La Lavagna Del Sabato 10 Maggio 2008

SLUTSK

Christopher R. Browning





(...) Alla fine di ottobre le due compagnie di Ordnungpolizei, insieme ai loro ausiliari lituani, ricevettero dall'esercito il compito di liquidare tutti gli ebrei di Slutsk, una città a sud di Minsk che contava circa 12 000 abitanti, di cui un terzo ebrei. Il provvedimento fu di nuovo presentato come un monito alla popolazione per la protezione delle truppe tedesche. Gli eventi accaduti a Slutsk il 27 ottobre sono descritti nel seguente rapporto, trasmesso dal capo dell'amministrazione civile tedesca ivi residente al suo superiore a Minsk, Wilhelm Kube.


“Slutsk, 30 ottobre 1941 Commissario regionale di Slutsk

Al Commissario generale a Minsk

Oggetto: Azione ebraica

In relazione al mio rapporto telefonico del 27 ottobre 1941, ti sottopongo per iscritto quanto segue:

La mattina del 27 ottobre, verso le otto, arrivò un primo tenente del Battaglione II di polizia di Kovno (Lituania). Egli si presentò come l'aiu­tante del comandante di battaglione della Sicherheitspolizei [sic]. Il te­nente dichiarò che il battaglione aveva ricevuto l'ordine di eliminare, nel giro di due giorni, tutti gli ebrei della città di Slutsk. Il comandante di battaglione stava arrivando con una forza di quattro compagnie, due delle quali composte da ausiliari lituani, e l'operazione doveva iniziare immediatamente. Risposi subito al tenente che, in ogni caso, avrei dovu­to prima discutere l'azione con il comandante. Circa un'ora e mezzo piú tardi il battaglione arrivò a Slutsk. Come richiesto, la discussione con il comandante ebbe luogo subito dopo il suo arrivo. Spiegai innanzitutto al comandante che era quasi impossibile eseguire l'operazione senza pre­parazione, perché tutti [gli ebrei] erano stati mandati al lavoro e ci sareb­be stata una confusione spaventosa. Egli era tenuto a dare almeno un giorno di preavviso. Gli chiesi dunque di posticipare l'azione di un gior­no. Egli però rifiutò, osservando che doveva eseguire altre azioni nelle città vicine e che disponeva solo di due giorni per Slutsk, Nel giro di due giorni Slutsk doveva essere del tutto libera da ebrei. Espressi subito le piú vivaci proteste, sottolineando che la liquidazione degli ebrei non po­teva avvenire in modo arbitrario. Gli ebrei ancora presenti in città erano in maggioranza artigiani con le loro famiglie. Non si poteva assolutamen­te fare a meno degli artigiani ebrei, perché essi erano indispensabili per il funzionamento dell'economia. Accennai inoltre al fatto che nella Russia Bianca gli artigiani erano – per cosí dire – assolutamente introvabili, e che tutte le imprese d'importanza vitale sarebbero state immediatamen­te paralizzate se tutti gli ebrei fossero stati eliminati. Al termine della di­scussione, accennai al fatto che gli artigiani e i lavoratori specializzati, proprio perché indispensabili, disponevano di un documento di ricono­scimento, e che questi ebrei non dovevano essere sottratti ai laboratori. Fu inoltre concordato che tutti gli ebrei ancora presenti in città – soprat­tutto le famiglie degli artigiani, che non volevo fossero liquidate – venis­sero prima portati nel ghetto per una selezione. Due dei miei ufficiali erano autorizzati a operare la selezione. Il comandante non contrastò in alcun modo la mia posizione, perciò in buona fede credetti che l'azione sarebbe stata condotta nel modo concordato.

Diverse ore dopo l'inizio dell'azione, si stavano già manifestando enormi difficoltà. Scoprii che il comandante non rispettava affatto l'ac­cordo. Contrariamente a quanto stabilito, tutti gli ebrei senza eccezione venivano prelevati dalle fabbriche e dai laboratori e portati via. Alcuni di essi furono si prelevati dal ghetto, catturati e scelti da me, ma la mag­gior parte fu caricata direttamente sui camion e liquidata fuori città sen­za esitazione. Poco dopo mezzogiorno, arrivavano già lamentele da ogni parte: i laboratori non potevano piú funzionare perché tutti gli artigiani ebrei erano stati portati via. Siccome il comandante era andato a Bara­novici, dopo una lunga ricerca mi misi in contatto con il suo vice, un ca­pitano, e chiesi che l'azione fosse immediatamente sospesa, perché non si stava svolgendo secondo le mie istruzioni, e perché il danno economico già inflitto era irreparabile. Il capitano fu molto stupito del mio punto di vista, e spiegò di aver ricevuto istruzioni dal comandante di liberare la città dagli ebrei senza eccezioni, come avevano già fatto altrove. La necessità di fare piazza pulita era dettata da ragioni politiche: i fattori economici non avevano sinora giocato alcun ruolo, in nessun posto. Tuttavia, a seguito dei miei energici interventi, verso sera egli sospese l'azione.

