argomenti totalmente diversi come le relazioni di una coppia, o la noia, ma la materia di fondo che costituisce la natura di questi discorsi rimane sempre l'esilio.

Un'altro elemento da ricordare è che ci sono due tipi di migrazione in verità: i cinesi a Prato o gli Africani o i latinoamericani che vengono in Italia, ma anche le lingue che portano con loro. Vi è una migrazione di corpi e di storie personali e una migrazione di una lingua nell'altra (nel terzo giorno del seminario ci sarà un proprio un incontro con la giornalista Cecilia Rinaldini su come la stampa ha riportato questo fenomeno, e successsivamente la ricercatrice Sonia Sabelli dell’Università di Roma ci  presenterà uno studio nelle università italiane e straniere di questo fenomeno della migrazione ).

Qual'è il retaggio, i residui della lingua di origine, sarà che nella lingua italiana rimangono elementi dell'arabo o del portoghese brasiliano o delle lingue slave? Questa nuova letteratura italiana credo porti con sé un certo codice genetico intrinseco ad essa, anch'esso oggetto di studio a livello accademico, come vedremo.

Julia Kristeva ha analizzato molto bene la tragedia della scomparsa graduale della lingua madre, giungendo a scrivere una frase molto drammatica e commovente "questi scrittori portano dentro di loro una lingua amata e inutile come un bambino handicappato", ed è proprio così, ci trasciniamo dietro, con amore, un qualche cosa che a poco a poco si decompone e non serve più a nulla ed è sempre un peso che interferisce nella nuova realtà.

Ci sono due tipi di viaggiatori di massa nell'epoca attuale: i turisti e gli emigranti. La differenza curiosa tra questi due gruppi è che i turisti vogliono scappare dalla normalità, di solito non ci riescono, ma il loro scopo è allontanarsi dalla normalità. Gli emigranti a loro volta cosa vogliono? Vogliono acquisire la normalità. Tutti quei poveracci che annegano nel Mediterraneo, muoiono per un sogno, un ideale di normalità.

La cosa più noiosa che possa esistere in Italia come una riunione del condominio, può essere per un imigrante un evento molto positivo perché se lui è accettato in quella riunione, riesce a parlare e decidere sul parcheggio ecc., lui ha fatto un'esperienza di normalità, ha oltrepassato un rito di normalità che è un rito di inclusione. Queste riflessioni vanno fatte soprattutto perché l'Italia invecchia e qualcuno deve continuare a lavorare e gli anziani devono essere accuditi, così tutti quei discorsi razzisti che si leggono sui giornali sono del tutto superflui, l'Italia deve gestire questa presenza e in nessun modo negarla perché è come se si negasse l'ossigeno.

Scrivere è un altro rito di inclusione. Un non italiano che scrive e riesce a pubblicare il suo libro ha realizzato un'inclusione molto speciale, direi privilegiata, perché essere considerato scrittore nel nuovo paese significa bruciare molte tappe, significa diventare produttori di cultura, acquisire una coscienza critica della realtà. Scrivere un bel romanzo o delle belle poesie significa uscire dal limbo della condizione di straniero, di migrante, ed essere inserito nella fetta più nobile della nuova società.

Pubblicare un libro in Europa per un emigrante è la massima redenzione, è nascere una seconda volta attraverso quel figlio di carta. Paradossalmente possiamo dire che non è lui a creare l'opera, è l'opera che lo crea. Un libro quando è pubblicato ha creato il personaggio dello scrittore, è il suo libro che riscriverà la sua identità.

Per tutta la mia vita ho letto e cercato di conoscere la storia letteraria e devo dire che poche volte l'aspetto umano dell'esistenza si è così mischiato e integrato nell'aspetto letterario, come in questa letteratura migrante in Italia. Poche volte il destino personale delle persone ha trovato un elemento naturale così efficace come quello della letteratura, è proprio diventato un elemento essenziale del riscatto. Leggendo questi libri si capiscono tante cose nuove sull'esistenza, soprattutto sulla rottura traumatica con l'esistenza che è la stessa migrazione, ma sopratttutto si capisce tanto sulla letteratura stessa, sul fenomeno degli scrittori che scelgono una nuova lingua letteraria. Prima si contavano sulle dita di una mano, Conrad, Nabokov, oggigiorno è un fenomeno di massa esteso e ricco.

