La Lavagna Del Sabato 06 Settembre 2008


BISOGNEREBBE UTILIZZARE QUESTE PAROLE COME VERI E PROPRI LIBRI DI TESTO

Moni Ovadia, Gad Lerner, David Bidussa, Enzo Mazzi, Julio Monteiro Martins su razzismo, impronte, rom..




Ho scritto alcuni appunti delle cose dette da Moni Ovadia durante il suo intervento a San Rossore, con grande passione e con dolore  

10 luglio 2008

 

Io credo che lo spazio ostile sia lo spazio chiuso. Quando ti chiudi in casa e rifiuti il contatto con il mondo, entri in uno spazio ostile. Sullo stipite delle case ebraiche c’è la mezuzah, con le parole tratte dallo Shemà Israel, parole di amore.

La vera sicurezza, la vera protezione, la vera libertà non stanno dentro ma fuori.

Lo spazio ostile delle leggi razziali nacque dalla separazione del loro e del noi. Guardiamoci da queste parole sinistre: loro non sono come noi. I luoghi chiusi e separati sono luoghi sinistri. Sono spazi contaminati dall’odio, dalla ferocia, dall’intolleranza.

Certi provvedimenti, come le leggi razziali, si assumono al chiuso. Come successe a Wannsee, dove si discusse e si decise la Endlosung.

Qui a San Rossore il re d’Italia – esponente della monarchia più stupida, più rozza, più ottusa … ieri, eh, perché oggi sono personcine perbene …. qui prese quella infame decisione (pensate, lo stesso dentista del re era ebreo…).

Il compagno di scuola divenne degradato, inferiore.

Ci si chiude e si prendono decisioni sinistre.

Come ci si decontamina? Contrastando ogni forma di disprezzo e di intolleranza. Con l’accogliere l’altro. Col vedere noi stessi nell’altro. Laddove il rispetto dell’altro – o perlomeno la non ostilità – funzionano, ci sono leggi aperte. Le punte anche eccessive della political correctness degli USA deriva proprio dal fatto che non si deve lasciar partire la scintilla dell’odio e dell’intolleranza. Il che non significa che là vada tutto bene, come sappiamo.

A fare da argine all’intolleranza, noi abbiamo avuto la Resistenza e l’antifascismo. Ma, appena si rompono gli argini, è facile che l’intolleranza riemerga, insieme al fastidio.

Il lavoro in profondità – quello che fa riconoscere l’altro come tuo fratello - non può che partire dai bambini. Imparare a riconoscere l’altro significa imparare che non si può dire “che l’altro stia al suo posto”.  Significa rimettere in questione se stessi. Un uomo è immune dal razzismo quando ha una consapevolezza frutto di un lungo percorso di confronto con se stesso.

Si parla di paura? Eppure noi occidentali abbiamo prodotto i peggiori criminali dell’umanità.

L’umanità ha bisogno di forti gesti simbolici, da ogni parte. Guardate cosa è successo in Canada: le scuse ai nativi canadesi. Si è trattato di un gesto molto potente. * Si parla di paura e di stermini: pensiamo agli USA, in cui le popolazioni native sono state sterminate per il 95%.

Il Giappone, invece, si rifiuta di riconoscere lo sterminio che perpetrò ai danni dei cinesi durante la II guerra mondiale. Accaddero cose innominabili, troppo atroci anche da leggere. Ho letto la testimonianza di un militare giapponese: ha detto che era stato loro inculcato che i cinesi erano meno che porci. “Non dovevamo neppure sprecare le pallottole, con loro”. Invece il tedeschi, per esempio, hanno ben lavorato sulla denazifizierung.

E il colonialismo non fu violento? E la speculazione di oggi sui cereali, non è un atto colonialista e violento?

Dobbiamo ridefinire il mondo. Non si può escludere: il razzismo è un boomerang. E chi difenderà gli occidentali, quando i cinesi, gli indiani etc… arriveranno a prevalere?

