La Lavagna Del Sabato 16 Agosto 2008


LAICITÀ - APPREZZARE LA REALTÀ

– Un’intervista a Roberta De Monticelli di Maurizio Regosa –





Una parola di cui ognuno si fa vanto. Che ognuno dà acquisita per sé e non per gli altri. Roberta De Monticelli invece auspica una concezione opposta: la definisce laicità della mente. Consiste nell'esercizio di apprezzare la realtà, riconoscendone il valore o il disvalore. Qualcosa di opposto alla cultura odierna, che invece disprezza tutto. Solo così ci si apre al dialogo e al confronto, alla ricerca della verità. Che c'è, ma non è posseduta da nessuno.



Per discutere di laicità, Roberta De Monticelli ricorre a Francesco d'Assisi e alla sua “felice e fiduciosa ammirazione per tutto il visibile, e per ciò che il visibile annuncia”. Da qui - spie­ga - deriva un modo della conoscenza che potrebbe illuminare di luce nuova tutti i mondi in cui allignano ed esplodono conflitti. Un sapere che illumina, che riconosce il valore del sentire come modali­tà della nostra esperienza del reale, e che è molto lontano dall'atteg­giamento oggi prevalente.

Il realismo politico, infatti, si fonda su un deprezzamento del mondo che, dappertutto, non vede altro che brutali o raffinati rapporti di forza o di potere, e che addirittura ha ridotto la politica a luogo del conflitto, spingendo le categorie del politico a una barba­rica semplificazione (la contrapposizione amico-nemico). La laicità della mente richiede, viceversa, un “sapere che apprezza”. Occorre saper rigettare il fondamentalismo, cioè ogni forma di appropriazione politica del divino, e il relativismo, vale a dire la convenzione che i valori siano solo proiezioni soggettive, come due facce della stessa medaglia. Occorre superare ogni ideologia, smettere di umiliare lo spirito costringendolo a “fare da collante identitario”. La via di usci­ta ci viene dalla miglior tradizione cristiana: cercare dentro prima che fuori il pericolo del male, l'avversario. E ci viene dalla scienza: la critica come luogo di vita della ricerca.


Communitas: La laicità è considerata un atteggiamento fondamentale per regolare i rapporti fra politica, etica e religione. L'impressione però è che la si invochi senza aver chiaro cosa essa significhi...


Roberta De Monticelli: Vorrei rispondere facendo riferimento a Francesco d'Assisi, il quale - a chi gli domandava in che modo si potesse sconfiggere la violenza del Male - rispose: “Perché aggredire le tenebre? Basta accendere una luce, e le tenebre fuggono spaventate”. Non è con l'aggressione che si combatte il male o ciò che sembra tale, ma con un certo modo della conoscenza, la “conoscenza che illu­mina”.


Communitas: In che cosa consiste questa “conoscenza che illumina”?

De Monticelli: Nella modernità ha prevalso un atteggiamento fondato sulla diffidenza nei confronti di ciò che appare, accompagnato dal disprezzo nei confronti di ciò che è. Per disprezzo non intendo altro che quel che la parola significa: un atteggiamento privo di apprezzamento, un modo di sentire la realtà che la sente in se stessa priva di valore. La conoscenza che illumina, invece, dovrebbe defi­nirsi come un sapere che apprezza. Non che proietta qualità di valo­re positive o negative nelle cose: che le riconosce, semplicemente. Ne prende atto. Prende atto della preziosità di ciò che è, prezioso, dell'aridità di ciò che è arido, della bellezza di una campagna, della bas­sezza di un'azione. Tale conoscenza altro non è che la sensibilità con­siderata nel suo ruolo importantissimo di costruzione della persona umana e della sua ragione: come facoltà di percezione dei valori. Il sentire è essenzialmente percezione di qualità di valore, positive o negative, delle cose. È dunque una modalità della nostra esperienza del reale, e non un regno dell'arbitrarietà soggettiva. È quello che possiamo chiamare un realismo assiologico, un realismo dei valori.


Communitas: Questo realismo sembra essere esito di una posizione religiosa. Che induce una stima nel creato in quanto esito della volontà creatrice di Dio. Eppure oggi assistiamo a corto-circuiti drammatici. La posizione religiosa si qualifica "in negativo" perché identifica e com­batte le zone buie nella realtà.

