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Sagarana ECLISSI DI SOLE


Brano tratto dal romanzo Il sorriso dei gabbiani


Kristín Marja Baldursdóttir


ECLISSI DI SOLE



 

Durante la settimana santa, mentre i piccioni cominciavano a tubare e a far chiasso sotto la grondaia per motivi biologici, anche Freyja si diede da fare, perché in maggio, quando i gabbiani cominciarono a deporre le uova nella brughiera, annunciò alle donne di essere in stato interessante.
Proprio a me doveva toccare, disse la nonna. E così ora la casa si riempie di bambini?
Agga non riusciva a capire che cosa cercasse il bimbo di Freyja in casa sua, visto che il bambino appena arrivato pretendeva già abbastanza attenzioni, ma non c'erano dubbi che le donne della casa fossero tutte eccitate per l'esistenza di questo nuovo maschietto, se tale si poteva definire, perché ogni volta che veniva pulito in cucina al mattino si raccoglievano tutte intorno a lui come mosche sulla zuccheriera. A essere sinceri, a lei sembrava incredibile che un corpicino così piccolo potesse mandare all'aria la quiete della casa solo con dei sospiri e dei ruttini. Una cosa era certa: lei non se ne sarebbe occupata.
Dopo il bagno del mattino davanti alla folla di presenti, il piccolo veniva sistemato nella carrozzina e lasciato al sole primaverile, dove rimaneva in pace fino all'ora di pranzo, ma non appena faceva sentire la sua voce le donne si precipitavano fuori e litigavano per portarlo in casa. Impossibile sbagliarsi, su chi comandasse in quei giorni di primavera. Dódó era florida ma distratta e sembrava aver dimenticato l'esistenza di altri uomini che non fossero quello che le poppava al seno.
Il sole di maggio rendeva la gente soddisfatta della vita e dell'esistenza, malgrado la mancanza di carne, e in città si parlava di poco altro se non di quel tempo così mite ritenuto molto insolito. Il sole splendeva un giorno dopo l'altro e non tirava un filo di vento, tanto che le ragazze potevano uscire in calzini corti. Agga ed Emelía stavano concludendo il loro corso di studi e stavano a lungo fuori al sole, sedute sulle scale con i libri sulle ginocchia, a fingere di studiare paesi e continenti per presentarsi agli esami, ma riuscivano a malapena a controllare quello sfarfallio nello stomaco provocato dal calore del sole e dal crescente interesse per i ragazzini appena cresimati. La loro situazione economica migliorò dopo gli esami, quando trovarono un impiego per sistemare il pesce salato sulla brughiera insieme ad altri ragazzi appartenenti a quel sesso tanto degno di interesse.
Verso la metà di giugno accadde che Emelía venne sopraffatta dall'amore per uno dei capisquadra, che aveva otto anni più di lei e pertanto non fu affatto turbato dalla sua attenzione e dalla sua venerazione, ma l'amore ebbe un effetto definitivo su di lei, perché suggerì ad Agga che era venuto il momento di procurarsi un reggipetto. Poiché Agga trovava fuori luogo che delle ragazzine non ancora cresimate utilizzassero un simile indumento, visto che o1tretutto non avevano nemmeno delle tette da infilarci dentro, Emelía si indirizzò verso un'altra ragazzina che aveva un seno più sviluppato e a cui piacevano gli uomini maturi. Agga quindi dopo il lavoro si ritrovava spesso a gingillarsi da sola.