E' con orgoglio e con grande senso di responsabilità culturale quindi che chiudo il mio intervento e apro questo terzo Seminario. Questo evento di Lucca è diventato in questi ultimi tre anni il nucleo di una riflessione critica su un fenomeno creativo ampio ed esteso, e non si possono portare avanti eventi di questa importanza senza una riflessione critica, più responsabile e profonda sullo sviluppo di questo fenomeno. Passo la parola a Davide Bregola.

Davide Bregola - Julio ha toccato parecchi argomenti fornendo vari spunti di dialogo. Intanto vorrei fare l'elogio alle irreperibilità nell'epoca della reperibilità totale. Dicendo questo mi riferisco al fatto che la letteratura della migrazione è un tipo di letteratura carsica, nel senso che a volte viene allo scoperto e a volte va in fondo ai giornali, altre volte addirittura sparisce dai media, come diceva Julio, però esiste da parecchio tempo, esiste dagli inizi degli anni Novanta quando alcuni autori stranieri publicavano a quattro mani con giornalisti o autori italiani, i nomi ormai si sanno tutti.

In quegli anni questo tipo di letteratura aveva toccato vertici di popolarità che poi per diversi anni non si sono ripetuti, però come diceva Julio, ora è in un momento di grazia, si sta riscoprendo l'interesse nei suoi confronti e anche le case editrici stanno ripubblicando testi di narrativa e di saggistica di persone straniere che decidono di scrivere nella lingua di adozione e non nella lingua madre. Fenomeno carsico, quindi, che suscita interesse perché lo tocco con mano, io stesso l'anno scorso ho fatto una serie di interviste andando alla ricerca di scrittori stranieri in Italia, li ho incontrati personalmente, e non sono andato da didatta o da studente di università che vuole carpire o da professore, perché non sono un professore che insegna, ma sono andato come persona che scrive ad incontrare altre persone che scrivono e che provengono da paesi diversi dall'Italia. Quindi sono andato per motivi assolutamente egoistici anche se non sembra questo il significato per il quale sono andato ad intervistarli. Sono andato con umiltà ad imparare anche le loro tecniche di scrittura. Queste interviste sono state raccolte alla fine del 2002 in un libro che si intitola "Da qui verso casa" dove ho intervistato undici autori stranieri che hanno deciso di scrivere in italiano. E sono saltate fuori delle ottime cose, perché come diceva prima Julio, l'interessante dello scrittore straniero è capire quanto della sua cultura entra nelle tenciche narrative o nel linguaggio e nella grammatica italiana. Questa era una delle mie prime domande, siccome non avevo conoscenze “ecumeniche”, non potevo sapere tutto della letteratura araba, brasiliana, polacca o tedesca, la prima domanda era proprio relativa alla cultura e grammatica entrata nei loro scritti, nel loro modo di pensare ad un'altra lingua diversa dalla loro lingua madre.

Un caso per tutti: quello della scrittrice Helga Schneider. La madre guarda caso è una ex SS e quindi patria uguale madre, è costretta a scappare perché non accetta questa figura così ingombrante, collusa con i nazisti, tanto è vero, come diceva prima Julio, la biografia e la letteratura sono tutt'uno, sempre Helga Schneider scrive libri per Adelphi e per Rizzoli, per Salani, quindi grosse case editrici e i libri che le riescono meglio sono proprio quelli sul rapporto madre/figlia, dove la figlia è una donna che va a vivere in un altro stato, dove la madre è sempre una SS che in qualche modo non rinnega il proprio passato.