Per il resto, devo sottolineare con il massimo dispiacere che quest'a­zione fu assai prossima al sadismo. Durante i rastrellamenti la città stessa offriva uno spettacolo orribile. I poliziotti, e ancor di piú i lituani, prele­vavano con indescrivibile brutalità gli ebrei e persino i russi bianchi dalle loro case e li ammassavano. C'erano fucilazioni dappertutto, e in ogni strada si ammucchiavano cadaveri di ebrei fucilati. I russi bianchi avevano enormi difficoltà a sfuggire alla retata. Oltre al fatto che gli ebrei, compresi gli artigiani, venivano maltrattati brutalmente con spaventosa barbarie di fronte ai russi bianchi, questi ultimi venivano in modo analo­go picchiati con manganelli e bastoni. Non si può piú parlare di una azio­ne contro gli ebrei: sembrava assai piú una rivoluzione. Io e i miei ufficia­li siamo stati nella mischia per tutto il giorno, senza interruzione, cercan­do di salvare ciò che poteva ancora essere salvato. Piú di una volta ho do­vuto letteralmente scacciare dai laboratori i poliziotti e i lituani con la ri­voltella spianata. I miei gendarmi avevano ricevuto lo stesso incarico, ma a causa delle furiose sparatorie hanno dovuto spesso togliersi dalla stra­da per non essere colpiti a loro volta. La scena era nel complesso piú che terrificante. Nel pomeriggio le strade pullulavano di carri trainati da cavalli privi di conducente, tanto che dovetti ordinare all'amministrazione della città di farsene carico. Più tardi si seppe che si trattava di carri di ebrei destinati dall'esercito al trasporto delle munizioni. Gli ebrei ne erano stati semplicemente tirati giú e portati via, senza che nessuno si curasse dei carri.

Non ero presente alle fucilazioni fuori città, perciò non posso dire niente sulla brutalità ivi dispiegata. Ma sarà sufficiente evidenziare che molto dopo essere stati gettati nella fossa, alcuni dei fucilati riuscirono a uscirne. Per quanto riguarda il danno economico, rilevo che la conceria fu enormemente colpita. Vi lavoravano ventisei esperti. In un colpo solo furono eliminati quindici dei migliori specialisti. Altri quattro saltarono giú dal carro mentre erano per strada e scapparono, mentre altri sette si sottrassero alla cattura con la fuga. Nel negozio del carraio lavoravano cinque uomini, quattro dei quali sono stati fucilati; ora il negozio deve essere mantenuto in funzione con un solo addetto. Mancano anche altri artigiani, quali ebanisti, fabbri ecc. Non sono ancora riuscito a farmi un quadro preciso della situazione. Come ho accennato all'inizio, si suppo­neva che le famiglie degli artigiani sarebbero state risparmiate, ma a tut­t'oggi risulta che in quasi tutte manchi qualcuno. Le notizie che arrivano da ogni parte consentono di concludere che in qualche famiglia manca l'artigiano stesso, in altre la moglie, e in altre ancora i bambini. Insomma, tutti i nuclei sono stati smembrati. In tali condizioni è assai dubbio che i restanti artigiani si applichino con entusiasmo al loro lavoro e producano conformemente alle aspettative; al momento se ne vanno in giro con le facce insanguinate a causa delle botte. I russi bianchi, dei quali ci eravamo conquistati la piena fiducia, se ne stanno li atterriti. Malgrado siano spaventati e non osino esprimere liberamente le loro opinioni, tuttavia si sente dire che quel giorno non rappresenta affatto una pagina di gloria per la Germania, e che non sarà mai dimenticato. Sono dell'opi­nione che attraverso tale azione si sia distrutto gran parte di quanto avevamo costruito negli ultimi mesi, e che ci vorrà molto tempo per riacqui­stare la fiducia della popolazione.