Per pura e semplice noia e per un'incomprensibile fame che la assaliva in qualsiasi momento della giornata, ricominciò le sue abituali visite alla casa sul fiume. Freyja era rifiorita nel sole, come tutte le donne in quei giorni, aveva sistemato un tavolo e delle sedie sul marciapiede in pietra davanti alla porta di casa, dove il sorbo e le siepi offrivano un riparo al vento dell'ovest, e rimaneva lì seduta tutto il giorno, con il cappello. Agga non notava affatto che la sua pancia fosse più sporgente di prima, ma rabbrividiva al pensiero di dover vedere quello stecchino incinta. Da Freyja c'erano spesso ospiti, per lo più ben poco interessanti, a detta di Agga, ovvero Dísa o Dódó, secondo chi era di turno come commessa nel negozio. In molti casi c'erano i figli al seguito, quindi anche i ragazzi di Dísa frequentavano il fiume e le aiuole della moglie del medico e pertanto le conversazioni erano frammentarie, costantemente interrotte da guaiti e urla, ma la vecchia signora era in vacanza in Danimarca e quindi non vedeva le sue pansé impallidire agli attacchi di questa fanteria. Se finiva presto di lavorare, Agga si stendeva tra l'erba in uno stato di semincoscienza e leggeva romanzi d'amore, soprattutto dopo essersi rimpinzata di bignè con l'uva passa di Metta, che cucinava tutto il giorno.
Certe volte sul prato si presentavano ospiti che Agga riteneva più interessanti. Hilli portava un suo amico della capitale, un ragazzo basso dai capelli scuri ma con il portamento dinoccolato, che parlava con toni e modi femminili e faceva delle risatine quando Hilli diceva qualcosa di divertente. Una volta che rimasero da soli con Freyja sul prato, Agga vide che, per un istante e in modo quasi involontario, Hilli carezzava il suo amico sulla nuca. Mai in tutta la sua vita Agga aveva visto due maschi toccarsi in quel modo e rimase molto stupita, ma quando poi li vide strusciarsi coscia contro coscia sotto il tavolo credette di sognare. Era rimasta talmente sbigottita davanti a tali manovre che non riusciva a imporsi di pensare in maniera razionale per spiegarsi quel fenomeno insolito. Le loro tenerezze non erano certo passate inosservate a Freyja, che però era rimasta impassibile.
Freyja di sicuro trovava i suoi ospiti molti divertenti, perché rideva talmente spesso che Agga era atterrita. Si prendevano gioco senza pietà degli abitanti della città, sia degli uomini in vista sia dei disgraziati, e Agga imparò una nuova definizione: piccolo borghese. I termini che Freyja si lasciava sfuggire non servivano certo a creare un mondo migliore, e una volta in cui i commenti degli ospiti si erano fatti particolarmente crudeli disse: È brutto dover sopportare questa vita banale fatta di pesce marcio, dove la gente sguazza tra baccalà e tagliandi per il razionamento, dove nessuno conosce né Ibsen né Michelangelo, dove piove e c'è brutto tempo per la maggior parte dell'anno e l'unica musica che senti è lo stridio dei gabbiani.
A tavola, quella stessa sera, Agga aveva un diavolo per capello. Disse di non aver voglia di mangiare quel maledetto baccalà marcito, né di sopportare quel maltempo costante, e la nonna ne fu talmente infastidita che la rimproverò ben bene e la spedì in solaio.
Quella ragazzina deve aver preso un colpo di sole, oggi, disse la nonna, e Dódó ribatté che la sua insolenza la stava uccidendo.
II malumore e il broncio le rimasero addosso per tutta la sera e quando Ninna andò a farsi il suo pediluvio, lei le girò intorno come un lupo e le chiese, scorbutica: Tu li conosci, Ibsen e Michelangelo? Sì, sì, disse Ninna tutta contenta. Stanno alla casa di riposo tutti e due.
 