Io ho proposto di dare il premio Nobel ai rom. Sono il solo popolo che non abbia mai fatto la guerra agli altri. Sono gente gloriosa. A loro si imputano tante cose, e si imputano a tutti. Sono gli stessi pregiudizi che esistono contro gli ebrei … sapete che negli anni ’50 ancora si cercava la coda agli ebrei?!? Anche i rom hanno subito lo sterminio: nei campi nazisti, e ad opera degli ustascia di Ante Pavelic.

Un uomo diventa grande quando riconosce i propri torti. Noi italiani abbiamo un grande problema: il genocidio di cui si è macchiato il fascismo, in Libia, in Abissinia, nel campo di Arbe, ad opera del generale Roatta. Ed è oggi una perversione sentir parlare delle foibe come dell’olocausto degli italiani. Questa è una cosa terribilmente sbagliata! E se mio fratello sbaglia io glielo devo dire, altrimenti sono complice!

Oggi il Parlamento europeo ha invitato l’Italia a rivedere l’intenzione di schedare i rom. Io vengo da gente marchiata da questa cosa: gli ebrei vennero censiti “per il loro bene” proprio a ridosso delle leggi razziali. Lo ha scritto Gad Lerner. I rom, poi, sono anche cristiani!!

Bisogna cercare di parlare con calma anche con chi ha votato le persone che, oggi, prendono queste decisioni: il mio avversario è un essere umano, abbiamo visto cosa succede quando lo si disumanizza.

Ci sono 135.000 rom in Italia: più della metà sono italiani. L’art. 3 della Costituzione dice che non si può discriminare: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Alcuni rom sono qui da 500 anni. come gli ebrei romani, che erano qui da prima di Cesare. Pensate a Mussolini che parlava di “razza ariana mediterranea”, via! Cani, porci e giraffe: di tutto è passato di qui! Siamo tutti misti!

Invece oggi stanno portando in questura persone che stanno qui da 20 anni, o che sono nate qui. Ma che sta succedendo a questo Paese? Ci sono quattro regioni in mano alla mafia: perché non si prendono le impronte ai mafiosi e ai camorristi? 

Occorre investire sulla scuola, sulla cultura, sul “fuori”: non vogliamo vivere nel terrore, vivere sulla rabbia, sull’indisponibilità. E’ straordinario quando ci incontriamo. Io lavoro con musicisti rom: sono i più affidabili. Sta scritto nel Talmud: non giudicare un uomo finché non sei nei suoi panni.

Una volta mi chiesero se avessi pura di Haider, xenofobo leader politico austriaco. Risposi: perché dovrei avere paura di un maestro di sci? Io ho paura di chi lo vota. Del crimine dell’indifferenza. Preferisco uno schietto razzista ad un ipocrita.

Termino con una storiella:

- nella Russia zarista, terra di schietto antisemitismo, un vecchio ebreo sale su un treno accelerato. Ad una fermata sale un signore. Il vecchio gli domanda: “che cosa ne pensa degli ebrei?”. “ah, popolo straordinario, scienziati, menti eccelse …”. Il vecchio scuote la testa. Seconda fermata, sale un altro signore, il vecchio gli chiede che cosa ne pensi degli ebrei. “Ah, artisti meravigliosi, poeti, violinisti, pianisti, il fior fiore della cultura e dell’inventiva!”. Il vecchio scuote la testa, deluso. Terza fermata, terza volta la stessa domanda. “Razza odiosa, una genia infame, sanguisughe, deicidi!!”. “Finalmente una persona onesta!”, grida il vecchio ebreo, “era tanto che volevo andare in bagno, ora so a chi chiedere di guardarmi le valige!!”. 

