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Sagarana GINSBERG E GROTOWSKI UNITI IN SCENA


Walter Valeri


GINSBERG E GROTOWSKI  UNITI IN SCENA



La  Fondazione  Pontedera Teatro   è una  presenza più che significativa nel panorama teatrale del nostro paese. Lo  testimoniano  le attività decennali, le intuizioni di Roberto Bacci che ne è  fondatore e instancabile direttore artistico, e non ultimo  il recente manifesto programmatico: Pontedera Movement,  del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, che  trova valido sostegno e sede istituzionale nella stessa fondazione. Lo spirito del manifesto,  in parte  presente nella pratica teatrale dell’ Open Program  iniziato e diretto da Mario Biagini nel 2007, mette a fuoco  una sostanziale  apertura del Workcenter nei confronti del territorio; lo fa apertamente per incoraggiare la vita culturale di Pontedera.  Per capire meglio forse occorre ricordare che il Workcenter  da anni ha due anime;  che operano in modo  distinto, sia in Italia che all’estero. Dopo la morte di Jerzy Grotowski,  avvenuta nel 1999, Thomas Richards  ne ha sostanzialmente ereditato  la pedagogia, la continuazione dell’esperienza soprattutto in ambito  laboratoriale; mentre Mario Biagini, co-direttore, attore e regista, attraverso l’ Open Program Performaces, ne ha curato l’aspetto  produttivo. Cercando a più riprese di riimmettere sulla scena  militante quei risultati grazie ai quali Grotowski, dalla fine degli anni ’60 con Acropolis, Dr. Faustus e Il principe costante ha   modificato visibilmente il training dell’attore, il modo di fare teatro. E ovviamente ha ridefinito il concetto di spazio scenico, nonché il rapporto spettatore-attore. Entrambi eredi di Grotowski, Thomas Richards e Mario Biagini, nel corso degli ultimi dieci  anni, sono stati autentici portatori di sviluppi e divulgatori del pensiero rivoluzionario  del maestro del Teatro Laboratorio di Opole. Ma, quel che più conta qui,  resta il fatto che in questo manifesto, nelle due paginette del  Pontedera Movement, c’è qualcosa di sorprendente e decisamente nuovo. Un cambiamento di rotta sostanziale,  sia per quanto riguarda i futuri  obbiettivi del Workcenter , sia,  in forma più  estesa e riflessa, per  i teatranti in genere. Almeno per quelli  dediti da anni alla ricerca teatrale e sensibili all’ascolto. Ed è l’invito a  rompere ogni  indugio. Abbandonare il proprio orto,  i vecchi schemi mentali, le  cordate produttive delle pure logiche spartitorie  nazionali e internazionali. Deporre cioè  la maschera della corporazione, troppo spesso bisognosa di consenso politico, o troppo spesso strangolata dall’obbligo di conseguire successi immediati; per  tornare a guardarsi attorno. Meglio dire: lontano. Per esplorare nuovi territori, e “sfidare le competenze di cui siamo portatori, desistendo dal custodirle gelosamente, ma anzi lavorando assieme per farle crescere, metterle a disposizione, farle circolare in ambiti a cui non sono necessariamente destinate”, così sta scritto, testualmente.  Senza autodistruggersi, senza rinunciare a quella  competenza artistica specifica, maturata faticosamente nel corso degli anni. Senza abdicare cioè: all’uso del teatro come strumento e luogo d’incontro, nel darsi forza per “ favorire la circolazione di nuove idee e spunti creativi, evitare l’isolamento, l’autoreferenzialità, costruire qualcosa di nuovo e più grande di ciò che ciascuno sarebbe in grado di fare da solo“, sempre citando dal manifesto. Un messaggio nobile valido per tutti. Che ricorda un po’ gli anni ’60, quelli dell’invito all’impegno.  