La Lavagna Del Sabato 23 Febbraio 2008

LA PROMESSA:
OVVERO
UN REQUIEM PER IL ROMANZO GIALLO


Luciano Luciani





Il poscritto

Nel poscritto a Das versprechen Requiem auf den Kriminalroman , Durrenmatt spiega la genesi di questo suo romanzo, nato nella primavera del 1957 (1) come soggetto cinematografico commissionatogli dall'importante produttore svizzero di origine polacca, Lazar Wechsler (2) . Il drammaturgo consegnò prima un racconto, che, in seguito, fu trasformato nella sceneggiatura del film: un risultato ottenuto grazie alla collaborazione con il regista, Ladislao Vajda (3) , altro apprezzato uomo di cinema che, proprio nella seconda metà degli anni Cinquanta, stava conoscendo il suo momento di maggiore creatività professionale e artistica in virtù di due fortunate pellicole entrambe rimaste nella memoria cinematografica di moltissimi, Marcellino pane e vino , 1955 e Un angelo è sceso a Brooklyn , 1957.

È evidente nelle parole del romanziere la presa di distanza dalla resa cinematografica delle sue pagine: intanto, a Durrenmatt non piace granché il titolo del film: “Il film intitolato (ahimè) Es geschah am hellichten Tag , Accadde in pieno giorno ha rapporto con questo romanzo nel modo che sto per dire” (4) ; poi, la sceneggiatura “che in gran parte si attiene strettamente al racconto”. In gran parte, ma non del tutto, e anche il film “corrisponde sostanzialmente alle mie intenzioni” (5) (il grassetto è nostro).

Altra cosa ancora è “il romanzo che ha preso una strada diversa”; “ciò non significa una critica all'opera del regista. La ragione è che, finita la sceneggiatura mi rimisi al lavoro, ripresi la storia, rifacendola da capo e sviluppandola al di là di ogni intenzione pedagogica. Da un caso particolare sono arrivato al caso del detective in genere, alla critica di uno dei più tipici personaggi ottocenteschi; e perciò necessariamente, sono andato oltre l'obbiettivo che noi nel film dovevamo proporci” (6) .

Durrenmatt dedica La promessa “A Lazar Wechsler e Ladislao Vajda, produttore e regista di Es geschah am hellichten Tag ”, ma appare evidente che nella percezione di Durrenmatt il film e il romanzo possono avere sì una comune ispirazione, ma si muovono secondo sensibilità e finalità diverse.

Il romanzo.

La trama.

Dunque, in origine si trattava di un soggetto cinematografico su una problematica propria della cronaca nera, dolorosa, ma piuttosto ristretta. Scrive Durrenmatt nel Poscritto : “Tema: delitti sessuali sui bambini. Scopo: mettere in guardia la gente contro un pericolo che purtroppo si presenta sempre più spesso” (7) . Ma nel romanzo l'aspetto della violenza sui bambini appare secondario: è solo una delle molteplici manifestazioni del Male, sia pure tra le più odiose. Una forma del Male non necessariamente destinata ad essere risarcita…

All'uscita da una conferenza non particolarmente riuscita sull'arte di scrivere romanzi polizieschi tenuta a Coira (Chur), una piccola città della Svizzera orientale, uno scrittore di gialli conosce H., un comandante ormai in pensione della polizia cantonale svizzera, e, al mattino, ne accetta un passaggio in macchina fino a Zurigo.

Il tono del racconto, da subito piuttosto depresso e crepuscolare, (“arrivai in treno che già annottava – nuvole basse e un nevischio deprimente e gelo dappertutto… Il pubblico era piuttosto scarso, dato che quella stessa sera Emil Staiger (8) parlava nell'Aula magna del Liceo sull'ultimo Goethe. Non ero in vena quella sera – neanche gli spettatori lo erano del resto – e parecchi del luogo lasciarono la sala prima che la conferenza fosse finita.”) (9) lascia fin dall'inizio trapelare un senso diffuso di scacco e di sconfitta. Anche la coppia che si costituisce appare da subito piuttosto male assortita: i due non si piacciono granché, anzi il narratore ci presenta il suo compagno di viaggio in maniera poco lusinghiera: “Era… un uomo alto e corpulento, vestito all'antica, con una catena d'oro attraverso il panciotto come oggi si vede ormai di rado. Nonostante l'età i capelli ispidi erano ancora neri, i baffi folti. Sedeva al bar su un alto sgabello, bevevo vino rosso, fumava un Bahianos e chiacchierava con la barista chiamandola per nome. Parlava a voce alta, con gesti vivaci, un uomo senza tante moine che mi attraeva e respingeva insieme” (10) .