 

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Scuse storiche di Stato con un discorso del premier in Parlamento e un fondo di 2 miliardi di dollari da destinare a ex studenti e discendenti

Il Canada chiede scusa ai nativi - "Risarciremo abusi e violenze"

I bimbi indigeni venivano strappati alle famiglie e costretti all'integrazione
Un'inchiesta scoprì soprusi fisici e sessuali in oltre 100 istituti con 150 mila vittime
di MARCO GRASSO

 

THOMAS Loutit ha passato otto anni in quella scuola. Otto anni in cui è stato obbligato a cancellare la sua identità culturale e etnica. Otto anni in cui ha subito violenze sessuali. Michael Cachagee aveva 4 anni quando venne strappato alla sua famiglia e portato in una delle tante scuole religiose fondate e sovvenzionate dallo Stato canadese dal 1870 al 1970. Con una sola missione: "cristianizzare e civilizzare" gli indigeni. L'obiettivo, nelle parole di un alto funzionario degli Affari Indiani del 1920, era quello di "distruggere l'indiano finché è bambino".
Questa sorte in cento anni ha travolto 150 mila piccoli appartenenti ai gruppi etnici aborigeni Inuit, First Nations e Metis. Frammenti di vite spezzate a cui oggi il governo del Canada, per bocca del Primo ministro Stephen Harper, chiederà ufficialmente scusa. Non solo. Per 90 mila di loro, tra cui figurano sopravvissuti e discendenti, riceveranno un risarcimento miliardario, di 2 miliardi di dollari.
Una prima commissione governativa cha ha coinvolto tutte le parti in causa, comprese le comunità e diversi rappresentanti religiosi, ha concluso nel 1996 che il programma ha danneggiato in maniera irreversibile generazioni di aborigeni e ha distrutto la loro cultura. Il primo risultato del gruppo di lavoro è stato quello di fare chiudere i battenti all'ultima di quelle 130 scuole. "Ne abbiamo voluto fare parte - dice un portavoce ecclesiastico - perché volevamo dire la nostra. Non tutti hanno partecipato a quegli abusi".
Che il vento sia cambiato si intuisce anche dalla dichiarazione del ministro degli Affari Indiani, quello attuale, Chuck Strahl: "E' un rispettoso e sincero riconoscimento di un'estesa devastazione culturale, che ha compreso traumi fisici, abusi sessuali, e continua a perseguitare quelle generazioni anche oggi". L'atto ha seguito di pochi mesi quello del governo australiano nei confronti degli Aborigeni. Ma il Canada è andato più in là, e oltre alle scuse ufficiali ha aggiunto un risarcimento economico.
A occuparsi del compenso sarà una commissione creata con parte dei 4,9 miliardi di dollari, cifra più alta della storia del Paese, raggiunta al termine di un accordo tra governo, confessioni religiose e rappresentanti indigeni, al termine di una class action promossa dai nativi. Riceveranno un risarcimento tutti gli studenti delle scuole incriminate, mentre un'ulteriore somma andrà alle vittime di abusi sessuali. A coordinare la commissione sarà Harry LaForme, primo e unico aborigeno a essere nominato giudice di Corte di Appello. LaForme viaggerà attraverso il Paese per ascoltare storie di studenti, insegnanti e testimoni e per educare i canadesi sul "lato oscuro della storia del Paese".
Stasera il Canada si fermerà. Maxi-schermi sono stati allestiti in molte città per seguire il discorso di riconciliazione del primo ministro. Il Parlamento fermerà tutti i lavori. C'è grossa attesa anche tra le associazioni dei nativi, che oggi sono più di un milione. Alcuni di loro, soprattutto Inuit (quelli che un tempo venivano chiamati eschimesi, termine oggi considerato dispregiativo) e Metis (discendenti di famiglie indiane incrociate con europei), protesteranno perché i risarcimenti vengano allargati alle persone escluse perché le loro scuole non fanno parte della "lista nera".
Le comunità indigene puntano il dito verso quel programma di colonizzazione, non solo culturale, e lo ritengono alla radice degli alti tassi di suicidi (11 volte superiori tra gli Inuit e i First Nations rispetto agli altri canadesi) e di dipendenze da droghe e alcool che affliggono le loro comunità. Nonostante le minoranze etniche siano trattate relativamente bene in Canada, rimangono la parte più povera e svantaggiata del Paese.
Cachagee ha passato dodici anni e mezzo in quelle scuole, dal 1944. "Sono stato picchiato, messo sotto l'acqua bollente, mi hanno obbligato a mangiare cibo andato a male, mi hanno chiamato in tutti i modi possibili - ricorda - ho sofferto grande rabbia e dolore. "Phil Fontaine, oggi leader della comunità dei First Nations, gruppo etnico discendente da varie tribù indiane, è stato uno dei tanti a subire violenze sessuali e uno dei primi a denunciarle: "Hanno inflitto qualsiasi tipo di abuso su bambini innocenti, ci sono migliaia di queste storie. Questo è un giorno storico, è importante che queste vicende si conoscano". E forse, dice qualcuno, questo giudizio è più importante per i carnefici che per le vittime.

