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Sagarana TORO SEDUTO


Brano tratto dal romanzo Verso nord


Willy Vlautin


TORO SEDUTO



"Qui di sicuro non c'è niente" disse lui guardando fuori dal finestrino. "Chi sa se ci ha mai vissuto qualche vecchio eremita pazzo. O magari qualche minatore dei vecchi tempi o degli hippie".

"Li vedi quei fuochi lassù?"
"Sì" rispose Jimmy.
"Non sono strani?"
"Mi sa di sì".
"Quanti pensi che siano?"
"Io ne vedo sette".
"Devo andare al lavoro domani".

"Lo so" disse lui. "Non ho certo l'intenzione di passare tutta la notte qui".

"Va bene" rispose lei.

"Parcheggia dietro la prima macchina che troviamo, così possiamo andarcene più in fretta".

Quando furono più vicini ai fuochi, si trovarono davanti file di macchine. Allison parcheggiò la propria dietro alla pri­ma che incontrò. Jimmy scese con in tasca la bottiglia di whi­sky. Lei infilò due lattine di birra nella sua borsa a sacco e lui prese le altre.

C'erano macchine a decine allineate al margine della stra­da, e loro dovettero camminare per un centinaio di metri pri­ma di arrivare alla festa. Una band si esibiva su un palco im­provvisato di assi di legno. A ciascuno dei lati avevano acceso un falò. Intorno a loro c'era gente, chiacchieravano. Si av­vicinarono verso un punto da cui potevano vedere la band suonare.

Il cantante era a torso nudo e pieno di tatuaggi sul petto, sulle braccia e sul collo. La musica era frenetica e lui urlava più che poteva mentre il resto del gruppo tentava di tenere il suo ritmo. Quando la canzone finì, gli spettatori – trenta o giù di li – applaudirono e urlarono. Alcuni gettarono della birra per aria e poi se la tirarono gli uni addosso agli altri. Sotto il palco erano state posate delle botticelle di birra, erano tutti ubriachi, ridevano e urlavano. In lontananza c'erano tende e fuochi isolati, Allison li distingueva appena.

Un ragazzino si avvicinò e passò oltre, con del sangue che gli scorreva da un lato della testa. In una mano aveva una lat­tina di birra, nell'altra una camicia sporca di sangue. Rideva e parlava con un paio di altri ragazzini, quando li sorpassò.

"Gesù!" disse la ragazza avvicinandosi a Jimmy. "Ma l'hai visto?"

"Che testa di cazzo".
"Dovrebbe andare da un dottore".

"Mi sa che non se ne è neppure accorto" disse Jimmy voltandosi verso di lei. "Rimani qui un attimo che vado a vedere se trovo Warren".

"Posso venire con te?" chiese lei "Non ho voglia di restare qui in piedi da sola".

"Torno subito. Faccio solo il giro dei falò. Tu dai un'occhiata qui nei dintorni del palco. Se li trovi, non preoccuparti. Digli solo se ti fanno compagnia finché non torno".

Voltò la schiena e si incamminò nel buio. La band aveva at­taccato un'altra canzone. La ragazza aprì la sua sacca e ne tirò fuori una lattina. Si accese una sigaretta e iniziò a guardarsi in giro in cerca dei loro amici.

Vide arrivare una colonna di tizi vestiti con divise militari tedesche tutte uguali. Uno portava degli occhiali da sole e aveva dei sottili baffetti neri. Un altro aveva la testa completamente rasata, il terzo indossava un vecchio elmetto dell'eser­cito nazista. Erano tutti ubriachi persi e parlavano a voce al­ta. La band finì di suonare un'altra canzone e la gente applaudì di nuovo.

Lei finì la lattina di birra che aveva in mano, prese l'ultima rimasta e la aprì. Iniziava a sentirsi ubriaca e via via più rilas­sata. La band cominciò un'altra canzone quando lei vide a una certa distanza la sua amica Nan Endrick che le veniva incontro.

"Non riesco a crederci che siamo a una festa in mezzo al nulla" disse Allison.

"L'anno scorso pioveva" commentò Nan. Era alta meno di un metro e sessanta e nell'ultimo anno doveva aver messo su una ventina di chili. Aveva tatuaggi sulle braccia e i capelli rasati quasi a zero e colorati di nero e biondo. Indossava dei jeans Levi's e una canottiera da uomo.

"Pensa che vanno avanti da tre giorni di fila. Tu rimani tut­ta la notte?"

"Domani mattina devo andare al lavoro. L'avete incontrato Jimmy?"

"Me l'ha indicato lui dov'eri. Non pensavo che saresti ve­nuta".

"Perché non eravamo sicuri di poter venire".

"Ti faccio vedere dove siamo accampati" disse Nan, poi le fece strada lungo un sentiero, in direzione di una vecchia tenda stile militare nella quale i tre ragazzi – Warren Cooper, Jimmy e Keith Henry – stavano seduti a un tavolo da picnic bevendo birra e chiacchierando tra loro. All'interno della tenda l'aria era satura dell'odore di speed mescolato con quello dello stufato di manzo che cuoceva sul fornelletto portatile.

"Andiamo a fare due passi verso il canyon" disse Warren quando vide le ragazze. Prese uno zaino che stava a terra nella tenda e lo riempì di bottiglie di birra. Poi infilò due torce elettriche nella tasca laterale. Spense il fornelletto, mise un co­perchio sullo stufato e spense la lanterna da campo.