Nelle primissime pagine del romanzo ci vengono presentati i due enunciatori della storia: un intellettuale problematico, pieno di perplessità, indecisioni, idiosincrasie e un uomo d'azione, pratico e diretto nei modi, un poliziotto, che, per un imprevedibile gioco del caso, sono destinati a condividere per un certo tempo l'angusto spazio di un'auto. Saranno loro i narratori, il primo esterno, l'altro interno, che secondo le procedure collaudate del racconto nel racconto articoleranno la vicenda della Promessa .

La conversazione tra i due verte sul fatto che i romanzi polizieschi presentano, secondo il punto di vista del dottor H., una visione della realtà distorta e falsata da presunte leggi di natura (“il crimine non paga”) che sono sostanzialmente ingannevoli: “… a dire il vero io non ho mai avuto una grande stima per i romanzi polizieschi…la gente spera che almeno la polizia sappia mettere ordine nel mondo, benché io non possa immaginare nessuna speranza più pidocchiosa di questa” (11) . Una bella favola, la definisce H., sia pure moralmente necessaria. Una menzogna consacrata almeno “come pure il pio detto che il delitto non paga… Voi costruite le vostre trame con logica: tutto accade come in una partita a scacchi, qui il delinquente, là la vittima, qui il complice, e laggiù il profittatore; basta che il detective conosca le regole e giochi la partita e ecco acciuffato il criminale, aiutata la vittoria della giustizia” (12) . No, nella vita vera, le cose vanno in tutt'altro modo

Per illustrare il suo punto di vista, il commissario, con i modi spicci che gli sono propri, ha già messo il suo interlocutore in contatto diretto con il protagonista di una vicenda recente che contraddice in toto ogni romanzesco luogo comune. Ecco, dunque, una sosta funzionale allo sviluppo della trama: ”Le montagne s'erano slargate, non opprimevano più, e arrivati a un distributore di benzina ci fermammo” (13) . Sembra una parentesi di serenità in un viaggio e in un paesaggio opprimenti, ma è solo una sensazione: “La casa dava immediatamente una strana impressione, forse perché spiccava dall'ambiente circostante, così pulito, così svizzero. Era miserabile, gocciante d'umidità; giù dai muri scorrevano dei ruscelletti. Per metà la casa era di pietra, l'altra metà un granaio, e la parete di legno che dava sulla strada era tappezzata di manifesti, da lungo tempo evidentemente, perché s'erano formati interi strati di affissi incollati gli uni sugli altri… Le due pompe della benzina si trovavano davanti alla parte di pietra della casa, su uno spiazzo accidentato, mal lastricato, tutto dava un'impressione di decadimento, nonostante il sole che ora sembrava quasi scottare maligno…” (14) . Uno scenario i cui caratteri sfioriti, degradati sono ancor più accentuati da una presenza umana: “Vicino alla porta aperta della casa, su una panca di pietra, stava seduto un vecchio. Non era rasato né lavato, indossava una blusa chiara un po' sudicia e macchiata, pantaloni scuri, lucidi di grasso, che erano stati un tempo parte di uno smoking. Ai piedi vecchie pantofole. Guardava fisso davanti a sé, istupidito e anche da lontano puzzava di liquore. Assenzio. Intorno alla panca il lastrico era coperto di mozziconi di sigaro galleggianti nella neve fusa”. In sua presenza il vecchio poliziotto sembra esitante, incerto: ordina il pieno di benzina, la pulizia dei vetri della macchina e si affretta a entrare in un ambiente interno almeno altrettanto squallido del piazzale. “Percorremmo un corridoio sporco. Puzza di alcol e di birra. Il comandante andò avanti, aprì una porta di legno, evidentemente conosceva il posto. Il locale era scuro e misero, qualche rozzo tavolo e delle panche, alle pareti stelle del cinema ritagliate da riviste e incollate al muro; la radio austriaca trasmetteva un notiziario sui mercati tirolesi, e dietro il banco, che appena si vedeva, c'era una donna magra, secca.

