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Sagarana AMALIE


Brano tratto dal romanzo Mobbing all’I.M.T.


Pietro Carubbi


AMALIE



 

(…) Si avvicinava al quarto anno di matrimonio e aveva iniziato il terzo all’università, quando la sua vita subì una rivoluzione con l’incontro di una studentessa californiana che frequentava i suoi corsi. Amalie Louise Vill studiava sulla costa est degli States e aveva ottenuto una borsa di studio per frequentare alcune lezioni di finanza in Italia. Quando Spinelessa entrò in aula e la scorse tra gli uditori credette di non essere in grado, appoggiandosi con le mani alla cattedra, di profferire la parola «Buongiorno». La memoria gli bloccò il sorriso sussurrandogli ripetutamente, perversa e ostinata come una radiolina rotta: «Guardala! È lei!» Non sapeva come contenere l’emozione. Credette di non vederci bene. Infatti la vista gli si annebbiò a più riprese e la voce gli tremò per tutto il tempo.
Durante la lezione, trattenne più che poté gli starnuti (secondo una pantomima a cui i suoi allievi erano abituati), finché si soffiò il naso e si scusò per le pessime condizioni di salute, imputandole a un temporale che l’aveva sorpreso lontano da casa mentre faceva jogging. Dopo la storia dell’Associazione Bancaria Italiana svolta nella lezione precedente, avrebbe dovuto parlare dello statuto dell’ABI, cioè degli obiettivi dell’associazione, ma ripassò gli argomenti già svolti «per chi non c’era.»
Finì due bottiglie d’acqua in tre quarti d’ora e temette di farsela addosso mentre gli studenti uscivano con una lentezza disarmante. Ma lui salutava tutti e non voleva abbandonare la cattedra per non perdere l’occasione di presentarsi a quella ragazza e stringerle la mano. E tuttavia quando gli passò davanti gli dette le spalle, intenta a parlare in Inglese con due italiani.
Tornato in studio, Spinelessa si chiuse a doppia mandata, gettò la borsa sul tavolo e si appoggiò con la schiena alla porta, incurante di chiunque stesse bussando. Non udiva i colpi e le voci da fuori. Percepiva solo la fissità di un’idea: in quel momento, la sua unica certezza era che la straniera era identica a Rosalba, la donna che aveva amato di più in vita sua prima di piombare in un periodo buio finché si era messo con sua moglie.
Amalie Louise apparve a due lezioni di Tecniche e Teoria del Credito come una meteora; Spinelessa parlò dello statuto dell’ABI come non aveva mai osato prima. Ma alla successiva lezione, e a quella dopo, e a quella dopo ancora, lui attese di vederla entrare in ritardo; si immaginò di sorriderle compiaciuto mentre la ragazza, trafelata, prendeva posto fra i banchi. Ma non la rivide più. Finché, a una festa dove un suo allievo l’aveva invitato, gli parve di scorgerla dietro i cespugli di ortensia. Si avvicinò ma non era sola. Si sentì arrossire, perché mai avrebbe pensato di recitare la parte del guardone. Stava allontanandosi quando lei, richiusa la camicetta, disse al suo ragazzo in perfetto accento Yankee: «He’s my teacher… Pass him the joint!»
«Hey,teacher!» lo chiamò quello con una perfetta pronuncia italiana, «Come on, catch the joint!»
Risero tutti e tre, mentre Spinelessa si riavvicinava e dava qualche boccata.
Da quella sera iniziò un’amicizia e poi una relazione durata meno di un mese che lo portò vicino al divorzio. In pratica, smise di tornare a casa per il weekend. Finché la moglie, una domenica, si precipitò a Perugia. Era uno di quei giorni che lui passava a studiare «senza muoversi di camera neanche per mangiare», assicurava; mentre lei, a casa, trascorreva in solitudine le ultime settimane di una gravidanza gemellare. Non lo trovò né in camera, né in biblioteca, né in nessun bar della città. I dipartimenti, l’aveva cercato anche lì, erano chiusi. All’imbrunire lo vide arrivare sotto l’albergo con quella ragazza. Tornavano a braccetto da una delle tante gite con cui Spinelessa voleva farle conoscere l’Umbria, affinché l’intera regione, con lui, le restasse nel cuore.