Quando il sole scendeva sul mare a ovest, gli ospiti di Freyja cominciavano ad andarsene e lei spariva nella sua stanza. Agga rimandava volentieri il momento di tornare a casa, nel caso in cui la invitassero a restare a cena. In genere il padrone di casa rincasava prima del notiziario serale ed era sempre di buon umore perché stava progettando e costruendo mezza città; spesso si precipitava dritto al piano superiore, da Freyja, e Agga sentiva scattare la serratura quando girava la chiave. Ne fece parola con Metta e le disse quanto le sembrava stupido che gli adulti si chiudessero a chiave quand'eravamo ancora in pieno giorno, ma Metta alzò gli occhi al cielo e disse che sarebbero scesi di sotto quando avrebbero cominciato a sentire i morsi della fame.
Però la fame non mordeva mai Freyja, mentre invece Agga e Björn Theodór trangugiavano le frikadellen di Metta ed era difficile dire chi dei due fosse più vorace. A pasto concluso, Agga filava a casa dalla nonna portandosi dietro gli avanzi. Nemmeno lei capiva questa fame, ma l'ingegnere era cordiale, la incitava a mangiare e diceva a Freyja: Amore mio, cerca di mangiare come la tua cuginetta, che adesso ne hai bisogno. E la accarezzava sul braccio e sulla pancia e la guardava con sguardo famelico. Freyja sorrideva serena e per compiacerlo si infilava in bocca una patata intera. Agga constatò che il loro amore era simile a quello dei film; ogni volta che si imbattevano l'uno nell'altra si scambiavano lunghi baci e si abbracciavano, e visto che Agga non era abituata a simili melensaggini, si spicciava a tornare a casa.
Cominciò a pensare che il giorno della festa dei naviganti e il diciassette giugno avessero avuto qualche effetto su questi sbaciucchiamenti, perché in quei giorni il volto di Freyja si rabbuiò. Per la festa dei naviganti, all'inizio di giugno, quando i compaesani si affollarono al porto per rendere omaggio ai marinai più anziani, ascoltare i lunghi discorsi dei rappresentanti dei sindacati dei marinai e osservare il tiro alla fune e le gare di canottaggio degli atleti più robusti, Agga riconobbe un ben noto lampo glaciale negli occhi di Freyja. Stava in piedi sul molo in un gruppetto di donne, con un abito blu e un cappello a tesa larga, e stava godendosi il suo ruolo in società perché distribuiva sorrisi cordiali a destra e a manca. Fu alla fine della regata che quell'espressione amabile le sparì dal volto, quando i vincitori, i capitani delle squadre femminili e maschili, vennero accompagnati sul podio per ricevere il premio dalle mani dei loro canottieri. I capitani erano Björn Theodór e Birna, che sorridevano vivaci alla folla e si scambiavano baci di congratulazioni per la vittoria, com'è consuetudine. Nessuno si accorse se alla signora dall'America la cosa non fosse piaciuta in qualche misura, perché sorrideva e batteva le mani come tutti gli altri; fu solo Agga che riconobbe quello sguardo e sentì il gelo emanato dal corpo della signora.
Cinque giorni dopo, tutti indossarono di nuovo i loro vestiti migliori, stavolta per festeggiare il giorno dell'indipendenza; i festeggiamenti iniziarono con il discorso ottimista dell'ingegnere Björn Theodór che stava progettando mezza città, e quando la donna dei monti, impersonata da Birna, si affrettò sul podio per prendere il posto dell'oratore, Agga non ebbe quasi il coraggio di guardare Freyja. Sarà stata una coincidenza, ma quella volta lei non applaudì né sorrise, non mosse le labbra né batté ciglio, e le ricordò il grande ghiacciaio islandese che spesso eruttava senza che nessuno se ne accorgesse e creava laghi torbidi e alluvioni che bloccavano la strada a cristiani e animali.
Agga aveva il sospetto che nei giorni successivi Freyja non sarebbe stata gentile con suo marito e pertanto non si disturbò ad andare fino alla casa sul fiume.
 