Aveva indosso una vestaglia, fumava una sigaretta e risciacquava i piatti” (15) .

La rassegna dell'umanità degradata che popola quell'esercizio è completata dall'apparizione di una cameriera, poco curata e poco vestita, spettinata, dalla pelle non lavata: ha sedici anni e ne dimostra trenta! Dopo aver sorbito un caffè dal sapore spaventoso, i due si accomiatano. Nelle rare battute di un tentativo di dialogo non corrisposto si colgono le tracce di un'antica frequentazione esistente tra H. e il terzetto che gestisce così malamente il locale: “Grazie, Annamaria”, disse il comandante, e posò i soldi sul tavolo. Anche la ragazza non rispose, non ringraziò nemmeno… Appena fuori diede un'occhiata al distributore e pagò.

Il vecchio aveva fatto il pieno e anche lavato il parabrezza.

“A presto,” disse il comandante salutando e di nuovo mi colpì il suo impaccio; ma il vecchio non rispose neppure questa volta. S'era già seduto di nuovo sulla panca e guardava fissamente davanti a sé, istupidito, spento. Ma quando raggiungemmo la macchina e ci voltammo ancora una volta, il vecchio serrò i pugni, li agitò, e spingendo fuori le parole a sussulti mormorò: “Aspetto, io aspetto, verrà,verrà” (16) .

C'è una storia emblematica dietro e H., il nostro secondo narratore, si sta accingendo a narrarla.

Mentre impercettibilmente ci spostiamo dalla prima alla terza persona, emerge, a poco a poco, la vicenda che era riuscita a trasformare un uomo che “era un genio, e in misura maggiore” dei detective protagonisti dei romanzi polizieschi nella “triste carcassa ubriaca che ci ha servito la benzina”.

La presentazione dell'eroe.

“Matthai mattatutti”, commissario e tenente della polizia cantonale di Zurigo, viene presentato da H. con caratteristiche simili a quelle degli eroi-investigatori dei romanzi polizieschi della tradizione (Dupin, Poirot, Philo Vance): colto - è laureato in legge -, veste con ricercatezza; freddo e distaccato nel suo lavoro, “padroneggiava il suo mestiere da uomo duro e spietato, accumulando tanto odio quanto successo”. Non fuma, non beve, non è sposato, è assolutamente privo di sense of humor , ma dispone di “un'intelligenza eccezionale”, di “un cervello d'organizzatore e maneggiava l'apparato di polizia come fosse un suo giocattolo” (17) . Sembra non avere una vita privata e non ha nient'altro in mente che la sua professione: la esercita come un criminalista di gran classe, ma senza passione, ostinato e instancabile. Alle soglie del mezzo secolo di vita è arrivato alla maturità professionale privo di particolari ambizioni di carriera: nonostante ciò, è alla vigilia di assumere un prestigioso incarico professionale in un paese del Medio Oriente. Poi, la telefonata: nei pressi di Zurigo, una bambina, in quell'età intermedia tra la fanciullezza e l'adolescenza, è stata trovata violentata e uccisa a colpi di rasoio in una radura. Le indagini finiscono per caso nelle mani di Matthai che inizia a occuparsi della vicenda criminosa col solito zelo, fatto di freddezza e di metodo investigativo. Fino a quando si incontra con la sofferenza dei genitori della piccola vittima:

“ ‘Chi è l'assassino?'chiese con una voce così calma e distaccata che Matthai ne ebbe un brivido.

‘Lo scoprirò, signora Moser.'

La donna allora lo fissò, minacciosa, supplichevole. ‘Lo promette ?'

‘Lo prometto, signora Moser,' disse il commissario, improvvisamente dominato solo dal desiderio di lasciare quel luogo.

‘Sull' anima sua?'

Il commissario rimase sorpreso. ‘Sull' anima mia,' disse infine.

Che altro poteva fare?

‘Adesso vada,' ordinò la donna. ‘Ha giurato sulla sua anima.” (18) . L'infallibile investigatore è vincolato all'impegno preso e obbligato dalla propria coscienza a risolvere il caso della bambina violentata e uccisa nel bosco. “Promisi sulla mia coscienza di trovare l'assassino, solo per non essere costretto a vedere ancora il dolore di quei genitori… e ora devo mantenere la mia promessa” (19) .