Che fa pensare in buona parte a quello che scriveva anche Grotowsky negli anni di Opole, grazie ai documenti ora resi disponibili dal bel libro di Zbigniew Osinski; ma certamente  in contrasto,  contraddicendo  lo spirito del messaggio  pedagogico-profetico   espresso dallo stesso  Grotowsky dagli anni ’70 in poi, specie negli ultimi anni di residenza a Pontedera.  Per tornare in sostanza e soldoni a quella straordinaria ‘terra di cenere e diamanti’ di cui fu testimone, continuatore e artefice  Eugenio Barba. Che va detto, col suo Odin Teatret  da questo punto di vista  per vari aspetti ha superato il maestro; specie per quel  bisogno  troppo mistico, di metafisica trascendenza, che ha caratterizzato i suoi ultimi anni di attività.    “ Uno dei motivi per cui Grotowski ha smesso di fare teatro è stato il fatto che la rappresentazione teatrale non riusciva più a soddisfare la sua necessità di trasgressione. Le sue attività successive (ndr: agli anni ’70) continuano a rifarsi alla tecnica d’attore ma, soprattutto, consentono di trovare altri sbocchi per la sua tensione verso il sacrum, e di tenere in vita la provocazione e la trasgressione nei propri confronti”. Un genere di provocazioni più che legittime, ma che ovviamente sono diventate altre; ben altre rispetto alle esigenze della scena e al reale rapporto col pubblico.   Ora, grazie a Mario Biagini e ai suoi giovani e bravi attori dell’Open Program, in forma vicaria Grotowski torna  in scena. Grazie all’uso teatrale,  alla regia esperta e appassionata di Biagini,  che si è tolto la giacca del maestro e ha saputo portare in performance i versi di Allen Ginsberg,  adattandoli a musiche e sonorità tratte dalle canzoni afro-americane del Sud degli Stati Uniti. Grotowski finalmente è stato tradito, tornado ad aggirarsi fra il pubblico, in virtù di due spettacoli decisamente nuovi nella loro concezione e realizzazione, affascinanti e unici nel loro genere. Che fanno un po’ pensare al Pirandello di Vassiliev adattato e ambientato in caffetteria, ma capaci di affrontare e tenera la scena autonomamente. Due spettacoli eccellenti e provocatori,  prodotti dal Workcenter: I Am AmericaElectric Party Songs . Presentati in prima a New York nel 2012 e successivamente nel  febbraio/marzo 2013, dopo tre anni di preparazione, al Witney Theater e Calhoun Cabaret della Yale Universty, nell’ambito del World Performance Project fondato da Joseph Roach.   Dove certamente  il Workcenter non rinuncia alla faticosa pratica del laboratorio, alla sua cifra stilistica, ma lascia i piccoli conversari, gli orti, le micro società aurorali. Teoria e scena tornano decisamente a confrontarsi per sconfiggere  l’isolamento, per muovere verso una cultura teatrale viva, in grado di permeare i bisogni  della gente e soprattutto dei giovani. In virtù dei versi  dirompenti di Allen Ginsberg;  grazie al rigoroso lavoro sull’attore degli allievi del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards i giochi sembrano riaprirsi. Ed è un bene, perché così  Il teatro pù che resistere può  tornare ad esistere. William Carlos William di Allen Ginsberg scrisse: “I poeti sono dannati ma non sono ciechi, vedono gli occhi degli angeli. Questo poeta vede attraverso tutti gli orrori ai quali partecipa negli stessi particolari intimi della sua poesia”. È stato così anche per Grotowski. Mario Biagini lo conferma durante il symposium di due ore, gremito di pubblico e addetti ai lavori, dal titolo Poesia come pratica d’incontro, tenuto alla Yale University dopo le recite più che applaudite.





Walter Valeri

Walter Valeri č stato collaboratore di Franca Rame per oltre quindici anni e curatore del volume “Franca Rame : a Woman on Stage”, Purdue University Press (U.S., 2000)





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