Alcuni critici contemporanei italiani dicono che un narratore agli esordi è bene che racconti di ciò che sa e che conosce. Questo l'ho sperimentato sulla mia pelle, riconosco che i libri meglio riusciti  sopratttutto i­­n ambito del libro di esordio, sono quelli in cui la biografia ha attinenza con le tematiche affrontate nei libri, anche Pier Vittorio Tondelli diceva: scrivi di ciò che sai. Non è una regola ma può essere un buon suggerimento anche per una persona che proviene da un luogo diverso dall'Italia, raccontare la propria esperienza di vita, a seconda della profondità dello scritttore, può diventare un'ottima tematica da affrontare a livello narrativo. Hitchcock diceva: parti da un cliché per arrivare a qualcos'altro. Si può benissimo partire dal cliché della migrazione per raccontare qualsiasi altra cosa. Quindi non è necessario parlare per tutta la lunghezza del romanzo o del racconto della propria esperienza di migrante, si può partire da lì per raccontare veramente il mondo intero. Tolstoj diceva: racconta del tuo paese e avrai raccontato il mondo intero. E' vera questa cosa purché il narratore sia bravo e riesca a raccontarlo. Secondo me non è precluso niente, si può sempre scrivere un bel libro che sia autobiografico o meno. Dipende dal talento e dalla specificità dell'autore.

Un'altra questione interessante della migrazione. Ad un certo punto quando andavo in giro per l'Italia a parlare con questi autori, quasi come per un gioco degli specchi ero io l'ospite, quindi ecco che le persone venute in Italia nel migliore dei casi sono nostri ospiti e per una volta sono stato io ospite loro. Sono entrato nelle loro case, mi hanno accolto, ho parlato con loro, ho visto le loro case le loro biblioteche, i loro libri, la loro officina. Sono andato veramente ad imparare delle cose, per cui il libro che ho scritto successivamente non sarebbe stato lo stesso se non avessi avuto questa esperienza di incontro. Diciamo che sin da ragazzino andavo a disturbare degli scrittori. Avevo fondato al liceo un circolo culturale  dove si tenevano incontri con i narratori proprio negli anni '90. Però incontravamo scrittori italiani-italiani e bastava una telefonata. Telefonavo per esempio a Luisa Spaziani e lei tutta contenta veniva a parlare nella biblioteca del mio paese.

Amor Dekhis: .....Mentre preparavo la tesi al contempo scrivevo qualcosa sulla mia esperienza in Italia, da portare con me come ricordo, se non per pubblicare, almeno per gli amici. C'è stato un sentimento molto forte verso la lingua italiana che mi ha spinto a scrivere direttamente in italiano. Noi a scuola studiamo l'arabo e il francese e a casa parliamo in dialetto. Si può dire in un certo senso, che nessuna di queste lingue sia la lingua madre. Potrebbe esserlo forse il dialetto, però contiene un piccolo gruppo di vocaboli che non è mai stato al centro dell’interesse degli studiosi, ed è una forma di espressione limitata alle necessità del quotidiano. Il francese e l’arabo, al contrario, sono due lingue che contengono e regolano la vita di chi vuole esprimersi su argomenti di un certo livello, in particolar modo per la lingua letteraria. Nel mio paese, almeno fino a adesso, non è mai uscito un libro scritto in diletto. E sto parlando di scrittori affermati, tradotti in molte lingue e letti un po’ ovunque. Ma non solo, c’è chi insegna o utilizza, per esempio l’arabo nel suo lavoro, e scrive in francese. C’è chi aveva pubblicato in francese ed a un certo punto, è passato all’utilizzo dell’arabo, senza troppe polemiche. Non so se, per scrivere, occorra sempre farlo nella lingua madre. Credo che sia meglio parlare magari della lingua viva. Quella con la quale conviviamo giorno per giorno, quella che il mondo intorno a noi parla, nella quale leggiamo i giornali, i libri, le insegne, i cartelli stradali. Con la quale trattiamo con il negoziante, scambiamo quattro parole con il vicino di casa… Seguiamo il suo evolversi, le espressioni, nuove parole, le esclamazioni, colte per la strada nella conversazione della gente comune.