 



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Un altro censimento: 70 anni dopo – Gad Lerner

la Repubblica 5.7.2008

 

Cominciò con un inaspettato censimento etnico, nel mezzo dell’estate di settant’anni fa, la vergognosa storia delle leggi razziali italiane. Alle prefetture fu diramata una circolare, in data 11 agosto 1938, disponendo una “esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle provincie del regno”, da compiersi “con celerità, precisione e massimo riserbo”.

La schedatura fu completata in una decina di giorni: 47.825 ebrei censiti sul territorio del regno, di cui 8.713 stranieri (nei confronti dei quali fu immediatamente decretata l’espulsione).

Per la verità si trattava di cifre già note al Viminale. “Il censimento quindi fu destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare”, scrive la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci ne “L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei” (il Mulino). Naturalmente, di fronte alle proteste dei malcapitati cittadini fatti oggetto di quella schedature etnica fu risposto che essa non aveva carattere persecutorio, anzi, sarebbe servita a proteggerli.

Nelle diversissime condizioni storiche, politiche e sociali di oggi, torna questo argomento beffardo e peloso: la rilevazione delle impronte ai bambini rom? Ma è una misura disposta nel loro interesse, contro la piaga dello sfruttamento minorile!

Si tratta di un artifizio retorico adoperato più volte nella storia da parte dei fautori di misure discriminatorie: “Lo facciamo per il loro bene”. A sostenere la raccolta delle impronte sono gli stessi che inneggiano allo sgombero delle baracche anche là dove si lasciano in mezzo alla strada donne incinte e bambini. Ma che importa, se il popolo è con noi?

Lo so che proporre un’analogia fra l’Italia 1938 e l’Italia 2008 non solo è arduo, ma stride con la sensibilità dei più. L’esperienza sollecita a distinguere fra l’innocenza degli ebrei e la colpevolezza dei rom. La percentuale di devianza riscontrabile fra gli zingari non è paragonabile allo stile di vita dei cittadini israeliti, settant’anni fa.

Eppure dovrebbero suonare familiari alle nostre orecchie contemporanee certi argomenti escogitati allora dalla propaganda razzista, circa le “tendenze del carattere ebraico”. Li elenco così come riportati il libro già citato: nomadismo e “repulsione congenita dell’idea di Stato”; assenza di scrupoli e avidità; intellettualismo esasperato; grande capacità ad adattarsi per mimetismo; sensualismo e immoralità; concezione tragica della vita e quindi aspirazioni rivoluzionarie, diffidenza, vittimismo, spirito polemico e così via.

Guarda caso, per primo veniva sempre il nomadismo. Seguito da quella che Gianfranco Fini, in un impeto lombrosiano, ha stigmatizzato come “non integrabilità” di “certe etnie”; propense –per natura? per cultura? per commercio?- al ratto dei bambini. Il che ci impone di ricordare per l’ennesima volta che negli ultimi vent’anni non è stato mai dimostrato il sequestro di un bambino ad opera degli zingari.