La luna era ormai alta nel cielo, quasi piena, così non eb­bero bisogno delle torce. Nan e Allison persero in fretta il passo, mentre i tre ragazzi quasi scomparivano davanti a loro.

"È figo" disse Nan sottovoce.
"Chi?"
"Keith".
"Se lo dici tu..."

"Tu non ti sbilanci mai quando si tratta di uomini" disse Nan.

"Può darsi" le rispose Allison.

I tre ragazzi si erano fermati a guardare il canyon dall'alto. In fondo c'era il letto prosciugato di un torrente, delimitato da nude rocce. La luna e le stelle illuminavano di una luce bluastra i cespugli di salvia.

"Toro Seduto in un posto così ci sarebbe venuto a rilassarsi, se fosse arrivato fin quaggiù" disse Jimmy aprendosi una birra. "Di sicuro si sarebbe seduto per terra a fumare e riflet­tere. A cercare la soluzione migliore".

"Di sicuro si sarebbe chiavato una squaw maiala e poi l'avrebbe buttata giù per il burrone" eccepì Keith.

"Gesù!" esclamò Warren. "Che immagine!"
Scoppiarono entrambi a ridere.

"Sei un demente" intervenne Jimmy. "Toro Seduto era un eroe. Ha lottato come un indemoniato. Lui non voleva nien­te da noi. Forse dei fucili, al limite avrebbe voluto quelli, ma niente di più, e solo perché gli servivano per combattere. Non fosse stato per i fucili e per le malattie, chissà come sarebbe andata a finire. Lui non ha voluto ritrovarsi a vivere in una ri­serva, in una di quelle terre del cazzo in cui non hai nient'al­tro da fare che iniziare a bere mentre aspetti che qualcuno ti faccia l'elemosina. Io non ho nulla contro gli Indiani di quei tempi. Sono quelli di ora che sono andati in vacca, e la colpa principale è del governo. Dovrebbero smettere di bere. Sareb­be già qualcosa. Se lo facessero avrebbero risolto la maggior parte dei loro problemi. Toro Seduto non era per nulla come pensi tu. È uno dei grandi della storia. Il suo popolo credeva in lui. E lui non voleva integrarsi. Non voleva che il suo po­polo frequentasse le nostre chiese per essere trattato come una merda, o le nostre scuole per essere preso in giro. Dove­vamo rinunciare a un paio di Stati e lasciarli a loro".

"Mi importa una sega degli Indiani" ribatté Keith. "Non me frega un cazzo di quello che dicono gli altri".

Jimmy prese un lungo sorso dalla lattina di birra e si mise a sedere per terra.

"Non me importa nulla neanche a me degli Indiani" disse Warren.

"E fai bene" disse Keith scoppiando a ridere.

Rimasero a guardare, tutti e tre, la luna e le stelle nel cielo.

Poi Jimmy si accostò a Warren e gli disse sottovoce:

"Sai che gli Indiani davano la caccia ai cervi e ai bufali e ai conigli, li spingevano sul bordo di un precipizio, e a quel punto gli animali erano talmente spaventati che si buttavano nel vuoto. Sotto c'erano altre persone della tribù – le donne e i bambini, credo – che avevano il compito di assicurarsi che i cervi, i conigli o qualsiasi altra bestia caduta dall'alto fossero morti. Nel caso che no, avevano con sé delle clave. Poi li svi­sceravano e ne conciavano le pelli, e alla fine celebravano una grande festa che durava giorni e giorni".

"Gesù mio!" esclamò Warren guardando il fondo del ca­nyon dall'alto. "Te lo immagini vedere una scena del genere dal basso, con tutti quei bufali che saltavano giù dal burrone? Ma avevano dei cavalli? Se no come facevano a costringere gli animali ad andare li?"

"Non lo so di preciso come facevano, ma per molto tem­po di cavalli non ne avevano, e allora penso che all'inizio aves­sero un qualche altro sistema per farlo".

"Questi poveri stronzi non avevano cavalli, non avevano quasi niente, prima che arrivassero i bianchi" disse Keith.

Jimmy tirò, con tutta la forza che aveva, la bottiglia di bir­ra vuota giù nel canyon e poi ne prese un'altra dallo zaino di Warren.

"Non mi piace perdere tempo a parlare di Indiani" disse Keith.

"E allora non parlarne" gli ribatté Jimmy. Non ce la faceva più a rimanere calmo. Gli tremavano le mani. "Tu non do­vresti avere proprio il diritto di parlare di un cazzo".







Brano tratto dal romanzo Verso nord, Quarup edizioni, Pescara, 2013. Traduzione di Alessandro Agus.




Willy Vlautin

Nato a Reno, Nevada, nel 1967, Willy Vlautin è stato il leader, il cantante e l’autore dei testi di una delle più importanti alternative country band americane, I Richmond Fontaine di Portland, a cui di devono otto dischi nella seconda metà degli anni ’90. Il suo talento per la scrittura lo ha in seguito spinto a cimentarsi con la narrativa, genere in cui ha fatto il suo esordio nel 2006 con il romanzo The motel life, libro ben accolto dalla critica al punto da essere incluso tra i migliori 25 dell’anno dalla prestigiosa “New York Times Book Review”. Ma come spesso avviene la “consacrazione” arriva al secondo colpo, Northline (2008), definito dallo scrittore George Pelecanos “ il migliore degli ultimi dieci anni” e dal quale questo capitolo è stato tratto.





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