Se avessi considerato le difficoltà della lingua e poi quelle per la pubblicazione forse avrei smesso subito di scrivere. Specialmente quando ho mandato il primo scritto a varie case editrici, le risposte non erano molto incoraggianti.

Le difficoltà della lingua sono molte per cui credo che per noi, per realizzare un testo ci impieghiamo molto più tempo, non solo per mancanza di tempo o per poco entusiasmo nei confronti di una possibile futura pubblicazione, ma ci vuole anche una certa calma e tranquillità e quest'ultima non è così facile perché l'emigrato ha bisogno di provvedere a se stesso, alla casa, alla famiglia, ma anche la lingua stessa, le espressioni idiomatiche che ci sfuggono. Nonostante tutte le difficoltà quando la passione per la scrittura è davvero forte, si continua a scrivere nonostante tutto. Conosco tanti altri scrittori bravi i cui scritti rimangono nel cassetto perché non hanno avuto la possibilità di pubblicare. Se ci fosse più interesse nei nostri confronti da parte delle case editrici credo che noi stessi saremmo in grado di scrivere meglio.

Dario Voltolini:  Voglio dire delle cose un po' in ordine sparso e toccare vari punti. Mi sembra ci sia un nesso tra lo stato attuale della narrativa italiana e l'apertura verso la scrittura della migrazione. Forse per chi si è formato dagli anni Sessanta in poi, come un po' tutti noi siamo, si sono venuti ad allestire dei parametri anche letterari molto nuovi rispetto a quelli che, per esempio la critica o la ricezione o anche solo i media hanno nel frattempo allestito, per capire cosa sta succedendo nella letteratura italiana. La mia opinione è che nella letteratura italiana degli ultimi dieci o quindici anni o forse anche di più, sono successe tante cose nuove, notevoli ed importanti. Penso che siamo da parecchi anni in una fase alta della produzione letteraria italiana, con delle caratteristiche che fanno però di questo fenomeno una cosa abbastanza non vista. Non è moneta corrente che la letteratura italiana goda di un buon momento, anzi se semplicemente si fa lo spoglio di ciò che se ne dice sui giornali è più frequente la lamentela e l'irrisione, addirittura, sulla qualità e sulla validità della nostra produzione letteraria anziché il riconoscimento contrario, che invece è quello che secondo me sarebbe vero.

Un motivo di questo fatto è che ciascuno di noi, mi sembra che lavori molto a livello personale, seguendo delle idee, ritagliandosi degli spazi del tutto a livello personale. Io mi rendo conto che amici scrittori della mia età, più o meno, con i quali concordiamo su tante cose fanno ciascuno un lavoro diverso, che io comprendo, e che apprezzo ma che non riuscirei a pensare come un lavoro simile al mio e vice versa. In questa polverizzazione e personalizzazione del lavoro letterario sta il nucleo dell'importanza della letteratura italiana di questo momento. Contemporaneamente ognuno va per la sua strada e però tutti, a gruppi o a naso, capiamo cosa l'altro sta facendo in questo momento. E' una situazione ampiamente democraticizzata.

Su questa base mi sembra molto naturale accogliere degli scrittori che vengono da tradizione letterarie e lingue diverse. Ma ciascuno accolto in quanto tale, non mi sembra che sia una situazione che si è presentata nei paesi di lingua anglosassone, con un passato coloniale importante. Non mi sembra che si possa parlare di una letteratura pakistana in lingua italiana come si può parlare per gli inglesi, oppure di una letteratura polacca in lingua tedesca o in lingua inglese di nuovo. Mi sembra che almeno in questa fase ci siano delle persone che arrivano in Italia e scelgono la nostra lingua come mezzo espressivo. Questo capita e può capitare perché questo è l'ambiente in cui noi già ci troviamo a sviluppare. Gli scrittori italiani indigeni, come me, come Bregola, non siamo organizzati in squadre o in gruppi, non esiste la squadra dei realisti o degli sperimentatori, non è così. E' difficile da spiegare perché, invece, il discorso con cui si parla della letteratura è un discorso che sta moltissimi passi dietro alla situazione reale della letteratura italiana ed è ancora un discorso in cui si va a vedere se certi scrittori fanno cartello, se fanno gruppo, se certi scrittori appartengono ad una linea comune, ma non c'è una linea comune.

