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Sagarana LA SEGRETARIA TUTTOFARE


Brano tratto dal romanzo La stagione degli scapoli


Vincenzo Monfrecola


LA SEGRETARIA TUTTOFARE



[…] George Billingwest se ne stava in santa pace sprofondato sulla poltrona del salone di Villa dei Ricordi. In quel confortevole angolino poteva stare in manica di camicia, mentre con il sigaro poteva fare anelli di fumo che poi ammirava con l’aria sognante propria di chi sta teneramente rivivendo il passato o di chi ha grandi prospettive per il futuro. Poteva anche gettare il giornale alla rinfusa, una pagina di qua, una pagina di là, quindi non si accorse che qualcuno lo stava puntando con lo sguardo severo e con le mani sui fianchi. Uno stizzito colpo di tosse ruppe il silenzio e lo riportò alla realtà, allora si girò infastidito per redarguire quel poco accorto disturbatore e si ritrovò faccia a faccia con una graziosa ragazza che aveva due occhi stellati e indossava un sobrio vestito marrone.

«Beh?», fece la graziosa ragazza.
«Beh cosa?», rispose lui sorpreso di quel rimprovero.
«Voi state con i piedi sulla sedia. E “beh” lo dico io».

«Ah scusatemi!» rispose George constatando che effettivamente i suoi piedi erano poggiati su una sedia.

«E adesso, se non vi dispiace, sarà bene che usiate un posacenere» ordinò Penelope continuando a tenere le mani sui fianchi.

«Perché?».

«Perché la cenere del vostro sigaro sta volando dappertutto e questa non è casa vostra».

«Va bene», disse George, che se fosse stato un attore avrebbe rappresentato il ritratto dello stupore.

Lei gli lanciò un'altra guardata pregna di disgusto per quella calma universale, poi con un falso sorriso esclamò:

«Grazie! E che non capiti più».

«Ma voi chi siete?», chiese George che sul volto aveva ancora stampata la sorpresa per quel linguaggio così diretto che, se non avesse visto la ragazza, avrebbe giurato che provenisse da zia Gertrude in persona.

«Sono la nuova segretaria tuttofare», e nel presentarsi abbandonò il piglio iroso e si lasciò andare a una più gradevole tonalità di voce.

«Buon Dio!» fu la prima reazione di George, che si alzò in piedi e dandosi un contegno si presentò «Io sono George Billingwest e immagino che abbiate già sentito parlare di me».

«Oh certo, signore! L'altro signor Billingwest mi ha già parlato di voi», rispose la ragazza convenendo che quella figura di secondo piano non fosse niente di speciale.

«Bene, così voi siete la nuova segretaria tuttofare», ripeté George girandole intorno con occhio vivace. «A dire il vero mi aspettavo che l’agenzia mi mandasse qualcuna un po’, come dire, differente. Ma il caratterino sembra proprio quello giusto! Sarebbe un peccato dovervi rimandare nel Dorset. Mio cugino quando vi ha vista è sembrato infastidito o irrequieto?», chiese con aria vagamente indagatrice.

«Assolutamente no!», sussurrò Penelope. «Anzi, il signor Billingwest mi è sembrato decisamente di buon umore. Ho fatto forse qualcosa di sbagliato?» chiese pensando che non avrebbe dovuto fargli cantare l'inno.

«No, no», la interruppe George con i palmi delle mani aperti, «non avete fatto nulla di sbagliato, è che adesso devo pensare a come risolvere il problema».

Penelope rimase lì impalata a guardarlo mentre lui pensava, e intuì che la questione doveva essere importante perché, da come andava avanti e indietro per il salone con il passo pesante, non poteva essere una cosa da poco. La sua indole amichevole la rendeva propensa ad aiutarlo, se solo avesse saputo come. Per un istante fu lì lì per farsi avanti sentendosi anche in colpa per averlo poc’anzi rimproverato; ma una vocina all'orecchio la fermò: Penelope chiudi la bocca se non vuoi ritornartene a casa! Già hai fatto cantare l'altro e non avresti dovuto...

La ragazza quindi non fiatò, ma il suo silenzio durò solo fino a quando non lo vide lanciarsi verso una montagna di fogli poggiati sul tavolo e sfogliarli avidamente in cerca di qualcosa: «Signore», alla fine esclamò, «posso fare qualcosa per voi? Qualsiasi cosa», aggiunse poi.

George alzò lentamente lo sguardo dai fogli e lo posò sulla ragazza. Per un istante se ne stette pensieroso e in silenzio senza staccarle gli occhi di dosso, poi ripeté: «Qualsiasi cosa, avete detto?».