Ma il destino sembra essere stato benigno col commissario Matthai alle prese con l' ultimo caso della sua brillante carriera. C'è un indiziato che ha tutte le stimmati del colpevole: è Von Gunten, un ambulante che batte la zona con la sua merce; è stato lui a trovare il corpo martoriato; ha precedenti per reati sessuali ai danni di minori; tra la paccottiglia che vende ci sono anche i rasoi, l'arma con cui è stata uccisa Gritli Moser; sulla sua blusa compaiono macchie di sangue appartenenti alla bambina e sia lui sia la giovanissima vittima hanno mangiato cioccolato. Ce n'è abbastanza per sottoporlo a un'istruttoria serrata, al termine della quale Von Gunten confessa e poi si impicca.

Il caso è chiuso: per H., per le autorità e anche per la famiglia che sembra placata da questa tragica conclusione. Ma non per Matthai, che rinuncia definitivamente al suo prestigioso incarico, entra in rotta di collisione con i colleghi, rompe con l'istituzione e decide di proseguire privatamente l'indagine. Cosa muove questo suo comportamento così eterodosso, cosa gli fornisce convinzioni diverse e alternative?

Un disegno di Gritli Moser che rappresenta un gigante colto nell'atto di donare dei porcospini a una bambina. “ Era un disegno infantile. In basso, stava scritto con una grafia incerta e impacciata “Gritli Moser”, e c'era un uomo disegnato con le matite colorate. Era alto, più degli abeti che lo circondavano come una strana erba, disegnata come fanno i bambini, punto, punto, virgola, lineetta, un cerchio, il viso è fatto. Aveva un cappello nero e abiti neri, e dalla mano destra, un cerchio con cinque aste, cadevano alcuni dischetti con tanti peluzzi, come stelle, su una bambina piccolissima, ancora più piccola degli abeti. Sul margine in alto, già nel cielo propriamente, c'era un'automobile nera, con accanto un curioso animale dalle strane corna” (19) .

Nient'altro che una fiaba colorata, il probabile frutto di una fantasia infantile. Eppure, il razionale, metodico, sistematico dott. Matthai, uno dei più brillanti funzionari di Polizia della Confederazione svizzera non ha dubbi: Gritli Moser ha ritratto nel gigante dei porcospini il suo uccisore, che, da almeno cinque anni batte il territorio dei cantoni del San Gallo e dello Schwyz, ammazzando a rasoiate bambine bionde.

“Per me il gigante esiste. Non dubito neppure un istante che sia lui l'assassino” (20) : così, perentorio, afferma Matthai al dottor Locher, lo psichiatra incaricato dalla Polizia cantonale di verificare lo stato mentale di quello che un tempo era stato un apprezzato professionista dell'indagine. Profetica la risposta di Locher: “Che lei elegga a metodo la pazzia può essere coraggioso, non esito a riconoscerlo, gli atteggiamenti estremi fanno colpo al giorno d'oggi, ma se questo metodo non raggiunge lo scopo ho paura che non le resterà nient'altro che la pazzia” (21) .

Matthai isola e valorizza materiali investigativi che la Polizia non può prendere neppure in considerazione perché costituiti dai personaggi fiabeschi che alimentano le fantasie infantili: elementi che le procedure rigorose dell'indagine poliziesca, quelle che Matthai ha conosciuto e praticato per un'intera esistenza professionale, scartano pregiudizialmente.

Matthai, invece, per la prima volta nella sua vita elegge a metodo d'indagine la “pazzia” dell'infanzia. Lo fa anche quando la sua esistenza sembra “normalizzarsi” e da eccentrico e geniale tenente di Polizia sembra trasformarsi nel gestore di un distributore di benzina nei Grigioni, nei pressi di Coira. All'apparenza Matthai sta rispondendo positivamente alle sollecitazioni di Locher: “In trent'anni gli altri si fanno una famiglia, tirano su i figli, si costruiscono un futuro. Ma lei, non ha proprio una vita privata?” (22) . Vive con una donna, la Heller , una ex prostituta nota alla polizia e la figlia di lei, Annamaria.