L'anima di Freyja doveva essersi oscurata insieme al sole, perché dopo l'eclissi fu d'umore talmente plumbeo che faceva quasi paura a chi le stava vicino.
L'eclissi era attesa con molta impazienza per l'ultimo giorno del mese di giugno, e visto che il nonno era nelle aree di pesca groenlandesi, Freyja venne nella casa di Sunnugata per vedere il bagnetto mattutino del piccolo. Nei confronti dell'eclissi mostrò un disinteresse totale. Verso mezzogiorno sulla città calò un lento crepuscolo che lasciò a tutti una sensazione molto strana. Poiché gli oculisti avevano raccomandato di non guardare il sole a occhio nudo, nei giorni precedenti i compaesani si erano procurati vetri di ogni genere da usare come schermo, vetri di finestre fuligginosi, vetri di saldatura elettrica e vetri affumicati dal fumo di candela.
Ovunque in città c'era gente in giro: i ragazzi correvano gridando tra le case, tesi ed eccitati, e le casalinghe uscivano sulla porta in grembiule con i loro vetri. Agga aveva procurato del vetro fuligginoso per le donne della casa, che stavano tutte fuori sui gradini a fissare il cielo.
Quando l'oscuramento della sfera ebbe raggiunto il culmine, verso le dodici, sulla città si rovesciò il buio come se fosse una sera di autunno e da ogni casa si levarono sospiri di stupore. Poi il sole si oscurò del tutto e per un momento si distinse solo un cerchio di luce, la corona solare.
Tutte fissavano il fenomeno come se fossero inchiodate, e fu a quel punto che Agga si accorse che Freyja non si curava di guardare attraverso il vetro.
Ti accecherai! esclamò terrorizzata, ma la cugina alzò le spalle e sbadigliò.
Un'ora dopo quella meraviglia della natura era conclusa e tutti tornarono al proprio lavoro. Freyja tornò a casa e si distese sul letto.
Da quel momento, Agga percepì un netto mutamento di umore, nella cugina, che si manifestò in un vero e proprio malanimo e un accanimento nei confronti di tutti coloro che le passavano accanto. A dire il vero le donne a casa e anche all'essiccatura del pesce si erano lamentate per il razionamento del burro, che era stato dimezzato, ma visto che Freyja non aveva di che preoccuparsi per il cibo o i tagliandi, oltre al fatto che non aveva bisogno di mangiare quasi niente, non doveva certo essere quella la causa del suo cattivo umore. Agga non poteva far altro che constatare come Björn Theodór facesse di tutto per contentare sua moglie, si aggirava per la casa in punta di piedi se la signora dormiva e allontanava i gatti se osavano a miagolare.
Una sera che la signora non aveva appetito, Björn Theodór invitò Agga a fermarsi a mangiare. Chiacchierò con lei di edilizia e di pesca all'aringa come con una persona adulta, e per quel motivo l'uomo si guadagnò molta stima da parte della ragazzina. Le disse di avere acquistato un'imbarcazione che adesso stava rastrellando le aringhe su al nord, e le illustrò il ricco futuro che avevano davanti gli islandesi con tutto quell'argento in mare. Ad Agga parve del tutto inutile paragonare un pesce insignificante all'argento, ma chiese tanto per buttarla là, se anche lei, il nonno e la nonna sarebbero diventati ricchi grazie a questo pesce argentato.
A quel punto Björn Theodór la guardò, smise di mangiare e disse: Tuo nonno e tua nonna sono già ricchi perché hanno una ragazzina in gamba come te. Una nazione che possieda donne volenterose e volitive sarà sempre ricca.
Agga arrossì di soddisfazione a questo commento, ma poi disse senza pensare: Non è mica tanto volitiva, però, la signora al piano di sopra, sparisce sempre e poi è sempre stizzosa.
Lui si schiarì la gola, si fece serio e disse che le donne in stato interessante erano spesso intrattabili per qualche motivo.
lo credo solo che sia un po' seccata perché hai baciato Birna il giorno della festa dei naviganti, si azzardò a dire, e intanto si accorse di aver colpito nel segno, perché l'uomo rimase di stucco e cominciò a borbottare qualcosa in modo quasi innaturale.
Ma sono stati solo dei baci amichevoli, lo sai anche tu, disse improvvisamente impegnato con il cibo. lo e Birna ci conosciamo da quando eravamo bambini, i nostri genitori sono sempre stati molto amici e per questo motivo lei ha sempre frequentato la mia casa e io la sua.
Magari era la tua fidanzata? chiese Agga impietosa.
Probabilmente lo è stata, in qualche periodo, ma le persone seguono strade diverse, come sai. Birna è una ragazza esuberante e simpatica, e saremo sempre buoni amici.
La conversazione si esaurì qui, ma Agga provava un po' di compassione per quell'uomo che aveva una moglie tanto abulica al piano di sopra.
 
