La Lavagna Del Sabato 31 Gennaio 2009


LO SVILUPPO DELLA MACCHINA STATALE AUTORITARIA


Wilhelm Reich





(…) Questa seconda guerra mondiale confermava ancora una volta ciò che tutti sapevano da sempre: il reazionario politico si differenzia sostanzialmente dal vero democratico per il suo atteggiamento nei confronti del potere statale. In base a questo atteggiamento si può giudicare obiettivamente il carattere sociale di un uomo, indipendentemente dal partito al quale è iscritto. Conformemente a questo giudizio vi sono veri democratici fra i fascisti e veri fascisti fra i democratici di partito. Come la struttura caratteriale, anche questo atteggiamento nei confronti del potere statale si manifesta in tutti i raggruppamenti politici. Anche in questo caso è sbagliato ed è social-scientificamente inammissibile voler applicare il metodo di vedere tutto bianco o tutto nero, cioè l’associazione meccanica di determinati principi a determinati partiti politici.

È tipico del reazionario pretendere che il potere dello stato sia al di sopra della società: egli sostiene l’ “idea dello stato” che porta direttamente all’assolutismo dittatoriale, indipendentemente dal fatto che questo assuma la forma di uno stato monarchico-assoluto, parlamentare o apertamente fascista. Il vero democratico, che riconosce e rivendica la naturale democrazia del lavoro come base naturale della cooperazione internazionale e nazionale, tende regolarmente (e questa tendenza lo caratterizza come vero democratico!) a rendere superfluo il superamento statale-autoritario delle difficoltà della convivenza sociale, con il superamento delle loro basi sociali. Questo esige una dettagliata motivazione dello sviluppo e della funzione razionale che caratterizza lo stato autoritario. E’ inutile e privo di senso combattere una istituzione sociale irrazionale senza chiedersi come questa istituzione, nonostante il suo irrazionalismo, riesca a reggersi e ad apparire persino necessaria. Abbiamo imparato dall’osservazione della macchina statale russa che essa divenne necessaria , e non ci fu difficile comprendere che nonostante tutto il suo irrazionalismo aveva anche la funzione razionale di tenere insieme l’area linguistica russa e di guidarla quando le masse fallivano socialmente.

Condanniamo violentemente come fatto irrazionale la severità autoritaria di una madre nei confronti del suo bambino nevrotico. Comprendiamo che è questa severità che rende il bambino malato, ma non possiamo ignorare, e questo è il punto cardinale nella lotta contro l’educazione autoritaria, che un bambino, una volta divenuto nevrotico in un ambiente familiare nevrotico, può essere indotto soltanto con mezzi autoritari ad andare, per esempio, a scuola. Questo significa che, sebbene non sia fondamentalmente razionale, la severità autoritaria della madre ha anche un lato razionale, anche se molto condizionato e limitato. Dobbiamo ammettere questa funzione razionale condizionata se vogliamo nutrire la speranza di riuscire a convincere l’educatore, che ricorre per necessità al principio autoritario, che esso può essere eliminato con la prevenzione delle malattie nevrotiche dei bambini.

Il carattere razionale condizionato e limitato vale anche per lo stato autoritario, per quanto malvolentieri si sia disposti ad ammetterlo e per quanto pericolosa potrebbe diventare questa affermazione sulla bocca di un dittatore mistico. Egli potrebbe dire: “ Ascoltate! Persino i democratici del lavoro progressisti ammettono la necessità e la razionalità del modo di vivere autoritario”. Ora, sappiamo che la “giustificazione” del modo di vivere autoritario è data dalla struttura caratteriale irrazionale delle masse umane. Questa è l’unica via per comprendere la dittatura, e questa comprensione è l’unica speranza per eliminarla dalla vita degli uomini. Infatti, solo riconoscendo l’irrazionalità nella struttura delle masse umane, ci impadroniamo delle basi sociali per combatterla e con essa la dittatura, in modo obiettivamente sicuro, e non in modo illusorio. Il rafforzamento del potere statale avviene sempre in seguito a disturbi della convivenza umana. È tipico del metodo morale-autoritario superare le difficoltà in modo superficiale. In realtà naturalmente esso non elimina il male, ma lo caccia in secondo piano, dal quale irrompe poi in modo più violento e più vasto. Se l’unico mezzo per venire a capo degli omicidi a sfondo sessuale è l’esecuzione dello stupratore, allora si ricorre a questo metodo. Questo è l’ordinamento statale-autoritario. Ma il problema fondamentale della democrazia del lavoro è quello di vedere come si può evitare che una persona diventi un omicida sessuale. Solo quando comprendiamo la costrizione dell’esecuzione e quando contemporaneamente la condanniamo, si presenta in modo chiaro e netto il problema della prevenzione. Ora, chiaramente, la prevenzione di danni sociali è uno dei mezzi principali per provocare l’estinzione dello stato autoritario. La direzione sociale morale-autoritaria con ogni probabilità rimarrà in vigore fino al momento e nella misura in cui non potrà venire sostituita dai metodi dell’autogoverno. Questo vale generalmente per lo stato, come per tutti gli altri settori della vita sociale.