H. continua il suo racconto: “Decisi di intervenire, di andare laggiù. Sentivo che il comportamento di Matthai aveva un rapporto con Gritli Moser, ma non capivo quale.” (23) Ed è, appunto, nel tormentato colloquio tra i due tutori della legge prima davanti alla pompa di benzina, poi in casa, che emerge il lucido, azzardato piano di Matthai per catturare il gigante assassino:

“ Matthai” domandai di nuovo, “che cosa significa tutto questo?”

“Molto semplice, comandante,” rispose il mio ex commissario, “sto pescando.” (24)

Era stato un dodicenne dai capelli rossi a spiegare all'ex tenente della Polizia cantonale la strategia adeguata per mantenere la promessa e assicurare finalmente alla giustizia il mostro di Magendorf: ” per pescare bisogna intendersi anzitutto di due cose: il posto e l'esca… Supponiamo che lei voglia prendere una trota adulta… Bene, prima di tutto deve riflettere dove il pesce si tiene di preferenza. In un posto dove è protetto dalla corrente, si capisce, e in secondo luogo dove c'è una forte corrente, perché è proprio quella che trascina la maggior parte degli insetti, quindi più o meno sotto il filo della corrente, dietro una grossa pietra o, meglio ancora, dietro il pilone di un ponte. I posti di questo tipo, s'intende, sono occupati purtroppo dai pescatori con licenza. Bisogna che la corrente sia interrotta, ripetei. C'è arrivato, disse con un gesto di degnazione. E l'esca? Chiesi. Questo dipende appunto dal fatto che lei voglia prendere un pesce predatore oppure qualcosa come un salmone o un'anguilla, che sono vegetariani, rispose. Un'anguilla per esempio può acchiapparla con una ciliegia. Ma una trota o un pesce persico li deve acchiappare con qualcosa di vivo. Con un moscerino o un verme o un pesciolino. Qualcosa di vivo, dissi riflettendo, e mi alzai… Adesso so come devo acchiappare il mio pesce. Devo cercare prima il posto e poi l'esca.” (25)

Dunque il distributore rappresenta il posto adatto; la strada – “chi vuole andare dai Grigioni verso Zurigo deve prendere questa strada, se non vuole fare il giro dell'Oberalpass” – è la corrente…

“E la bambina è l'esca,” dissi io, e rabbrividii.

“Si chiama Annamaria,” rispose Matthai.

“E adesso so anche a chi rassomiglia,” notai. “Alla povera Gritli Moser.” (26)

C'è il posto, c'è l'esca, ci sono il metodo e la pazienza di un ex funzionario di Polizia, ma non sono sufficienti.

Matthai ha colto nel segno, ma l'assassino morirà in un banalissimo incidente stradale: “Talvolta non è giusto che qualcuno possa svignarsela semplicemente morendo” (27) e per un romanzo poliziesco la più insulsa delle soluzioni possibili.

Il detective impazzisce: un caso esemplare di “invidia degli dei”, perché sorte peggiore non poteva toccare al funzionario dall'”intelligenza eccezionale”, “cervello d'organizzatore”, “criminalista di gran classe”.

E la verità, quando verrà fuori, sarà solo per caso.

La parodia del poliziesco classico non poteva essere più netta, più feroce.

Ma Durrenmatt ha, forse, un obbiettivo più ambizioso che scrivere un requiem per il romanzo giallo : il suo vero bersaglio è, al tempo stesso, più nascosto e più ampio ed è rappresentato dall' assoluta, e quindi cieca, fiducia che gli uomini ripongono nella razionalità umana, mai interpretata come l'altra faccia del caso.

“Con quanta più accuratezza l'uomo pianifica, con tanta maggiore efficacia lo può colpire il caso” (28) : questa la sua visione desolata, disincantata, dell'esistenza. Alla crescita della razionalità corrisponde lo sviluppo del caos: “il disordine si realizza paradossalmente in modo ordinato, consentendo al caso di realizzare un delitto perfetto, un delitto, cioè, destinato a non venire mai a galla se non per caso”. (29)

Ma leggiamo in proposito quanto scrive lo stesso drammaturgo svizzero: “Con la logica ci si accosta soltanto parzialmente alla verità. Comunque lo ammetto che proprio noi della polizia siamo tenuti a procedere appunto logicamente, scientificamente; d'accordo: ma i fattori di disturbo che si intrufolano nel gioco sono così frequenti che troppo spesso sono unicamente la fortuna professionale e il caso a decidere a nostro favore. O in nostro sfavore.” (30)

Per Durrenmatt il mondo va avanti indipendentemente dalla volontà degli uomini; la perfetta identità tra idee e realtà, concezione che stava alla base dell'agire di investigatori come Dupin o Holmes, non esiste.