Emelía rinunciò al proprio amore verso la metà di agosto e allo stesso tempo perse interesse nei reggipetti. Per qualche giorno Agga la lasciò a sbollire il malumore, e visto che entrambe avevano un'età in cui nessuno si scervella troppo su quel che è stato, fecero presto a rappacificarsi. I loro motivi di interesse adesso riguardavano soprattutto l'altro sesso, così passavano il tempo bighellonando senza meta per la città, fermandosi agli angoli a pispigliare e cicalare con le loro coetanee. La passione per i film d'amore al cinema divenne talmente assoluta che convinsero Ninna a pagare il biglietto anche per loro, e Ninna, che era capace di vedere lo stesso film anche sei volte, le avrebbe portate al cinema ogni sera se la nonna non lo avesse impedito. I film in cui gli equivoci, la disperazione e il pianto erano un preambolo ai baci e alla riconciliazione placavano un po' la loro sete di conoscenza nei confronti di un mondo che fino a quel momento era stato loro celato. Nelle sere di tarda estate che seguirono, il loro sapere in quel campo si ampliò notevolmente, anche se non solo grazie al grande schermo. Dopo la bonaccia estiva il sangue cominciò a scorrere più velocemente nelle vene, vuoi per la dose di vitamina fornita dal sole estivo o per la smania che seguì la generosa pesca alle aringhe.
Una volta in cui si trovavano, come spesso accadeva, sedute in camera da Emelía nella luce del sole vespertino, ciascuna a trastullarsi con i capelli dell'altra, si sentì un putiferio in soggiorno che lasciava intuire che il farmacista e suo figlio fossero ai ferri corti. Una cosa del genere era quasi inaudita, in quella casa dove nessuno alzava mai la voce se non per tossire, e quindi si precipitarono in corridoio a origliare.
II farmacista era chiaramente furioso, gli tremava la voce e le parole uscivano dalla bocca quasi tutte distorte o prive di finali, come spesso succede alle persone che si alterano raramente. Accusava suo figlio di essere un dissoluto e un degenerato e di tenere un comportamento disdicevole, che doveva fargli il piacere di praticare altrove e non in quella casa, mentre il figlio diceva a suo padre che era oppresso dai pregiudizi, dalla chiusura mentale, dalla stupidità e dalla severità. Nella voce di entrambi si distingueva talmente tanta acrimonia che Emelía abbracciò Agga angosciata. Nessuna delle due capiva perché l'uomo si accanisse così con Hilli, che era una persona a posto, equilibrato e adorato da tutti, ma ancora più sbalordite furono quando sentirono il padre che urlava, un attimo prima che Hilli spalancasse la porta: Lo vai a prendere nel culo da un'altra parte, non qui!
Si sentirono quasi svenire, si affrettarono a tornare in camera tutte tremanti e si buttarono sul letto di Emelía. Dopo del tempo Agga chiese se avesse capito, ed Emelía tacque a lungo prima di rispondere: Se è quello che credo, è terribile.
Agga non si raccapezzava, ma dopo varie insistenze e raccomandazioni Emelía finalmente le disse che doveva giurare su Dio di non dire a nessuno quello che stava per raccontarle. Agga si fece la croce sul cuore due volte.
Hilli ha baciato quel suo amico, io l'ho visto. Credo che siano finocchi, cioè sono fidanzati, disse Emelía quando riuscì a parlare.
È possibile una cosa del genere? fece Agga con un singulto.
È possibile. Ti ricordi le due donne che avevano il negozio di stoffa sopra la banca, erano due pervertite. Me l'aveva detto la mamma. Erano fidanzate.
Acci, disse Agga. Inspirò profondamente e si portò le mani sul cuore quando pensò a Dódó e Dísa che si trastullavano insieme tutto il giorno in negozio. Probabilmente sarebbero diventate pervertite anche loro, a stare senza un marito.
Furono completamente prese dal problema di Hilli, ed Emelía cominciò a spiare con maggiore attenzione suo fratello. Se sapeva che stava andando da Freyja, ordinava ad Agga di correre e ascoltare tutto quello che si dicevano. I grilli amorosi di Agga avevano preso un altro corso, adesso, perché trovava questa perversione un fenomeno davvero curioso che la teneva sveglia e sul quale si scervellava spesso. Era sempre presente quando Hilli pettinava e agghindava Freyja, e assumeva un'espressione ovina che ha solo chi non capisce niente, e continuava ad andare su e giù per le scale con la limonata e dei giornali, così nella maggior parte dei casi non sapevano se era o meno nelle vicinanze.