Lo stato autoritario è essenzialmente, ma non esclusivamente, una macchina di repressione. È contemporaneamente, ed inizialmente fu, prima di diventare la macchina repressiva della società, una somma di rapporti sociali autonomizzati. Inizialmente lo stato si identificava con la società; esso si sviluppò partendo dalla società e le si estraniò nel corso di millenni in misura sempre crescente fino a diventare una forza che infuria al di sopra di essa e contro di essa.

Fino a quanto esisteva un’organizzazione sociale, come per esempio la società della gens che non era divisa da gravi conflitti interni, non vi era bisogno di una speciale forza che avesse il compito di tenere insieme l’organismo di quella società. È proprio connaturato alla società il bisogno di una forza che impedisca la sua disgregazione, la sua decadenza e il suo dissolvimento quando è divorata da gravi conflitti e difficoltà. Il fascismo tedesco arrivò ad avere un simile potere, fra le altre cose, anche in seguito allo smembramento della società tedesca dovuto a tanti partiti diversi e politicamente nemici. Nella sua rapida e imponente ascesa divenne chiaro che per le masse tedesche era più importante la promessa unione della società attraverso l’idea dello stato che i singoli programmi di partito. Questo non cambia nulla al fatto che le idee e le ideologie politiche non riescono ad eliminare lo smembramento interno della società, indipendentemente dal fatto che questa idea politica sia statalmente totalitaria oppure pluripartitica. I fascisti non erano gli unici che ponevano l’accento sullo stato. Solo lo fecero meglio e in modo più forte del governo socialdemocratico, dei comunisti o dei liberali. E proprio per questo motivo riportarono la vittoria. È quindi lo smembramento politico della società che produce l’idea dello stato, e viceversa è l’idea dello stato che produce lo smembramento sociale. È un circolo vizioso dal quale si può uscire solo andando alle radici tanto dello smembramento che dell’idea dello stato e riportando entrambi a un terzo denominatore comune. Questo terzo denominatore è, come già sappiamo, la struttura caratteriale irrazionale delle masse. Esso non fu compreso né dall’idea dello stato né dalle diverse tendenze politiche. Uno dei più madornali errori che si commettono nella valutazione della dittatura è quello di affermare che il dittatore del momento si è imposto dall’esterno alla società, contro la sua volontà. In realtà ogni dittatore non è altro che l’espressione acuita di idee dello stato già presenti che egli deve soltanto portare all’eccesso per conquistare il potere.

La duplice funzione razionale e irrazionale dello stato e dell’idea dello stato è già stata chiarita il secolo scorso da Federico Engels:

“ Lo stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società dall’esterno e nemmeno “la realtà dell’idea etica”, “l’immagine e la realtà della ragione”, come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo; è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare.

Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’ “ordine”; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo stato” (F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, Editori Riuniti, 1963, pag. 200).

Questa definizione socio-scientifica del concetto dello stato del proprietario di fabbriche e sociologo tedesco Federico Engels ha tolto il terreno sotto i piedi a tutte le filosofie dello stato che in ultima analisi, in un modo o nell’altro, si riconducono all’idea dello stato platonico-astratta e metafisica. La teoria dello stato di Federico Engels non riconduce la macchina statale a valori superiori e alla mistica nazionalistica, ma fornisce semplicemente un quadro della duplice natura dello stato: descrivendo le basi sociali della macchina statale e additando contemporaneamente l’antagonismo fra stato e società, fornisce sia al saggio statista come per esempio a un uomo della levatura di un Masaryk o di un Roosevelt, che ad ogni singolo lavoratore un potente mezzo per comprendere… e per eliminare lo smembramento della società e con esso la necessità di una macchina statale. (…)



(Brano tratto da Psicologia di Massa del Fascismo di Wilhem Reich - traduzione di Furio Belfiore e Anneliese Wolf, Arnoldo Mondatori Editore, Milano, 1974.)


Wilhelm Reich






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