Su questo devo dire che c'è un motivo di grande tenerezza e commozione, perché noi nell'autoconsapevolezza italiana che abbiamo, ci siamo sempre pensati e siamo stati abituati a pensarci come gente che scrive in una lingua tutto sommato marginale, perché la lingua imperante è quella inglese, una lingua con grandi masse di parlanti non è certo la nostra, se vogliamo è più diffuso lo spagnolo, o anche solo il cinese. L'occhio del ciclone di tutte le vicende è la lingua inglese e la narrativa di lingua anglosassone e noi abbiamo tendenza a viverci come un satellite, un'orbita un po' laterale attorno a questo centro. Vedere che altri scelgono la nostra lingua come lingua letteraria scombina le idee, mi fa venire un brivido di... anche di autostima, in qualche maniera, mi sembra un bel modo di cambiare le carte in tavola. Questo vuol dire che allora il destino della nostra lingua e letteratura non è così segnato.

Sentivo dire prima che qualcuno può storcere il naso per il fatto che nella lingua di Dante possano arrivare ad esprimersi persone che magari non la padroneggiano a livello perfettissimo.Questo è un argomento su cui  bisogna riflettere bene perché il fatto che la lingua letteraria debba essere una lingua da letterato non è affatto scontato, è un pregiudizio che io trovo ideologico, di una certa idea che qualcuno ha della letteratura. Per molto tempo, forse per secoli, la letteratura italiana è stata fatta dai letterati, come la pesca è stata fatta dai pescatori, ma non è necessariamente così. Nella letteratura italiana si sono affacciate figure che non sono figure di letterati, la letteratura  è recuperare la parola originaria, poi dopo cade in lingua scritta, può essere studiata dai letterati, o anche fatta da loro ma non necessariamente solo da loro. Pensavo alla figura di Dante, se vogliamo è proprio il paradigma contrario, ovvero colui che ha scelto l'italiano per esprimersi, poteva farlo in latino! Quindi io direi che proprio perché è la lingua di Dante, che può accogliere. La lingua deve essere accogliente.

Poi ci sono altre riflessioni che sarebbe bello fare. Mi rendo conto che il primo impatto di questa schiera di scrittori sulla nostra letteratura è chiaramente quello di dire nella nostra lingua le cose che son loro capitate, che hanno vissuto e che portano con sé dai paesi di origine ecc. anche se fosse solo a questo livello sarebbe già un arricchimento, anche fosse solo una testimonianza che non arriva a una qualità letteraria o a una pagina scritta. Il solo sentire le esperienze degli altri è comunque uno dei motori principali che ha fatto esistere il concetto stesso di letteratura. Mi chiedo perché deve esistere una narrativa, una letteratura, perché qualcuno viene a dirmi cose che altrimenti non saprei, questo è proprio originario. Però è anche vero che ciascuno porta con sé il proprio mondo e raccontando, racconta il proprio e non quello di altri. Ma se, per esempio, la letteratura italiana fosse fatta esclusivamente da bergamaschi, anche lì senzaltr'altro uscirebbero storie tutte diverse l’una dall'altra, apprezzerei la varietà del bergamasco e apprezzerei a maggior ragione la varietà di testimonianze che possono portare tutti questi scrittori della migrazione e nuovi concittadini.

Quello che più mi euforizza è la possibilità di un rinnovamento della nostra lingua non necessariamente solo quella letteraria, da parte di questi nuovi innesti. Il timore di un imbarbarimento è astratto, è veramente un timore letterario. Il piacere di vedere la lingua che è un organismo vivo, fecondata e mescolata, rimesso in moto da parte di altri innesti è infinitamente maggiore di questo timore che si può avere.