La sconfitta di Matthai corrisponde alla rotta di un mondo che si regge su tale identità, è il disastro della detection come scienza esatta, la disfatta dello spirito del positivismo incarnato dai numerosi investigatori che hanno tentato di estendere le procedure assolutamente razionali e controllabili al dominio di tracce, sintomi, indizi, cioè i fatti singoli

“Ma nei vostri romanzi il caso non ha alcuna parte, e se qualcosa ha l'aspetto del caso, ecco che subito dopo diventa destino e concatenazione, da sempre voi scrittori la verità la date in pasto alle regole drammatiche. Mandate al diavolo una buona volta queste regole. Un fatto non può “tornare” come torna un conto, perché noi non conosciamo mai tutti i fattori necessari ma soltanto pochi elementi per lo più secondari. E ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile ha una parte troppo grande. Le nostre leggi si fondano soltanto sulla probabilità, sulla statistica, non sulla casualità, si realizzano soltanto in generale, non in particolare. Il caso singolo resta fuori del conto. I nostri metodi criminalistici sono insufficienti, e quanto più li perfezioniamo, tanto più insufficienti diventano alla radice. Ma voi scrittori di questo non vi preoccupate. Non cercate di penetrare in una realtà che torna ogni volta a sfuggirci di mano, ma costruite un universo da dominare. Questo universo può essere perfetto, possibile, ma è una menzogna” (31) .

Matthai promette di catturare l'assassino e tenta di adempiere all'impegno preso, forte della consapevolezza del proprio valore professionale, della propria onestà intellettuale e della coerenza con se stesso.

Il fallimento del tentativo di “pescare” il gigante assassino, la “trota”, utilizzando un'esca viva, una bambina, Annamaria, con cui Matthai ha finito per stabilire una relazione quasi paterna, comporta un prezzo umano altissimo. Matthai che si ritrova immerso in un'atmosfera di totale disfacimento, ormai vecchio e pazzo assurge a un'altezza quasi tragica nella sua cieca ostinazione in una razionalità che chiusa in se stessa finisce per degenerare in fede.

Durrenmatt ha usato lo scenario del romanzo La promessa per affermare questo suo profondo convincimento: i suoi studi, per niente dilettanteschi di filosofia della scienza e più semplicemente l'osservazione di un mondo al tempo stesso sempre più faustianamente proteso verso la razionalità, eppure sempre più caotico e dominato dalla opacità della fede, lo rendono partecipe di una visione del mondo sostanzialmente nichilista ma che, paradossalmente, ripropone il valore, l'importanza dell'uomo: “Se finora l'individuo ha tentato di derivare il proprio dovere da una concezione generale del mondo, o ha sperato di trovarne una per girare intorno ad essa come la terra gira intorno al sole, oggi invece l'individuo è necessariamente ricollocato al centro, perché dopo il crollo dei sistemi filosofici si assiste anche a quello delle scienze naturali, e si moltiplicano gli indizi che la scienza non è più in grado di fornire una concezione del mondo. Il mistero del mondo resta insondato.” (32) .

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NOTE:

1 Nel 1957 Friedrich Durrenmatt ha appena pubblicato La panne Die Panne ed è impegnato nella stesura e rielaborazione teatrale (1956 – 1959) della Visita della vecchia signora .

2 Lazar Wechsler è considerato l'inventore della cinematografia svizzera: infatti, fonda nel 1924 a Zurigo la Praesens Film AG, una casa di produzione che per circa un trentennio rappresenta l'unica impresa svizzera del settore che produsse con successo film di finzione come Il fuciliere Wipf , 1938; Il sergente Studer , 1939; Gilberte de Courgenay . 1941; I figli della tempesta , 1953. Senza concorrenti fino almeno alla seconda metà degli anni Cinquanta, quando la Praesens cominciò a scontare la concorrenza della Gloriafilm AG e delle sue produzioni, commedie di ambiente piccolo-borghese particolarmente amate dal grande pubblico.