Lei annuì con la testa e lui ripose i fogli dove li aveva presi. Non poteva credere che avesse accettato così facilmente. Esternò, dunque, il suo pensiero senza preamboli:

«Se facciamo qualche ritocco, forse ci salviamo. Ma non sono sicuro».

Penelope non capiva cosa volesse dire con quelle parole, ma intuì che doveva trattarsi di qualche altra questione, come la storia delle renne, così annuì nuovamente.

George apprezzò che la ragazza non facesse domande, quindi le fece capire subito cosa intendeva per “ritocco”:

«Allora statemi a sentire», esordì lui meno cautamente, «l’unica soluzione è che voi diventiate più brutta. Non spaventatevi», aggiunse interrompendo qualcosa che stava per dire la ragazza, «credetemi, non c'è altra strada. Quindi per prima cosa serve che teniate i capelli in disordine. Come se fossero spinaci appena colti», spiegò lisciandosi lentamente il mento mentre la osservava per studiarne le modifiche, «poi vi darò due grossi nei pelosi che attaccherete ai lati della bocca». Infine sorrise e aggiunse: «Li usavo ai tempi dell’università quando volevo inorridire qualche prugna che stava diventando troppo esigente».

La ragazza stava nuovamente per dire qualcosa, ma George, con un gesto del dito, la fermò ancora e concluse: «Se poi con un po’ di trucco riusciste anche a spegnere l’occhio. Voglio dire, se li fate apparire...come dire...».

«Come quelli di un merluzzo sul banco del pescivendolo?», suggerì Penelope.

«Esatto!», esclamò George apprezzando l'accostamento.

«Ah, i nei vanno attaccati bene, altrimenti rischiamo di ritrovarli in qualche piatto di minestra», aggiunse con viva raccomandazione.

Penelope pensò che l'uomo doveva essere passato attraverso esperienze penose e che ora si trovava faccia a faccia con qualche oscuro problema.

Certo, quella richiesta sarebbe stata irrisa da qualsiasi donna, che di sicuro si sarebbe offesa a morte e sarebbe scappata via sbattendo la porta e con il mento in su, ma lei era solo la segretaria tuttofare e non fece nulla di ciò. Inoltre, era stata lei ad avergli dato la sua completa disponibilità e lui l’aveva presa. Quindi preferì non offendersi, tra l’altro quel “tuttofare”, messo accanto alla qualifica di segretaria forse significava proprio quello.

Per una come Penelope, che sapeva bene di essere molto graziosa, ricevere da un uomo la richiesta di trasformarsi in una donna brutta era senza dubbio insolito ma, tutto sommato, poteva essere anche un motivo d’orgoglio perché implicitamente veniva riconosciuta la sua bellezza. Soprattutto, però, le dava l'idea di una cosa adatta a una mascherata o tuttalpiù di una commedia teatrale.

Per un uomo come George, che riteneva la bellezza il bene primario di ogni donna, vedere quella graziosa fanciulla accettare la trasformazione senza alcuna protesta – e anzi sembrare persino contenta – era altrettanto insolito e, stranamente, lo faceva sentire un tantino in colpa. Quindi cercò di instaurare con la segretaria un minimo di rapporto benevolo che lo facesse stare meglio con la coscienza:

«Vi piace il rum della Martinica?».
«No, signore».
«Peccato! Dovreste provarlo, è veramente delizioso».
«Va bene signore. Però credo che non mi piacerà lo stesso».
«Siete mai stata in Martinica?».
«No, signore».

Poi vide che la ragazza non sembrava interessata né al rum né alla Martinica e cambiò discorso.

«Allora immagino che voi non sappiate di cosa si occupi il nostro sindacato!».

«Salva gli scapoli dal matrimonio», fu la pronta risposta.

«Certo, certo. Ma li salviamo solo dalle donne troppo, troppo, troppo esuberanti», si giustificò George.

«Capisco signore. Ma, se mi è permessa una domanda, come fate a riconoscere una donna troppo esuberante da una poco esuberante?», chiese con viva curiosità.

George accennò un sorrisetto e si passò una mano sulla fronte, poi le spiegò:

«Ma dai segnali! Le donne sono come degli animalucci che lanciano segnali intorno a loro e gli uomini dovrebbero saperli riconoscere. Noi del sindacato cogliamo quei segnali prima che l'insidia amorosa faccia prigionieri i nostri scapoli».

Penelope ci pensò un attimo, poi esclamò: «Segnali? Perché dovrebbero. Possono benissimo parlare».

