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Sagarana LA MORTE DI VINíCIUS


Un'inedita testimonianza del musicista brasiliano


Toquinho


LA MORTE DI VIN&iacuteCIUS



 

A conclusione della tournée, la notte del 29 luglio 1979 avrebbe segnato l’ultima esibizione di Vinícius de Moraes sul palco. Avendo bisogno di una pausa, partì per l’ Europa in compagnia di Gilda, sua moglie.
Passarono dalla Scandinavia, viaggiarono per tutto il sud della Francia e arrivarono in Italia, dove sarebbero rimasti per un po’ di tempo.
Lì, Vinícius iniziò a manifestare insofferenze e strani torpori.
Consultato un neurologo, gli fu raccomandato l’immediato rientro in Brasile.  
Durante il viaggio di ritorno, il poeta fu colpito da una ischemia cerebrale.
Rimase una ventina di giorni presso la Clinica São Vicente, a Rio de Janeiro, e a Natale era già a casa. Presentava alcuni segni nel volto, era dimagrito molto, ma stava tornando, a poco a poco, ad una vita normale, finché non ebbe una seconda ischemia, a São Paulo, a casa di Toquinho, nel giorno del lancio, in Brasile, della casa discografica Ariola.
 
All’epoca furono i primi artisti brasiliani ad aver firmato un contratto con la Ariola.
Il disco, “Un po’ di illusione”, fu l’ultimo a mostrare la partecipazione di Vinícius in vita.
Il suono di questo disco fa parte dell’illusione.
Il suo eco è troppo asettico; inserisce sì il timbro di Vinícius, ma, in verità, la sua voce non c’è.
Che sia un trucco tecnico? Più che questo, è un’ impressione provocata da un effetto acustico.
È Toquinho che canta, registrato su sei canali.
Doppiò sei volte la propria voce per dare l’impressione, come risultato finale dell’incisione, che fosse quella di Vinícius.
 
Nonostante non sia mai prevedibile, la morte arrivò per Vinícius assolutamente inaspettata, la mattina del 9 luglio 1980. 
Sentendosi, fin dall’inizio, oggetto di uno scherzo della vita, in seguito, Toquinho riterrà un privilegio l’essere stato scelto per testimoniare le ultime ore del poeta.
 
-      In quella occasione, ero ospite a casa di Vinícius, dal momento che stavo facendo un ciclo di spettacoli con Francis Hime e Maria Creusa al Teatro da Galeria, a Botafogo.
 Vinícius riuscì a vedere lo show, tornando a notte fonda. 
Ma c’era un intervallo senza spettacoli, tutti i lunedì e i martedì, quando ne approfittavo per venire a São Paulo. Tuttavia, in quella settimana, rimasi là a Rio, perché, la domenica, il 6, era il mio compleanno e Vinícius invitò i medici che lo avevano in cura e anche alcuni amici e improvvisò una piccola festa per me. Poi, accadde che, il martedì, l’8, stranamente, non uscii, ma rimasi in casa. Presi la chitarra e cominciammo a suonare vecchie canzoni, rivivendo cose che, già da tempo, non cantavamo. Tra mezzanotte e l’una andò in cucina, scaldò un pollo e lo mangiammo là in cucina, servendoci direttamente dalla pentola, e fu una cosa davvero molto piacevole.
Tornammo di nuovo in sala e rimanemmo là fino alle quattro di mattina a parlare, suonando la chitarra e fantasticando a proposito del disco “Arca di Noè n. 2”che stava per essere registrato.
Verso le quattro, decidemmo di andare a dormire. 
Di mattina, erano le sette, fui svegliato da Dona Rosinha, la domestica. 
Vinícius era nella vasca da bagno e stava male.
Mi alzai di corsa e andai in bagno.
Vidi Vinícius, mezzo sdraiato, con le gambe incrociate, la testa piegata sul lato destro, che respirava affannosamente, rantolando. Lo colpivo sul viso, lo chiamavo per nome, e capii che era del tutto privo di conoscenza, con la respirazione sempre più difficoltosa.
Corsi al telefono, chiamai la Clinica São Vicente, sollecitando un’ambulanza immediatamente.
La clinica si trovava vicino casa, ma furono sette o otto minuti davvero terribili, perché io non sapevo cosa fare; entravo in bagno e Vinícius era in quella condizione.
Lo scuotevo, lo colpivo sul volto, guardavo dalla finestra se arrivava l’ambulanza.
Mi rendevo conto, poi, che Vinícius respirava solo ogni tanto, con un lungo intervallo cadenzato. Faceva un respiro e si fermava. Non sapevo cosa fare, non potevo fare nulla.
Una medicina, qualcosa, non avevo niente!
Nel momento in cui scendevo la scala, cercando non so cosa, mi imbattei in un medico che saliva di corsa. Entrai con lui nel bagno, egli tastò il polso a Vinícius, gli toccò il collo, mi guardò e disse: “Deve essere morto da meno di tre minuti”.
Allora, rimasi là, guardando Vinícius. 
Che cosa strano, vedere Vinícius morto!
Io, un medico che non avevo mai visto e Vinícius, lì nella vasca.
Lo portammo sul letto ed io mi fermai molto con lui, là sul letto.
Mantenni la calma per molto tempo. Stetti a guardarlo a lungo, sul letto.
Era l’ultima volta. Guardavo attorno, le cose della sua stanza.
Tutto là rappresentava la fine di un tempo, la fine di una fase, la fine di tante cose…
Nei giorni seguenti, rimasi a dormire là in casa, da solo, senza alcuna impressione.
Quando rientravo, a notte fonda, già immaginavo: Oggi Vinícius mi starà aspettando, seduto sul suo divano. Oggi sarà lì! Aprii la porta, guardai verso il divano, ma Vinícius non c’era, ovviamente. Il divano era vuoto…  
 
Vinícius non sarebbe mai stato là. Egli era come quei gatti di strada, furtivo, e portava con sé la poesia per diffonderla sui tetti dell’eternità. 
Per grande che sia la perdita umana, rimarranno sempre le tracce della vita che la morte non può cancellare. Ciò che dobbiamo fare è inseguire e dare nuovo valore a queste tracce.
Senza che sia una consolazione, ma una continua disposizione di speranza e prosecuzione della vita. Toquinho sarebbe questo.   






Traduzione di Virginia Ghellarducci.




Toquinho
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