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Sagarana IL NERO E IL BIANCO


Brano tratto dal romanzo Due fiumi


Tatiana Salem Levy


IL NERO E IL BIANCO



 

(…) Da bambini, andavamo tutte le domeniche a passeggiare sul lungomare, io, Antonio, mia madre e mio padre. La passeggiata era tanto sacra quanto il bollito che preparava Apa­recida, sempre lo stesso. Io scendevo soltanto con il bikini e le ciabatte; mio fratello in bermuda, ciabatte e cappello. Anche quando mio padre affermava: — Oggi non andiamo in spiaggia — io portavo il secchiello e le palette: — E se poi cambiasse idea? —. Era raro, ma succedeva.
Tutto cominciò come un gioco. Lungo un isolato, potevamo calpestare o il nero o il bianco del marciapiede a mosaico, i nostri corpi disegnavano movimenti zigzaganti. Chi calpestava il colore vietato, doveva tornare indietro di cinque passi.
Mio padre ci accompagnava, sorridendo, mentre mia ma­dre, l'inventrice del gioco, si divertiva con noi. — Ha calpe­stato il bianco, l'ho visto, l'ho visto! — No, non è vero. — Sì, l'ho visto. — Adesso sei tu che lo stai facendo! —. E ridevamo tutti, tornando indietro dei cinque passi della penitenza.
Mi ricordo quelle domeniche come giorni felici, il tempo e i dolori sospesi affinché potessimo passare solo sul nero o sul bianco.
Ma non ci volle molto perché il tempo e il dolore comin­ciassero a cadere sulle nostre teste, colmandoci a tal punto che il gioco di prima cominciò a diventare la ragione della nostra angustia.
La distanza da percorrere aumentò, prima a due isolati, poi a tre, quattro e così via, fino al momento in cui eravamo costretti a percorrere tutto il tragitto Copacabana-Leme-Co­pacabana calpestando soltanto uno dei colori, e allora non ci divertivamo per niente, mio fratello e io ci guardavamo con la complicità che solo noi capivamo, con una tristezza solo nostra. Dopo aver insistito che la smettesse con quel gio­co, dopo discorsi e urla, mio padre finì per desistere, rassegnato, a capo chino, mentre la moglie e i figli zigzagavano sul lungomare.
Le nostre domeniche divennero rare, rare, finché un gior­no terminarono. La passeggiata, il bollito, la supposta felicità. Ma lo zigzag di mia madre non aveva fine.
Aumentava.
Aumentò quando mio padre morì e, più tardi, quando mio fratello andò all'estero, a casa restammo soltanto io e lei. Mia madre non poteva più uscire per la strada, persino per andare dal panettiere all'angolo era: solo nero o solo bianco. Mio fratello faceva finta che fosse tutto normale: — È solo un gioco — disse giustificando così la sua partenza. Che male poteva esserci nell'andarsene e lasciarmi sola con lei? Io e la colpa, che mi manteneva prigioniera in quella casa. Io e quella colpa che lui aveva attribuito a me e io non sapevo neanche se fosse mia. Io, quella colpa, mia madre, il nero, il bianco, lo zigzag. E lui in giro per il mondo.
Per questo, quando esco da casa calpesto di proposito di­sordinatamente il nero e il bianco, tutto mischiato, nero e bianco, la voce di mio fratello che risuona: — La matta sei tu.






Brano tratto dal romanzo Due fiumi, Cavallo di ferro edizioni, Roma, 2013. Traduzione dal portoghese di Cinzia Buffa.




Tatiana Salem Levy

Tatiana Salem Levy, nata a Lisbona nel 1979, è scrittrice e traduttrice. Ha esordito nel 2007 con il romanzo La chiave di casa (Cavallo di ferro edizioni). È autrice anche della raccolta Primos e di A experiência do fora: Blanchot, Foucault e Deleuze.





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