Un’opinione pubblica aizzata a temere i rom più della camorra, si trova così desensibilizzata di fronte al sopruso e all’ingiustizia quando essi si abbattono su una minoranza in cui si registrano percentuali di devianza superiori alla media. Tale è l’abitudine a considerare gli zingari nel loro insieme come popolo criminale, da giustificare ben più che la nomina di “Commissari per l’emergenza nomadi”, incaricati del nuovo censimento etnico. Un giornalista come Magdi Allam è giunto a mostrare stupore per la facilità con cui si è concesso il passaporto italiano a settantamila rom. Ignorando forse che si tratta di comunità residenti nella penisola da oltre cinquecento anni: troppo pochi per concedere loro la cittadinanza? Eppure sono cristiani come lui…

Il censimento etnico del 1938, “destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare”, come ci ricorda Marie-Anne Matard-Bonucci, in ciò non è molto dissimile dal censimento dei non meglio precisati “campi nomadi” del 2008. In conversazioni private lo confidano gli stessi funzionari prefettizi incaricati di eseguirlo: quasi dappertutto le schedature necessarie erano già state effettuate da tempo.

L’iniziativa in corso riveste dunque un carattere dimostrativo. E i responsabili delle forze dell’ordine procedono senza fretta, disobbedendo il più possibile alla richiesta di prendere le impronte digitali anche ai minori non punibili, nella speranza di dilazionare così le misure che in teoria dovrebbero immediatamente conseguirne: evacuazione totale dei campi abusivi e di quelli autorizzati ma fuori norma; espulsione immediata dei nomadi extracomunitari e, dopo un soggiorno di tre mesi, anche dei nomadi comunitari; quanto agli zingari italiani, gli verrà concesso l’uso delle aree attrezzate solo per brevi periodi, dopo di che dovranno andarsene (sono o non sono nomadi? E allora vaghino da un campo all’altro, visto che le case popolari non gliele vuole dare nessuno).

Si tratta di promesse elettorali che per essere rispettate implicherebbero un salto di qualità organizzativo e politico difficilmente sostenibile. Dove mandare gli abitanti delle baraccopoli italiane –pochissime delle quali “in regola”- se venissero davvero smantellate tutte in pochi mesi? Chi lo predica può anche ipocritamente menare scandalo per il fatto che tanta povera gente, non tutti rom, non tutti stranieri, vivano fra i topi e l’immondizia. Ma sa benissimo di alludere a una “eliminazione del problema” che in altri tempi storici è sfociata nella deportazione e nello sterminio.

Un’insinuazione offensiva, la mia? Lo riconosco. Nessun leader politico italiano si dice favorevole alla “soluzione finale”. Ma la deroga governativa al principio universalistico dei diritti di cittadinanza, sostenuta da giornali che esibiscono un linguaggio degno de “La Difesa della razza”, aprono un varco all’inciviltà futura.

Negli anni scorsi fu purtroppo facile preconizzare la deriva razzista in atto. Per questo sarebbe miope illudersi di posticipare la denuncia, magari nell’attesa che si plachi l’allarmismo e venga ridimensionata la piaga della microcriminalità. La minoranza trasversale, di destra e di sinistra, che oggi avverte un disagio crescente, può e deve svolgere una funzione preziosa di contenimento.

Gli operatori sociali ci spiegano che sarebbe sbagliato manifestare indulgenza nei confronti dell’illegalità e dei comportamenti brutali contro le donne e i bambini, diffusi nelle comunità rom. Ma altrettanto pericoloso sarebbe manifestare indulgenza riguardo alla codificazione di norme palesemente discriminatorie, che incoraggiano l’odio e la guerra fra poveri.

Non si può sommare abuso ad abuso di fronte ai maltrattamenti subiti dai bambini rom. Quando i figli degli italiani poveri venivano venduti per fare i mendicanti nelle strade di Londra, l’esule Giuseppe Mazzini si dedicò alla loro istruzione, non a raccogliere le loro impronte digitali.

L’ipocrisia di schedarli “per il loro bene” serve solo a rivendicare come prassi sistematica, e non eccezionale, la revoca della patria potestà. Dopo le impronte, è la prossima tappa simbolica della “linea dura”. Siccome i rom non sono come noi, l’unico modo di salvare i loro figli è portarglieli via: così si ragiona nel paese che liquida l’“integrazione” come utopia buonista.