3 Ladislao Vajda, (Budapest, 1906- Barcellona, 1955) di nazionalità ungherese, dopo un'iniziale esperienza come sceneggiatore negli ambienti del cinema austriaco e tedesco di Fritz Lang e George W. Pabst, è stato attore, sceneggiatore, montatore, fotografo e quindi regista particolarmente operoso nella Spagna degli anni Quaranta e Cinquanta. Oltre ai già citati Marcellino, pane e vino , 1955, di cui Vajda fu regista e sceneggiatore, e Un angelo è sceso a Brooklyn , 1957, con Vajda non solo regista ma anche produttore, questa poliedrica figura di uomo di cinema ha firmato la regia di numerosissimi film di produzione spagnola: Te quiero para mi , 1944; Cinco lobitos , 1945; Ronda espanola , 1952; Aventuras del barbero de Sevilla , 1953; Dona Francisquita , 1953; Carne de horca , 1953; Mio tio Jacinto , 1956; Tarde de toros , 1956; El Cebo , 1958; Maria, matricula de Bilbao , 1960; Una chica casì formal , 1963; La dama de Beirut , 1965. Nel 1940 Vajda, insieme a Raoul Walles, è il regista del film italiano Giuliano de' Medici , noto anche con il titolo La congiura de Pazzi con cui fu presentato nei primi mesi del 1941 e subito ritirato per espressa volontà di Mussolini che ne giudicò negativamente il contenuto dai chiari intenti antitirannici. Tornò in circolazione con il titolo Giuliano de' Medici , dopo essere stato ridoppiato di sana pianta e purgato da qualsiasi veleno ideologico, al punto che venne tolto anche il nome del regista ungherese.

4 Friedrich Durrenmatt, La Promessa Un requiem per il romanzo giallo , Universale Economica Feltrinelli, Milano 2001, p.155;

5 F . Durrenmatt, op.cit. , p.155;

6 F . Durrenmatt, op.cit., p.155;

7 Emil Staiger, (8 02 1908 – 28 04 1987) è stato un eminente rappresentante della tradizione umanistica della germanistica. Staiger svizzero, docente a Zurigo, esprimeva in letteratura le posizioni conservatrici levatesi in difesa della tradizione del classicismo weimeriano e polemiche contro tutte le forme di modernità e sperimentazione.

8 F . Durrenmatt, op. cit., p.155;

9 F . Durrenmatt, op.cit ., p. 9;

10 F . Durrenmatt, op. cit., p. 10;

11 F . Durrenmatt, op.cit.., p. 15;

12 F . Durrenmatt, op. cit. , p. 16;

13 F . Durrenmatt, op. cit., p. 12;

14 F . Durrenmatt, op. cit ., p. 12

15 F . Durrenmatt, op. cit ., pp.12-13

16, F . Durrenmatt, op. cit ., pp.13-14

17 F . Durrenmatt, op . cit ., p. 18

18 F . Durrenmatt, op . cit ., p. 30

19 F . Durrenmatt, op . cit ., pp. 88-89

20 F . Durrenmatt, op . cit ., p. 94

21 F . Durrenmatt, op . cit ., p. 95

22 F . Durrenmatt, op . cit ., p. 83

23 F . Durrenmatt, op . cit ., p 100;

24, F . Durrenmatt, op . cit ., p. 103;

25 F . Durrenmatt, op . cit ., pp. 106-107;

26 F . Durrenmatt, op . cit ., pp. 107-108;

27 F . Durrenmatt, Le scintille del pensiero , Edizioni Casagrande, Bellinzona 2003, p. 103, trad. Donata Berra;

2 8 F . Durrenmatt, Le scintille del pensiero , Edizioni Casagrande, Bellinzona 2003, p. 103, trad. di Donata Berra;

29 E. Spedicato, Facezie truculente Il delitto perfetto nella narrativa di Durrenmatt , Donzelli editore, Roma 1999, p. 55;

30 sta in E. Spedicato, op . cit ., p. 56;

31 sta in E. Spedicato, op . cit ., p. 57;

32 F . Durrenmatt, Le scintille del pensiero , Edizione Casagrande, Bellinzona 2003, p.115, trad. Donata Berra.

 




Luciano Luciani, romano, ha insegnato italiano e latino nei licei. Giornalista pubblicista dal '92, collabora con numerose testate locali e nazionali. Vive a Lucca.





        
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