Allora George con un altro sorriso bonario le spiegò che una cosa è quello che le donne dicono, ben altro è quello che pensano veramente. Ma tra il parlare e il pensare ci sono segnali che un uomo avveduto deve saper leggere. Poi decise di raccontarle di Vera e della sua fuga con il maggiordomo e i regali alla vigilia del matrimonio con il cugino Cyril. Questi era rimasto di stucco, ma se lo meritava perché non aveva letto i segnali. George si lasciò anche sfuggire della fatica letteraria del povero Cyril. Ma senza entrare nei dettagli, non essendocene motivo.

Penelope alzò le belle sopracciglia. Non credeva che potessero succedere cose simili. Pensò a Cyril come allo sfortunato eroe di un romanzo.

«Ma come può una donna fare una cosa del genere? È crudele. Il signor Billingwest, suo cugino, è un uomo così a modo che sono sicura sarebbe stato la perla dei mariti», obiettò la ragazza quasi con rabbia e stringendo i pugni. Subito dopo però si pentì di aver dato quel giudizio in modo così impulsivo e, soprattutto, non richiesto.

L’altro togliendosi un capello dalla giacca «Succede, succede. Quelle donne sono maestre nel cercare le perle. Per fortuna di Cyril, la mia fede nelle donne è morta già da tempo e ora mi tocca proteggerlo. Tra l’altro a cosa servirebbero i cugini svelti se non a guardare le spalle ai cugini sprovveduti?!».

Penelope non concordava con quella definizione perché, da quel poco che aveva visto, in casa non c’era un cugino svelto e uno sprovveduto, ma un signor Billingwest simpatico e un signor Billingwest antipatico.

Il simpatico ovviamente era Cyril, che subito le era piaciuto per quella sua aria stravagante, per quei modi amichevoli, e poi lui le aveva cantato l’inno del sindacato; certo, la sua voce era come il lamento di un animale straziato, però non aveva esitato ad accontentare la sua richiesta. Anche rischiando il ridicolo.

Penelope iniziò a immaginare Cyril con venti chili in meno e vestito con più cura mentre tutto innamorato scriveva romanzi per una donna che contraccambiava il suo amore semplicemente ammirandolo, piegato su un foglio a inventare amori e passioni per lei. Che bella scena!, pensò tirando un sospiro profondo. Ma a metà sospiro i suoi pensieri vennero interrotti da una voce sgradevole e arrogante:

«Ma ora basta parlare di Cyril», diceva George che, acquietata la coscienza, stava ora piegato verso di lei a quarantacinque gradi. «Veniamo al vostro lavoro. Presto inizieranno a venire i nostri ospiti, che sono anche nostri soci, e con loro dovrete essere severa e spietata. Voglio dire che, se qualcuno poggia i piedi su una sedia o scuote la cenere sul pavimento, vi dovrete far sentire, proprio come avete fatto con me. E non abbiate paura di offenderli. E mi raccomando i capelli e i nei. Voglio che siate perfetta».

Sì, ormai non c’è ombra di dubbio, quell'uomo ha un oscuro problema, si ripeté Penelope con maggiore convinzione guardandolo uscire trotterellando, poi, siccome difficilmente riusciva a tenere la bocca chiusa per più di un minuto, si affrettò a fargli una domanda:

«Signore?».

«Si?» rispose girandosi George che già stava sulla soglia della porta.

«Posso farvi una domanda?».
«Certo».
«Perché volete che diventi brutta?».
«Ah...beh… È una storia lunga e, forse, ora avete da fare».
«No, no, ho già fatto tutto quello che c’era da fare».

«Va bene allora», esclamò George maledicendo la sua lentezza nel trotterellare verso la porta. «Vedete, i nostri scapoli sono uomini deboli, pronti a cadere nel burrone al primo sorriso civettuolo che spunta da un bel viso di ragazza, quindi hanno bisogno di rendersi conto di quanto sia bella e rilassante la vita senza una donna brutta e un po’...un po’ severa. Ecco», spiegò cercando di usare le parole giuste. «Quindi se voi fate quello che vi ho detto vedrete che non vorranno più sentir parlare di nozze, di chiese e di regali nuziali».

«Capisco… È come un esperimento?».

«Brava! È proprio come un esperimento», confermò lui tutto contento di quel nuovo punto di vista. […]

 







Brano tratto da La stagione degli scapoli, Vincenzo Monfrecola, Gargoyle, 2014, Roma.




Vincenzo Monfrecola

Vincenzo Monfrecola (Napoli 1959) è scrittore e giornalista. Il suo esordio narrativo risale al 2010 con la pubblicazione per Cavallo di Ferro de Il Decisionista. Sempre per la stessa casa editrice è uscito nel 2012 Lo strano furto di Savile Row. Dal 2001 al 2003 è stato responsabile dell’Osservatorio sui Beni Culturali “Faldbac Trade Union”, presso la sede di Londra. La stagione degli scapoli è il suo terzo romanzo.





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