A proposito del sempre più diffuso impiego dispregiativo della parola “buonismo”, vale infine la pena di evocare un’altra reminescenza dell’estate 1938. Chi ebbe il coraggio di criticare le leggi razziali fu allora tacciato di “pietismo”. Con questa accusa furono espulsi circa mille tesserati dal Partito nazionale fascista. E allora viva il buonismo, viva il pietismo.

 

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David Bidussa. Impronte ai Rom. La lezione della storia,in “il Secolo XIX”, 9 luglio 2008, p. 23

Perché, a proposito delle impronte digitali all’accusa di razzismo, nessuno risponde, come se fosse un dettaglio irrilevante? Eppure chi esprime quest’opinione, quando interviene  su altre questioni suscita attenzione e rispetto. Chi infatti usa il termine razzismo non è un esaltato estremista, sono: la Conferenza Episcopale Italiana, il settimanale “Famiglia cristiana”, il quotidiano “Avvenire”, infine la Comunità di Sant’Egidio. Tutti a sottolineare come il vocabolario politico, le espressioni usate, l’ambiguità e la doppiezza del linguaggio ripropongano gli stessi dati presenti nell’Italia del 1938 all’avvio della campagna per il varo delle leggi razziali.

Perché nessuno si prende la briga di smentire o di replicare e allo stesso tempo perché nessuno si scandalizza? Perché il paragone con il 1938 non fa problema?. E che cosa significa riflettere sui diritti oggi in Italia? Me lo chiedo da storico, perché vorrei capire e riflettere sulla realtà culturale del Paese in cui viviamo. E da storico mi sembra che il fenomeno più rilevante che ci troviamo di fronte in questi giorni non sia il provvedimento annunciato dal ministro, ma la sostanziale indifferenza che lo accompagna. Mi sembra che ciò avvenga per quattro ragioni, due specifiche e due generali. Quelle specifiche riguardano la memoria del 1938, mentre quelle generali chiamano in causa la natura della politica nell’Italia attuale. Ovvero:

1) Se è vero che il linguaggio è lo stesso nel 1938, l’opinione pubblica ritiene che allora furono espulsi cittadini appartenenti e riconosciuti nella nazione italiana, mentre oggi non sarebbe così. Così quando si parla dei Rom, che pure anche allora come gli ebrei subirono la stessa discriminazione ed esclusione, si ha la sensazione non di escludere qualcuno che c’è, ma di fare barriera nei confronti di qualcuno che vuole godere diritti di cui non ha diritto.

2) E’ probabile che il 1938 oggi non sia più una data collettiva, ma ne rappresenti una archeologica: ovvero rinvii a una questione non di diritti violati, ma di nazione divisa oggi percepita invece come ricomposta. Da questo lato alle orecchie di molti l’esempio 1938 probabilmente è una realtà considerata non solo chiusa ma sanata, perché percepita solo come un conflitto tra due attori specifici: il fascismo e gli ebrei con gli italiani alla finestra a guardare il match. E dunque è probabile che per molti il paragone 1938 risulti non solo sproporzionato, ma anche improprio e pretestuoso. Il senso comune ragiona così: parla forse Roberto Maroni di ebrei? E allora perché agitare il paragone con  le leggi razziali?

3) la fine dei partiti politici come organi collettivi della rappresentanza, ha fatto emergere il primato delle identità primarie e di appartenenza. L’effetto è l’eclisse di un’idea di interesse generale sostituito da uno comunitario, oggi prevalente e decisivo. Una modalità di pensiero trasversale sull’asse destra-sinistra. E’ uno dei motivi che spiegano come il consenso al provvedimento Maroni non  arrivi solo dall’elettorato che ha votato Pdl e Lega, ma anche  coinvolga anche settori non marginali di chi il 13 aprile ha votato per l’attuale opposizione;

4) La politica dei diritti e la cultura dei diritti nella storia italiana  non riguarda  i diritti generali, ma quelli specifici, sociali, o di settore lavorativo, corporativi si potrebbe dire. Porre il problema dei diritti dei rom è percepito non come una battaglia sui diritti, ma come un contenzioso che riguarda solo loro. In breve sulla questione dei diritti noi siamo un Paese che si chiede: A chi giova? E non se lo Stato di diritto, quale noi crediamo di essere e vogliamo essere, è in contraddizione con l’idea di diritto che abbiamo.