Non so come evolverà la nostra situazione linguistica, soprattutto avendo delle migrazioni così globali, con un caos positivo. Ma laletteratura assomiglia al gioco delle carte perché bisogna sempre mescolare il mazzo, non si può fare sempre uguale. Sono felice di vedere che la mia lingua si fa ricettacolo di altre esperienze. Io non ho delle cose da dire agli amici che arrivano, più che in Italia, direi che arrivano in italiano, se non quello di non avere nessuna timidezza espressiva, perché è chiaro che per loro l'impatto può essere anche castrante, se dovessi io scrivere in una lingua non mia avrei molta paura, e siccome la paura è nemica dell'invenzione finirei per andare a toccare delle cose che sono importanti per uno scrittore, la fantasia, il desiderio di osare e fare cose che prima non c'erano. Consiglio a tutti loro di non avere nessun senso di inferiorità, né con Dante né con noi, ma soprattutto di avere spavalderia, di giocarla alta, perché questa accelera in realtà i tempi dell'integrazione, mi pare inutile fare delle cose tiepidamente quando fatte velocemente e con forza producono dei risultati migliori.

Un'altra cosa che avevo da dire è che però tutto ciò che è una cosa molto bella, quale io sento e vedo, è però una situazione italiana, quindi significa che ci sono delle cose che non vanno proprio bene. Non va bene che attorno alla letteratura non ci sia altro, nel senso che ci dobbiamo fare tutto da soli, in qualche maniera: dobbiamo scriverci i libri, non dico che bisogna pubblicarceli perché gli editori ci sono ancora, però cominciano ad esserci scrittori della mia generazione che fanno i direttori editoriali, che pensano a delle collane a cui altrimenti non penserebbe nessuno. Grazie anche alla rete ci sono realtà di diffusione, di passaparola un po' più urganizzato. Gli autori italiani hanno poco aiuto per essere scrittori italiani. Ne hanno poco da parte del mondo universitario, sono mosche bianche le persone che dentro l'università si occupano di narrativa vivente, attuale, per mille motivi anche culturali. Io spesso vedo storcere il naso perché uno presenta un testo, l'altro lo compara con Petrarca e dice bah...

Non ho mai capito perché bisogna confrontare con Petrarca, se io mi presento con un progetto di motore a idrogeno e l'altro me lo compara con le caldaie a carbone, fa un brutto scherzo a me e anche all'economia nazionale.

L'editoria è ambigua perché preferisce avere scrittori in lingua italiana per non pagare neanche quel poco che pagano ai traduttori, però non mi sembra che investa sull'immagine della letteratura italiana attuale.

I media potrebbero cavalcare questa tigre, poi magari ti snaturano, ti fanno fare un personaggio, poi ti mettono l'uno contro l'altro, ti dimenticano dopo un mese, però farebbero il loro mestiere pur sporco che sia. Ma non succede neanche quello, non si sa, non mi sembra che sia moneta corrente sui media di oggi vedere riconosciuta anche l'esistenza di una possibilità italiana di ricevere innesti di questo tipo. Questa è l'Italia di oggi, tutto ciò che riguarda la letteratura e l'indotto da letteratura, la parte più sana di tutta la questione letteraria, non vorrei dirlo perché è molto partigiano, ma la parte più sana di tutta la questione letteraria sono gli scrittori. Per fortuna che è così, preferisco questo ad una accademia mirabolante in cui però nessuno più scrive, oppure una stampa eccezionale dove però sono i giornalisti che fanno i libri. Sarebbe interessante che anziché ridere delle cose che facciamo intanto si cominciasse a sapere che le facciamo e poi a prenderle sul serio.


 

n.d.r.: Le ultime conclusioni del dibattito di questo pomeriggio non sono presenti a causa di problemi tecnici avuti con la registrazione.