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Sagarana I GIOIELLI


Shailja Patel


 

 
 
Idi Amim
 
Nel 1972, Idi Amin, dittatore militare dell’Uganda, espulse dal paese l’intera popolazione asiatica. Io sono nata e cresciuta in Kenia al confine con l’Uganda, sono una cittadina dell’Africa orientale di terza generazione, di ceppo sud asiatico.
Rath thodi vesh ja ja, un proverbio che ho sentito sin da bambina. Letteralmente, “La notte è breve, tenetevi la valigia pronta”. Non mettetevi troppo comodi: tempo che arrivi l’alba forse ci toccherà spostarci, costretti a re-inventarci per sopravvivere, Investite solo nelle cose che potete portarvi dietro ­– istruzione, passaporti, gioielli.
Nei tempi andati – dice mia madre – non c’erano banche e così investivano in gioielli e così facendo le donne della famiglia i risparmi ce li avevano addosso, erano i monili d’oro, i loro preziosi sari. Era il posto più sicuro e le rendeva più sicure. Erano rispettate, le donne, perché indossavano e facevano la guardia agli averi di famiglia.
Sono cresciuta ascoltando i racconti degli ultimi treni che uscivano dall’Uganda carichi di asiatici traumatizzati a cui erano stati strappati tutti gli averi. Gli adulti mormoravano: “Alle donne hanno portato via perfino le fedi e gli orecchini. Hanno rovistato tra i loro capelli.
Ecco l’immagine che ha perseguitato la mia infanzia: un uomo fermo sul binario della stazione di Nairobi, in Kenia, che piange a gran voce e a bocca spalancata, tenendo in braccio il suo piccolo. I soldati erano saliti sul treno appena fuori Kampala, in Uganda, e gli avevano portato via la moglie con la forza mentre lui assisteva impotente alla scena. Troppo atterrito per resistere; terrorizzato per il bimbo seduto sulle sue ginocchia e per lo scompartimento pieno di gente muta e indifferente. E adesso invece urlava perché non gli restava più niente che lo trattenesse, non aveva più dignità, virilità o speranza.
Certo che i gioielli non l’avevano protetta.
Alcuni documenti segreti, resi pubblici nel 2001, dimostrano che la Gran Bretagna, Israele e gli Stati Uniti istigarono e sostennero il colpo di stato di Idi Amin che nel 1971 rovesciò il governo democratico dell’Uganda. Seguirono 8 anni di terrore che devastarono il paese provocando centinaia di migliaia di morti. Alcuni documenti redatti dal Ministero degli esteri della Gran Bretagna descrivono idi Amin come “un uomo con il quale si può trattare”.
 
 
Voce della madre: i gioielli
 
Nel ’72, quando Amin cacciò gli asiatici dall’Uganda, quando Shailja camminava ancora a quattro zampe, Naree ed io partimmo per l’Inghilterra, in pieno inverno, con tutti i miei gioielli nel portagioie per metterli al sicuro alla Midland Bank, per le mie figlie.
Superammo la dogana e l’ufficio immigrazione con i gioielli nascosti sotto i cappotti. Grazie a dio, negli aeroporti non ci fermò mai nessuno. A quello di Nairobi ce li avrebbero presi. A quello di Heathrow ci avrebbero fatto pagare. Non puoi immaginare quanto facesse freddo. Salimmo sugli autobus e sulla metropolitana sempre con i gioielli addosso. Il padre se ne infilò alcuni in una tasca interna. Io sistemai gli altri nella borsa che tenevo stretta davanti a me. Così nessuno me l’avrebbe rubata. Non ci separammo mai dai gioielli, neanche un secondo, fino a quando fummo arrivato nel sotterraneo della banca. Li mettemmo tutti nella cassetta di sicurezza, insieme a una lista dettagliata. La controllammo due volte. Infilammo la chiave che tengono in banca dentro una busta, la sigillarono e ci fecero firmare tutti e due sopra il sigillo, così nessuno avrebbe potuto aprirla. A operazione conclusa, ci sentimmo liberati da un peso, tirammo un sospiro di sollievo. Poi il padre disse: “Aahhh. Adesso ci vuole una bella tazza di tè.”
Naree, mio fratello Vinod ed io andammo in una tea room a prendere un tè. Ce lo servirono freddo. Gli inglesi lo bevono così bollente che ci versano il latte freddo. Ma per una volta lasciammo perdere. Non facevamo che ridere, eravamo così sollevati. Non puoi immaginare come ci fossimo spaventati al vedere arrivare dall’Uganda i treni carichi di asiatici in lacrime che chiedevano latte per i loro bambini. Erano stati espulsi e privati di qualsiasi cosa.
Annotai i particolari di ogni singolo gioiello. Una parure di oro massiccio, una collanina, degli orecchini, quattro cavigliere, un anello tempestato di diamanti. Una parure verde, collanina, orecchini, braccialetto e nathni (l’anello per il naso). Scrissi tutto in gujurati, così i dhoria (i bianchi) e i karia (i neri) non avrebbero capito una parola. La lista era in due copie. Una la misi nella cassetta di sicurezza, l’altra me la portai via. Finché restai in Inghilterra la tenni sempre nella borsa dalla quale non mi separavo mai un secondo. Ho cercato di insegnarlo anche alle mie figlie: non perdete mai di vista la vostra borsa.
Mamma, non essere fissata. Siamo in una casa privata, nessuno ti ruba la borsa.
Ha! Come fanno a saperlo? La gente può essere molto cattiva. Le mie figlie non si sono mai trovate in serie difficoltà. Pensano che tutto possa essere ricomprato. Non sanno prendersi cura delle cose.
Ogni volta che tornavo in Inghilterra (non so come mai ci andavo sempre d’inverno, pur odiando quella stagione), controllavo la cassetta di sicurezza. Nel ’77, quando mio padre era ammalato, ci andai con le tre figlie. Sai cosa vuol dire fare un viaggio del genere con tre bambine? Shruti aveva 9 anni e restò a casa con i miei, insieme a Sneha, che ne aveva solo 3. Ma Shailja me la portavo dappertutto. Ogni volta mettevo la lista nella borsa e controllavo ogni pezzo. Anche se è una banca, bisogna controllare. Nel tempo aggiunsi anche altri pezzi, i gioielli di mia madre, di cui entrai in possesso dopo la sua morte. Le mie sorelle avevano provato a portarseli via, ma mio fratello sapeva che, per volontà di mia madre, alcuni pezzi dovevano rimanere a me, così li aveva messi da parte.
Quando Shruti partì per l’Inghilterra, le dissi di controllare come prima cosa che lo zio avesse pagato la quota annuale per la cassetta di sicurezza.




(Brani tratti da Migritude: un viaggio epico in quattro movimenti, LietoColle editrice, Faloppio, 2008. Traduzione di Marta Matteini e Pina Piccolo.)




Shailja Patel
Le opere della poetessa keniota, commediografa e artista di teatro Shailja Patel sono state rappresentate in spazi che vanno dal Lincoln Center di New York all’International Film Festival di Zanzibar. In Kenia, il tour del suo primo one-woman show, Migritude, è stato sovvenzionato dalla Ford Foundation e negli Stati Uniti ha ricevuto fondi dal National Performance Network Creation Fund. L’autrice ha pubblicato due raccolte di poesia, Dreaming in Gujarati e Shilling Love.




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