Appena distinse sua moglie che gli suonava il clacson a poca distanza, si sciolse da Amalie Louise che imboccò un’altra strada. Dovette riaccompagnare Claudia a casa e poi ritornare in treno, dichiarandole per tutto il tragitto che quella che aveva intravisto era un’allieva depressa che aveva tentato più volte il suicidio, e rientrava nel codice etico di ogni università preoccuparsi della salute fisica e mentale dei propri allievi.
La moglie si calmò, o meglio: si rassegnò, e Spinelessa poté trascorrere un’altra decina di giorni di idillio con Amalie Louise Vill. Erano due piccioncini: lui, almeno, visse quei giorni così. «You’re my american dream…» le bisbigliava felice, riscoprendo vezzeggiativi in Inglese che aveva usato con lo stesso piacere solo con un’altra donna. E in certi momenti gli sembrava davvero di stare con Rosalba, la Rosalba che aveva amato e che alla fine del biennio lo lasciò per iscriversi all’istituto professionale per stiliste, che era in un’altra provincia (sebbene i motivi della rottura – come fu chiaro l’ultima volta che lei gli parlò – fossero altri).
Purtroppo, la storia con Amalie subì un’imprevista e tragica svolta che la sottrasse a Spinelessa per sempre. La notte di Capodanno l’americana fu coinvolta nell’omicidio di una sua coinquilina, studentessa come lei, che fu trovata sgozzata in camera da letto. Amalie confessò alla polizia di avere partecipato a un gioco che si era spinto oltre il limite della crudeltà, ma accusò materialmente dell’omicidio gli altri partecipanti alla festa. Alcuni fecero anche il nome di Matteo Spinelessa, ma i magistrati si arresero di fronte al suo alibi: sua moglie e sua suocera dichiararono che in quelle ore il professore era con loro, intento a prendersi cura dei gemellini appena nati.
Nei giorni che seguirono, Spinelessa cercò di cancellare il nome e l’immagine di Amalie Louise Vill dalla sua mente; cercò di cancellare i suoi baci; cercò di rimuovere il suo corpo morbido dalle lenzuola, il suo profumo, la sua pelle di velluto. Ma dopo che la ragazza fu condannata a venti anni con rito abbreviato ne rimase talmente sconvolto che andò a trovarla in prigione. La prese per mano, le disse che non l’avrebbe mai dimenticata, che l’amava, e che si sentiva distrutto. Lei gli rispose con le stesse parole. Il suo sguardo era più eccitante che mai. Prima di salutarla, le promise che avrebbe chiesto a un suo amico politico se conosceva un avvocato che potesse aiutarla in appello.
Era pur vero che Amalie Louise divideva l’appartamento con l’assassinata e costei diceva a tutti che Amalie era disordinata e intrattabile. Ed era vero che sull’arma del delitto c’era anche il DNA di Amalie. Ma tutto ciò cosa provava? Le femmine non spettegolano per abitudine l’una alle spalle dell’altra? E nessuno può impugnare un coltello in casa propria, se poi la stessa lama sarà usata per uccidere?
Appena Amalie Louise fu dichiarata innocente in appello, uscì dal carcere, si eclissò per qualche giorno e ripartì per gli Stati Uniti col primo volo utile. Non si presentò all’esame di Spinelessa malgrado questi avesse anticipato le date per lei, per scriverle il miglior voto sul libretto universitario e lasciarle almeno un buon ricordo del suo travagliato soggiorno italiano.






Brano tratto dal romanzo Mobbing all’I.M.T., Amazon Books, 2012.




Pietro Carubbi
Pietro Carubbi nasce a Lucca nel 1967. Ragioniere Programmatore, si è laureato in Filosofia a Pisa con una tesi sul Romanticismo Tedesco. Dal 2001 si occupa di comunicazione e progettazione Web. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo Attraverso le sbarre con la prefazione di Antonio Di Pietro. Non soddisfatto di questa prima edizione, rivede il testo completamente e lo pubblica in versione definitiva nel gennaio 2011. Nel gennaio 2012 pubblica il romanzo La seconda vita di Bettino Craxi con l'Editore Fuoco Edizioni di Roma. Mobbing all’I.M.T è il suo terzo romanzo.




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