De Monllcelli: Questo non accadrebbe se ci rifacessimo al suggerimento di Francesco: non è vero che quando i popoli si appellano a Dio, là “le tenebre fuggono spaventate”, che non c'è più bisogno di armi e di guerre... Dappertutto e sempre sembra sia vero il contrario: dove le collettività si richiamano a un Dio per giustificare la pro­pria esistenza, o identità, o volontà, seguono cose terribili. Richiamarsi a Dio per giustificare la propria volontà è l'opposto che lasciare che si accenda la luce dello spirito. Il Dio invocato per benedire i gagliardetti, per giustificare gli attentati o la risposta violenta agli attentati non è e non può essere il vero Dio.


Communatas: È una forma di appropriazione politica del divino...

De Monticelli: Si. E in questo senso trovo stupefacente come alcuni cristiani, anche nelle alte gerarchie della Chiesa cattolica, abbiano guardato con favore invece che con estremo spavento alla tentazione della "religione civile". O addirittura della religione come instrumentum regni. Costoro danno l'impressione di accettare un'inquietante alleanza con il cinismo di una politica disposta a offrire alle chiese un posto nella compaginazione della società, nella manutenzione del suo immaginario - quando non addirittura il ruolo di “ministero degli affari etici». Se uso la parola "cinismo", è perché tale appare il contrabbandare per valore ultimo o assoluto un'opzione di parte, quando questo lo si fa addirittura senza credere che esistano valori ultimi o assoluti.


Communitas: Relativismo e fondamentalismo sono facce della stessa medaglia?

De Monticelli: Per chi crede che i valori non siano che proiezioni soggettive e comunque orientamenti non razionalmente giustifica-bili, non c'è possibile "luce" di conoscenza nel campo dei conflitti di valore. Non ci sono che posizioni della volontà, più o meno forti. Per chi d'altra parte crede che solo la ragione "aperta alla fede" di un'unica chiesa acceda alla verità in materia di valori, non resta che "aggredire le tenebre", perché per definizione la conoscenza valoriale non sarebbe accessibile a una ragione aperta ad altre fedi o anche nessuna fede.


Communitas: Oggi però assistiamo anche all'affermarsi di una posizione molto diversa, quelle secondo cui relativismo e laicità coincidono. Dove sta in questo caso l'errore?

De Monticelli: Sono coloro che ritengono che una qualche forma di relativismo assio­logico sia la sola posizione coerente con il pluralismo, la sola premessa a un ordinamento non illiberale della società civile. Ma a me pare un grave errore. Perché se i giudizi di valore non possono essere veri o falsi, allora non c'è in materia di valori ragione e conoscenza possibile. Dunque non c'é neppure discussione, ma potenzialmente sempre e comunque scontro. Se so che non ti posso convincere, allora tente­rò di vincerti...


Communitas: Come si esce dalla logica dello scontro?

De Monticelli: Possiamo capirlo meglio con l'aiuto della favola dei tre anelli raccontata nel Decameron. Saladino chiede a un grande saggio ebreo quale sia fra le tre leggi - quella di Mosè, di Gesù e di Maometto - quella vera. Il saggio gli risponde con un apologo. Un uomo aveva un anello preziosissimo. Prima di morire, non volendo far torto a nessuno dei suoi tre figli, si fa riprodurre da un orafo due copie dell'anello, e muore, lasciando credere a cia­scun figlio di essere lui l'erede dell'originale. Questa la conclusio­ne di Boccaccio: “E così vi dico, Signor mio, delle tre leggi alli tre popoli dati da Dio Padre, delle quali la quistion proponeste: cia­scuno la sua eredità, la sua vera legge, e i suoi comandamenti si crede aver a fare; ma chi se l'abbia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione”. Nella sua semplicità ecco l'argomento contro dogmatismo e relativismo. Contro il relativismo: un anello origi­nale c'è, una verità oggettiva c'è. Contro il dogmatismo: “ancora ne pende la quistione”.


Communitas: Qual è la morale?