Infine, mi trovo costretto a segnalare che nel corso dell'azione il battaglione di polizia si è dato al saccheggio in modo scandaloso, e non solo nelle case degli ebrei, ma anche in quelle dei russi bianchi. Hanno portato via qualsiasi cosa utile, come stivali, pelli, tessuti, oro e altri oggetti di valore. Secondo i resoconti dei membri dell'esercito, gli orologi venivano strappati dalle braccia degli ebrei per la strada, davanti a tutti, e gli anelli venivano tirati via dalle dita nel modo piú brutale. Un furiere ha riferito che a una ragazza ebrea fu ordinato di portare subito 5000 rubli per il rilascio del padre; si dice che la ragazza sia corsa dappertutto per cercare di racimolare il denaro. All'interno del ghetto, la polizia ha aper­to e svaligiato persino le singole baracche ebraiche sigillate dall'ammini­strazione pubblica e provviste di un inventario. Anche gli infissi delle fi­nestre e le porte dell'alloggio del reparto sono state divelte per il fuoco dell'accampamento. Malgrado avessi discusso il giovedí mattina con l'aiutante del comandante a proposito delle razzie, e malgrado egli mi avesse promesso nel corso della conversazione che da quel momento nessun poliziotto avrebbe piú messo piede in città, fui costretto parec­chie ore dopo ad arrestare due lituani armati di tutto punto perché sco­perti a saccheggiare. Nella notte tra martedí e mercoledí il battaglione usci dalla città dirigendosi verso Baranovici. Quando la notizia si sparse la popolazione si dimostrò felice.

E tutto per quanto riguarda il rapporto. Verrò a Minsk nel prossimo futuro per discutere di nuovo la questione a voce. Per il momento, non sono in grado di continuare l'azione ebraica. Prima deve tornare la pace. Spero di riuscire a ristabilirla il piú presto possibile e, malgrado le diffi­coltà, a far rinascere l'economia. Chiedo ora che sia accolta una sola richiesta: in futuro risparmiatemi senz'altro l'incontro con questo batta­glione di polizia.

Carl”.  


Se la documentazione sul ruolo della polizia nelle uccisioni in massa degli ebrei russi non è vasta, essa è tuttavia sufficiente a sconfessare, al di là di ogni ragionevole dubbio, il principale alibi sostenuto nel dopoguerra dai capi della Ordnungspolizei: vale a dire, che Daluege aveva fatto un accordo con Himmler, in base al quale l'Orpo doveva assistere la Sicherheitspolizei fornendo servizi di guardia e ogni tipo di collaborazione, senza tuttavia occuparsi direttamente delle esecuzioni. Questo alibi – simile a quello fornito dai militi delle Waffen-SS, che nel dopoguerra sostennero di essere stati soldati come tutti gli altri e di non aver partecipato ai programmi di ispirazione ideologica delle SS – fu presentato e accolto in diversi tribunali tedeschi nel processo contro il Battaglione II. I difensori persuasero la corte che, dopo due soli massacri nella regione di Minsk, ese­guiti per ordine dell'esercito, il battaglione riuscì a far valere l'accordo di Daluege e a ritornare a Kovno.

La documentazione, invece, attesta l'ampia e diretta parte­cipazione della Ordnungspolizei nelle uccisioni in massa di ebrei russi nell'estate e autunno del 1941; come era successo a Bialystok, i massacri della polizia nelle regioni settentrionali, centrali e meridionali della Russia furono coordinati dai rispet­tivi HSSPF. Non solo: l'eccidio di metà luglio a Bialystok era stato eseguito subito dopo l'incontro di Daluege e Himmler con Bach-Zelewski, e quello del primo settembre a Minsk fu l'esito immediato della visita di Daluege e Bach-Zelewski. È chiaro dunque che Daluege non proibiva, anzi incoraggiava, la partecipazione della Ordnungspolizei allo sterminio.

Dopo l'autunno del 1941, il coinvolgimento dell'Orpo nelle fucilazioni in massa in Russia non è ben documentato, e fu con ogni probabilità assai meno frequente, tranne una notevole eccezione: nell'autunno del 1942 l'Ordnungspolizei partecipò ampiamente alle fucilazioni di ebrei nella regione di Pinsk. Nel corso dell'inverno 1941-42, con l'aggravarsi della situazione militare della Germania, molti battaglioni di polizia furono in­viati in prima linea, mentre altri dovettero combattere la cre­scente resistenza partigiana. Nel 1942, il numero di uomini delle popolazioni sovietiche reclutati nei reparti ausiliari della Ordnungspolizei fu quasi decuplicato, e passò da 33 000 a 300 000. Si tendeva quasi sempre ad affidare a tali reparti i la­vori piú sporchi, per alleviare il compito dei poliziotti tedeschi coinvolti nei massacri. Anche Bach-Zelewski avvertiva il peso di quelle morti. Nella primavera del 1942 il medico delle SS di Himmler, nel suo rapporto al Reichführer sulla malattia disabi­litante di Bach-Zelewski, annotò che il capo delle SS soffriva “soprattutto a causa delle visioni legate alle fucilazioni di ebrei da lui stesso attuate, e a causa di altre difficili esperienze vissute nell'Est”. (...)

 

(Brano tratto dal saggio Uomini comuni – Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2004.)



Christopher R. Browning č docente di Storia alla Pacific University in Tacoma, Washington. Ha pubblicato studi e contributi di ricerca sui problemi della “soluzione finale” e dell’Olocausto.  





        
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