Erano piuttosto immusoniti entrambi, in quei giorni, Freyja e Hilli; lei aveva delle occhiaie scure ed era accigliata, lui aveva un'espressione stanca e insolente e i loro discorsi vertevano soprattutto sui capelli, con grande pena di Agga. La signora non indossava più soltanto la camicia da notte, mentre veniva pettinata, e la dimensione della pancia ne era sicuramente il motivo. La gravidanza sembrava causarle fastidio e l'umore era al peggio quando aveva i capelli bagnati. Il suo coiffeur lo sapeva, e impiegava qualsiasi metodo per renderle più piacevole l'esistenza. Nei giorni del grande lavaggio arrivava di primo mattino, le faceva piegare la testa sulla vasca e le lavava i capelli secondo i precetti tradizionali. Non c'era bisogno di scaldare tanti secchi d'acqua in quella casa, come dovevano fare in Sunnugata, perché bastava girare il rubinetto, e si sarebbe detto che in questo modo si abbreviassero i tempi del lavaggio, ma la signora s'inventò di sciacquare i capelli con acqua gelida per un intero quarto d'ora, alla fine, sostenendo che in quel modo le chiome acquistavano lucentezza. Dopo tale procedura Hilli aveva le mani blu e mezze congelate. Il passo successivo era l'asciugatura, e visto che non c'era uno spiovente del tetto da poter utilizzare, appesero dei ganci alla parete della camera da letto, ai quali venivano assicurate le ciocche avvolte nelle pezze. Così la signora stava seduta contro la parete per tutta la giornata, scorbutica e irascibile, mentre i capelli si asciugavano, e rispondeva male a Metta che le girava intorno. Verso l'ora del caffè tornava Hilli per liberare la signora dalla prigionia e intrecciarle i capelli secondo i dettami della moda. In genere concludeva l'opera prima che il padrone di casa rincasasse, quando la signora incedeva regalmente dalle scale incoronata di bellezza.
Agga ormai aveva perso ogni speranza che Hilli rivelasse i suoi sentimenti, quando qualcosa si mise in moto. Un giorno, nel bel mezzo del lavaggio dei capelli, Hilli cominciò finalmente a rammaricarsi per la mentalità ristretta che si trovava a sopportare, e Freyja doveva essere ben al corrente della situazione perché gli chiese se amava molto quel ragazzo. Agga ebbe la pelle d'oca nella stanza accanto, e quando lo sentì rispondere che senza quel ragazzo non poteva vivere e che aveva in mente di trasferirsi da lui con l'anno nuovo, ad Agga parve di averne avuto abbastanza.
Per la signora quella rivelazione fu un vero schiaffo. Non tanto la dichiarazione d'amore in sé, ma il fatto che desiderasse trasferirsi.
Mi stai dicendo, Hilli, che vuoi lasciare la città? chiese lei dolce.
Lui annuì, ignaro.
Allora che ne sarà dei miei capelli? continuò lei con un tono di voce considerevolmente più freddo.
Lui disse di non averci pensato. Avrebbe fatto meglio a inventarle qualcosa, sapendo quanto fosse lunatica in quei giorni, perché a quel punto la signora cominciò a ribollire.
Tu non ci hai pensato, fece a voce bassa e sinistra. Allora chi deve pensare ai miei capelli, se è lecito? Devo forse tagliarli? È questo che vuoi? Come se non mi importasse se ti ciucci qualche damerino, sappi però che dei miei capelli mi importa eccome. Non osare nemmeno partire da questa città, finché ci abito io!
Agga sbirciò dentro e li vide in piedi uno di fronte all' altra, lui paonazzo in volto con il pettine in mano, lei pallida e tesa, con la spazzola. Hilli disse che adesso ne aveva abbastanza, che aveva creduto che stesse dalla sua parte, che la considerava un'amica e invece l'unica cosa a cui pensava era la sua acconciatura. A quelle parole la signora alzò in aria la spazzola e la scagliò talmente lontana che finì fuori dalla porta. Gliela tirò dietro e non si accontentò, perché afferrò qualsiasi cosa avesse a portata di mano e gliela scaraventò contro, mentre lui cercava di scansarla giù per le scale.
Hilli spari dalla città quella stessa sera. Con molte difficoltà Agga riuscì a spiegare a Emelía l'aggressione e si vergognò molto per sua cugina, ma Emelía, che si vergognava in egual misura per suo fratello, prese la notizia con forza d'animo. Il fratello era tornato a casa con il pettine tra le mani, aveva fatto fagotto, aveva salutato la madre e la sorella, ma il padre non l'aveva nemmeno degnato di uno sguardo. La madre pianse nel suo letto per molti giorni e Agga credete che ne morisse. Era talmente addolorata che per molte settimane proibì al farmacista di entrare nella sua camera da letto.






Brano tratto dal romanzo Il sorriso dei gabbiani. Traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini, Elliot edizioni, Roma 2010, ed. orig. 1995




Kristín Marja  Baldursdóttir
Kristín Marja Baldursdóttir, nata in Islanda nel 1949, è stata maestra elementare e giornalista. Nel 1995 ha esordito nella narrativa con Il sorriso dei gabbiani, grande successo in patria, dopo il quale si è dedicata completamente alla scrittura pubblicando altri cinque romanzi e una raccolta di racconti.




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