Qual è l’idea di politica che sta prevalendo? Quale uso politico del passato sta diffondendosi in Italia? E soprattutto: serve la storia? E infine: qualcuno risponderà, senza fare spallucce? 



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Manifesto 8.7.08

Kimeta, una bella esperienza delle donne rom

Enzo Mazzi

 

È nella cultura zingara, di alterità e di libertà, che sta forse il motivo profondo della discriminazione che il popolo rom ha sempre subito nel mondo, ma sta anche la prospettiva di un possibile riscatto. Certo, lo so che c'è anche la sottomissione della donna, l'elemosina e talvolta il furto, lo sfruttamento dei bambini, le spietate lotte interetniche e ora anche la droga. Lo so bene che i rom sono stanziali e che non gli basta più il cielo per tetto, vogliono la casa, i riscaldamenti e l'aria condizionata. Ma frequentandoli so anche che i giochi non sono fatti. La cultura zingara forse avrà la sua rivincita e non solo per il popolo rom ma per tutti noi. Perché il dominio del danaro ci rende un po' tutti zingari.
Gli zingari furono perseguitati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici, gasati nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché «geneticamente pericolosi». Il razzismo fascista e nazista riemerge oggi in modo preoccupante, diverso nella forma uguale nella sostanza. Una nuova concezione della razza pura, quella del dominio globale del danaro sta invadendo il mondo. E lo sta distruggendo. Qui sta il problema. I maestri del pensiero ci dicono che il potere, quello che conta, è nelle mani del signor «nessuno» e chiamano questo dominio del danaro «nemocrazia», cioè dominio di «nessuno». E' una nuova divinità invisibile, innominabile, onnisciente e onnipresente come il vecchio Dio e avida di sacrifici umani. Dove ci sta portando la mostruosità distruttiva della religione del danaro che per creare ricchezza sta uccidendo «Gaia», dove ci conduce la follia del modello di sviluppo fondato sulla divinizzazione della tecnica, del danaro e della competizione mercantile liberista che disgrega i rapporti umani e impedisce a gran parte della popolazione mondiale di accedere al cibo, all'acqua, alle medicine e alla sopravvivenza? E' essenziale che formiche ribelli prendano una strada alternativa. E lo stanno facendo.
Anche i rom e soprattutto le donne rom, in alcune esperienze stanno smettendo di piangersi addosso e da eterne vittime incominciano a orientarsi verso il riscatto. E allora dobbiamo dire «basta» con l'assistenzialismo compassionevole. Il razzismo si può combattere solo alimentando e valorizzando i percorsi di riscatto. Una piccola ma densa testimonianza di formiche che aprono una strada inconsueta, la troviamo nell'esperienza di «donne per le donne» che ha dato origine al laboratorio «Kimeta» di sartoria e stireria, funzionante da più di dieci anni con ottimi risultati, realizzato insieme da donne dell'Isolotto di Firenze e da donne rom del campo del Poderaccio. E' una strada inconsueta perché percorsa da un intreccio di culture femminili, perché è una strada che si apre camminando insieme fin dal primo momento e non è affatto il frutto di un progetto precostituito, perché c'è una crescita collettiva continua che apre orizzonti nuovi per le dirette interessate e per tutti noi, per il territorio, perché è un intrinseco e consapevole superamento del campo, e infine perché funziona. Centinaia di persone hanno superato la consueta prevenzione contro gli zingari e ora sono liete di portare bucato da stirare o abiti da aggiustare alle donne rom del campo del Poderaccio. Su questa scia altre esperienze simili di imprenditoria femminile rom sono nate in altre città italiane. La loro esperienza l'hanno raccontata in un libro «Mani di donne» in cui è rivelato il segreto del loro successo.
La cultura profonda dei rom, quella che i nazisti definivano asocialità genetica e che ora il nostro razzismo vuol trasformare nel capro espiatorio di tutti i mali, ci appartiene e oggi appare forse come una risorsa. Non buttiamola via. Butteremmo una parte di noi e un prezioso patrimonio di speranza.