De Monticelli: Che occorre distinguere sempre fra il modo in cui le cose stanno, la verità, che c'è ma a volte Dio solo sa qual è e la cer­tezza, o più in generale il riconoscimento sempre fallibile, sempre provvisorio, che della verità siamo in grado di dare. Questa è laici­tà della mente. Se distinguiamo in questo modo, la certezza che un'oggettività esista, anche in materia di valore, non potrà mai coincidere con la certezza che ho ragione io. E tuttavia questo, lungi dal farmi credere che ogni credenza si equivalga, mi spinge­rà a interrogarmi e a interrogare gli altri, a sottoporre la mia cer­tezza alle loro critiche, a criticare le loro certezze. Alla discussione insomma, onesta e sincera. Come nelle altre province della cono­scenza, anche in quella morale, la ricerca non ha fine ed è aperta al nuovo. Occorre liberare dall'ideologia tutto lo spirito. Non peccare più contro lo spirito, renderlo alla sua natura di soffio e dono di vita, non umiliarlo più a fare da collante e cemento identitario.


Communitas: La proposta è certamente suggestiva. Ma poi bisogna far sempre i conti con un elemento identitario...

De Monticelli: Io credo che si debba importare nella mentalità di ognuno un elemento che ci viene dalla miglior tradizione cristia­na: cercare dentro prima che fuori il pericolo del male, l'avversario. La seconda mossa: importare nella mentalità di ognuno un ele­mento che ci viene dalla scienza, la critica come luogo di vita della ricerca. Karl Jaspers ci invita a riflettere sulla differenza fra la sorte toccata a Giordano Bruno e quella che toccò a Galileo: Bruno non era disposto a ritrattare quelle tra le sue proposizioni che conside­rava essenziali, e subì quindi la morte dei martiri. Galileo ritrattò la dottrina della rotazione della terra intorno al sole. La contingen­te differenza psicologica e di circostanze rimanda a una differenza più profonda...


Communitas: E quale?

De Monticelli: Galileo non doveva morire perché aveva dimostra­bilmente ragione. Morire sarebbe stato inutile, tanto per la verità quanto per la gloria di Galileo. Ma soprattutto, questa verità non aveva più bisogno di lui o della sua memoria, per vivere nelle menti degli uomini. Non doveva affatto la sua sostanza alla vita umana che l'esemplificava, né la sua esistenza alla libertà dell'uomo che l'aveva accolta. Invece, l'ipotesi che ancora non posso dimostrare “vive solo se io mi identifico con essa”. Un po' come, per il creden­te, vive la certezza della sua fede. Bruno non aveva alcuna eviden­za obbligante per la sua concezione del cosmo e della vita: perciò "testimoniarne" fu un gesto di libertà. C'è in questa libertà che ci obbliga un senso per cui Bruno "non poteva" ritrattare. Ma Jaspers introduce anche il concetto di "fede filosofica".



Communitas: Con quali conseguenze?

De Monticelli: Questo concetto dice un ruolo che è sempre stato della filosofia: aprire ogni fede al contraddittorio, alla discussione, cioè alla ricerca infinita del vero. Questo è il punto dove il "sapere che apprezza" deve gettar luce sulla potenziale natura del conflitto. Dove un conflitto è "aperto al vero" ciascuno combatte non per la propria vita, ma perché si affermi il vero, quale che sia. Perciò quello che mi sta più a cuore in questa battaglia è la libertà dell'altro.


Communites: Sembra un po' utopico.

De Monticelli: No, è una condizione di libera coesistenza. Ogni "fede" può diventare "filosofica". Una fede non è "filosofica" per altro che per la disponibilità del suo fedele ad entrare in comunicazione con gli altri, non necessariamente per persuaderli, ma precisamente come mezzo di verifica, dunque di ricerca del vero. Dobbiamo vedere anche le visioni del mondo in una prospettiva evolutiva: vedere anche le fedi sulle quali scommetteremmo la nostra vita come con­getture che gettiamo a guisa di reti nell'infinito vero, per catturarne un po'. E ricordiamoci che "l'infinito vero" è uno dei nomi di Dio.



(Tratto dalla rivista Le parole e le cose – Piccolo dizionario per il terzo millennio, edizione 2007, Communitas)




Roberta De Monticelli


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