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Sagarana SUL DECLINO DEGLI ORACOLI


Sylvia Plath


SUL DECLINO DEGLI ORACOLI



 

Accanto a due reggilibri in bronzo a forma di veliero
mio padre conservava una conchiglia;
ascoltavo agitarsi i suoi denti freddi
col suono di quell’ambiguo mare
di cui il vecchio Böcklin sentiva il vuoto quando
da una conchiglia ascoltava il mare che non poteva udire.
Lui sapeva cosa diceva al suo orecchio interiore
la conchiglia, non lo sa il contadino.
 
Mio padre morì, lasciò dietro di sé
i libri, la conchiglia.
I libri bruciarono, la conchiglia la riprese il mare,
ma io, io conservo le voci che lui
ripose nel mio orecchio, nei miei occhi
la vista delle onde azzurre che non vedevo,
che il fantasma di Böcklin rimpiange.
I contadini fanno festa e si moltiplicano.
 
Non vedo un cigno spavaldo né una stella lucente
a eclissare un bue trafitto,
stemmi di una più schietta era,
ma tre uomini che entrano in giardino,
e salgono le scale.
Il loro aspetto di pettegoli perdigiorno
invade l’occhio claustrale, come
pagine di un volgare fumetto, e verso
 
l’accadimento di questo evento
ora gira la terra. Tra mezz’ora
scenderò la scala consumata e incontrerò
quei tre che salgono. Un futuro che vale
meno del presente, meno del passato.
È senza valore quella vista per occhi divenuti deboli
che pure una volta videro di lontano cadere le torri di Troia,
il pericolo irrompere dal nord.
 
[1957]






Poesia tratta da "La luna e il tasso", Via col Vento editrice, Pistoia, 2010Traduzione di Piera Mattei.




Sylvia Plath
Sylvia Plath nata a Boston, trascorse l'infanzia nella cittadina costiera di Winthrop nel Massachusetts. Suo padre Otto, un entomologo di origine tedesca, morì quando Sylvia era ancora piccola, un tragico episodio che lasciò un segno profondo nella sua psiche. Studentessa brillante e creativa, nel 1950 ottenne una borsa di studio per il prestigioso Smith College e nel 1953 vinse un soggiorno a New York come guest editor della rivista femminile "Mademoiselle" che aveva pubblicato un suo racconto. Il suo unico romanzo The Bell Jar (La campana di vetro, 1963), è basato su quella esperienza profondamente deludente di vita nella metropoli. Il ritorno a casa coincise con il manifestarsi di gravi crisi nervose che culminarono in un tentativo di suicidio. Dopo alcuni ricoveri in ospedale e dolorose cure (tra cui l'elettroshock), Plath tornò allo Smith per laurearsi nel 1955 con una tesi sul "doppio" in Dostoevskij. Nello stesso anno vinse una borsa Fulbright per l'università di Cambridge in Inghilterra: fu questo il setting dell'incontro col poeta inglese Ted Hughes, che sposò nel 1956 e con il quale tornò negli Stati Uniti. Dopo un breve periodo di insegnamento a Smith, lavorò in un ospedale psichiatrico, e nello stesso periodo seguì le lezioni di poesia di Lowell a Boston, dove conobbe Anne Sexton. Tra le due poetesse nacque una forte amicizia sorretta da grande empatia e da sconcertanti analogie biografiche. Nel 1959 Plath e Hughes tornarono in Inghilterra e si stabilirono in un villaggio del Devon. Nel 1960 nacque la loro prima figlia Frieda e nello stesso anno uscì The Colossus (Il Colosso), il suo primo volume di poesie. Poco dopo la nascita del secondo figlio Nicholas (1962), i due si separarono. Trasferitasi a Londra da sola coi figli, Sylvia continuò a scrivere, ma nel febbraio del 1963, all'età di 31 anni, incapace di trovare una sintesi tra le ambizioni artistiche e le quotidiane incombenze esistenziali, si tolse la vita. Le sue poesie furono in gran parte pubblicate postume da Ted Hughes che curò anche l'uscita dei suoi Diari. Lo stile di Sylvia Plath è etichettabile come "confessionale", ma non nel senso della semplice restituzione realistica di eventi e emozioni individuali, bensì come incessante produzione di una mitologia personale capace di dar voce al perturbante che sta alla radice dell'identità. Oltre a un rapporto con la realtà esterna segnato dall'oscillazione tra ansia di adeguamento e sentimento di insignificanza (fear of neutralità), questa scrittura muove dal confronto con la più intima ferita, legata alle figure primarie della madre e del padre, proponendosi come unica "cura" di essa. La poesia della Plath è dominata da un'attrazione morbosa verso la morte, da un senso di disastro incombente elaborato spesso con surreale lucidità e allucinata intensità visionaria. Dopo la morte la sua vicenda esistenziale e artistica diventò paradigmatica per molte donne scrittrici che la accolsero tra le "maestre" e contribuirono a darle la straordinaria popolarità di cui ancora oggi gode.




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