 

 

IL RIFIUTO DI SOGGIORNO, Julio Monteiro Martins, “Internazionale” 11.7.08

Gli agenti dell’ordine salgono sull’autobus, imponenti nei loro alti e sfavillanti stivali neri, e guardano in modo inquisitorio i passeggeri, uno ad uno. Tutti devono esibire, senza indugi, i  documenti d’identità. In fondo all’autobus c’è un ragazzo chiaramente straniero, stretto al suo zaino. I poliziotti, tronfi, gli si avvicinano. Il veicolo è ancora bloccato alla fermata. Il ragazzo  mostra tremante un foglio di carta spiegazzato, che gli agenti esaminano con diffidenza. Una delle porte si apre e il ragazzo viene trascinato fuori a spintoni e rinchiuso in un cellulare dello stato,  affollato di uomini e donne. Gli altri passeggeri tengono lo sguardo basso, complici. Ora l’autobus può ripartire.

In quale film o libro è presente questa scena? In 1984 di Orwell? Nel Mondo nuovo di Huxley? In Blade runner? Oppure in qualche vecchio thriller sulla Gestapo? O in Roma, città aperta? O forse si tratta solo di un incubo dello scrittore?

Purtroppo non è così. Questo orrore accade proprio oggi, in qualsiasi grande o media città italiana, con il festoso e agghiacciante consenso della maggioranza dei cittadini, vittima di una propaganda  paranoica. Chi l’avrebbe mai creduto possibile solo dieci anni fa? 

Quale grave delitto ha commesso quel ragazzo scaraventato giù dall’autobus? Aveva con sé un permesso di soggiorno scaduto. Ecco tutto. Ma lasciatemi dire due parole sul rifiuto di soggiorno. In un mondo globalizzato come il nostro, questo rifiuto è la materializzazione di un’ingiustizia assoluta, della disumanità istituzionalizzata, dell’esistenza di una casta inferiore, gli intoccabili del terzo millennio. Questo rigetto proviene da uno stato ottuso, brutalmente indifferente al dramma degli individui e delle società. Un rifiuto senza legittimità, e quindi senza i presupposti etici della legalità.

Agli stranieri presenti sul suo territorio, l’Italia è disposta a offrire un assaggio di sé, ma non il pasto completo. Così il paese sottrae a migliaia di persone oneste, uomini e donne, la legittima possibilità di ricostruirsi una vita e un’identità altrove, di non rassegnarsi alla rovina della propria esistenza.

Simone Weil, nella Prima radice, ci ricorda che sono gli stati, con le loro guerre, deportazioni, carestie e stermini di massa, i principali responsabili dello sradicamento che ora si accingono a  criminalizzare. Ma riflettiamo: chi è il vero criminale in questa storia? Il fragile individuo che vuole restare sulla terra che ha imparato ad amare o lo stato che lo respinge e gli si accanisce contro con il suo bestiale apparato repressore? E che, così facendo, lo sradica una seconda volta? Uno stato latitante di fronte alle proprie responsabilità universali e indifferente alla sorte dell’altro, anzi pronto a gettarlo oltre il muro. C’è tanto da vergognarsi, ma soprattutto c’è tanto da fare, tante lotte da  intraprendere, perché un orrore come questo non abbia la benedizione dei cittadini e non acquisti mai, da nessuna parte, lo status di normalità.




(Tratto dal Blog di Paola: amorescrivere.spaces.live.com)


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